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La storia di come il Professor Aron ha reagito al cambiamento climatico

Molte azioni per combattere la crisi climatica partono da abilità che già possediamo. L'esperienza di Adam Aron ci insegna come possiamo cambiare il mondo

“Look at the single trees, but also at the whole forest.”

Guarda i singoli alberi, ma anche l’intera foresta! È la massima che Adam propone agli studenti dottorandi appena arrivati al suo laboratorio. Noi ricercatori siamo specialisti di natura: vorremmo perfezionare ogni passaggio che ci porta alla scoperta di un singolo network cerebrale, o all’analisi di un unico fenomeno meteorologico. A volte però trascuriamo l’impatto che una specifica scoperta potrebbe avere sull’intera umanità. E come le nostre capacità e personali attitudini abbiano il potenziale di cambiare il mondo, dal basso.

Adam Aron è professore ordinario di neuroscienze cognitive all’Università della California, San Diego (UCSD), uno dei dieci campus delle UCs, tra cui UCLA e UC Berkeley.  Il suo laboratorio investiga il controllo cognitivo, ossia come facciamo a controllare i nostri movimenti e i nostri pensieri. Ci vogliono poche interazioni con Adam per capirne la profonda passione per l’indagine. Ma soprattutto il suo eclettismo nel cercare al di là delle proprie competenze specifiche: ha una chiara consapevolezza che il cervello umano, a cui ha dedicato la sua brillante carriera, costituisce solo una piccola parte del mondo. Il mondo è anche fatto di politica, di economia, di sociologia, storia, e di complessi ecosistemi.

Il ruolo delle emozioni nell’azione climatica

Il problema climatico aveva attirato la sua attenzione già da alcuni anni, ma nel 2018 il report speciale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) lo aveva colpito in modo particolare. Il documento denunciava la necessità urgente – entro il 2030 – di ridurre le emissioni del 45% rispetto al 2010 per evitare un surriscaldamento di oltre 1,5°C; superare questa sarebbe estremamente dannoso per gli insediamenti umani e gli ecosistemi da cui dipendiamo. Dichiarazioni così forti, basate sulle testimonianze di migliaia di climatologi, avevano smosso Adam profondamente. Provava angoscia pensando al futuro che attendeva i suoi figli, di 4 e 6 anni.

Emozioni come la paura e la preoccupazione ci motivano ad allontanarci da una situazione pericolosa o a modificarla per ridurre la nostra sensazione di rischio (Weber, 2006). Molti studi hanno trovato relazioni significative tra alcune emozioni negative come la paura delle pericolose conseguenze del riscaldamento globale (percezione del rischio) e l’attivismo ambientale.

L’efficacia collettiva per smuovere cittadini e istituzioni

Era straziato dalle immagini dei paesaggi naturali che amava, disintegrati tra le fiamme. Provava un forte senso di responsabilità in quanto membro di una società fondata sui combustibili fossili e – soprattutto – di un sistema universitario altrettanto complice. Le UCs emettono un milione di tonnellate di CO2 l’anno dovuto al gas naturale utilizzato nei 10 campus, equivalente alle emissioni di 420 milioni di litri di benzina. I 10 campus hanno inoltre svariati investimenti nell’industria fossile, oltre ad ospitare Chase e Bank of America nei loro campus, due delle banche che forniscono il maggior numero di finanziamenti all’industria fossile. E, ancor peggio, l’impegno dell’Università a informare i propri studenti della crisi climatica tramite corsi dedicati era pressoché inesistente.

Dopo molte riflessioni, una carica di motivazione aveva preso il sopravvento sul senso di impotenza di Adam: era ben cosciente del potere che gruppi di persone (specialmente nelle università) avevano avuto nel ribaltare le sorti di momenti storici cruciali come la guerra in Vietnam e l’apartheid; sapeva che l’informazione e la mobilitazione avevano il potere di smuovere cittadini e istituzioni; ma soprattutto la sua teoria del cambiamento, basata sulla forza delle persone, aveva battuto la paralisi. Secondo la sua teoria, il cambiamento nasce dal basso e da qui si espande cambiando la realtà circostante.

L’efficacia collettiva si riferisce alla convinzione che un gruppo di persone possa raggiungere un obiettivo specifico tramite le proprie azioni (M. Lubell, 2002). Numerosi studi hanno dimostrato che le persone partecipano ad azioni collettive se credono che questo renderà più probabile il raggiungimento di un obiettivo; l’efficacia collettiva sembra dare alle persone un senso di forza attraverso la quale si sentono capaci di trasformare ambienti e situazioni (Van Zomeren et al., 2008).

Le capacità personali che ribaltano l’impatto climatico

Allora aveva cominciato a chiedersi cosa avrebbe potuto fare. Sapeva insegnare, organizzare progetti complessi come faceva nella ricerca, parlare in pubblico come faceva alle conferenze, scrivere in modo persuasivo come faceva nei bandi di finanziamento, sapeva analizzare e organizzare dati statistici complessi, trarne conclusioni teoriche e spiegarle agli altri. Come applicare queste capacità per ribaltare l’impatto climatico delle UCs e ispirare anche altre università e istituzioni?

L’efficacia personale si riferisce alla convinzione di poter eseguire con successo un certo comportamento per raggiungere un certo risultato (Icek Ajzen, 1991; Bandura, Freeman, & Lightsey, 1999). Nel caso dell’attivismo ambientale, l’efficacia personale è la convinzione di avere capacità preziose con cui contribuire alla salvaguardia dell’ambiente (ad esempio se abbiamo competenze sulla crisi climatica e buone capacità di insegnamento o abilità oratorie, se sappiamo come organizzare una manifestazione, eccetera).

Dall’azione individuale alla creazione di un movimento

La prima idea che gli era venuta in mente era quella di organizzare un corso per i laureandi in psicologia che parlasse del tema climatico a tutto tondo. Il corso era strutturato in modo simile ai corsi di neuroscienze che ormai insegnava da 10 anni: c’erano articoli da leggere, video lezioni da guardare, quiz da completare, risposte critiche da scrivere. Si focalizzava specialmente sui fattori psico-sociologici che determinano il passaggio dalla consapevolezza della crisi all’azione per risolverla, come l’attivismo climatico. La speranza era quella di fornire un precedente per altri professori per ideare corsi sul cambiamento climatico dalla prospettiva della loro materia; dopo tutto il cambiamento climatico ha impatti trasversali a tutte le discipline come fisica, storia, geografia, filosofia, arte e giurisprudenza. Il corso aveva avuto un profondo impatto sugli studenti: alcuni ne erano usciti turbati dopo aver compreso gli impatti della crisi climatica, ma anche motivati a cambiare le cose unendosi a organizzazioni climatiche attive a San Diego. Oggi il corso di Psychology of Climate Crisis viene insegnato a 130 studenti ogni semestre, motivandoli a cimentarsi nell’attivismo per la salvaguardia del clima.

Quando la voglia di fare supera le aspettative

Intanto nell’estate 2019 milioni di attivisti si preparavano a scendere in piazza per chiedere ai governi globali di prendere seri provvedimenti di decarbonizzazione. Era l’occasione giusta per organizzare una manifestazione che informasse gli studenti di San Diego dell’urgenza della crisi climatica. Nella sua carriera accademica Adam si era spesso occupato di organizzare eventi, riunioni e piccole conferenze – gli piaceva unire gli scienziati, le loro scoperte e le loro opinioni. Sapeva quindi l’impatto che un evento informativo può avere, e soprattutto sapeva da dove cominciare. Si era quindi unito ad un gruppo di studenti, professori e membri dello staff, dando il via alla pianificazione della manifestazione del 27 settembre 2019. Dai tavolini del bar universitario, alle aule dopo lezione, avevano organizzato il percorso che il corteo avrebbe preso, il volantino che spiegasse chiaramente le tre richieste all’amministrazione universitaria (decarbonizzare, azzerare i finanziamenti delle UCs verso l’industria fossile e insegnare la crisi climatica agli studenti), invitato relatori tra climatologi, professori di letteratura, dottorandi di medicina e studenti di scienze politiche. Il 27 settembre più di 500 persone si erano unite al corteo, gli interventi dei relatori avevano attirato ancora più passanti, ed il fermento e la voglia di fare che si erano creati superavano le aspettative.

Da questa manifestazione, sotto la guida di Adam e altri attivisti, era nato il UCSD Green New Deal (GND), un’organizzazione universitaria con quattro obiettivi: decarbonizzare, definanziare, insegnare la crisi climatica e ampliare il movimento a tutte le UCs. Nell’arco di due anni, UCSD GND ha creato progetti di educazione climatica e dirottato il discorso politico/amministrativo sulla sostenibilità del sistema energetico universitario; ha inoltre ideato una campagna per smascherare e tagliare i finanziamenti “nascosti” delle UCs verso l’industria fossile, una per cacciare Chase e Bank of America dal campus, e ha dato il via ad una coalizione climatica di tutti e dieci i campus dell’Università della California.

Ma a livello pratico nessuna risposta arrivava dagli organi istituzionali dell’università. Facendo già parte del Comitato sulla Libertà Accademica del senato accademico universitario, Adam ha deciso di ampliare la sua partecipazione: ha creato un comitato apposito all’interno del senato, il “Comitato per il Cambiamento Climatico”. Oggi questo canale implementa a livello istituzionale le innovazioni auspicate da UCSD Green New Deal, come i corsi obbligatori sul cambiamento climatico per gli studenti o la transizione energetica del campus.

Il processo psicologico della reazione climatica

Cimentarsi nell’attivismo climatico aveva suscitato in Adam molte domande psicologiche su come le persone reagiscono alla crisi climatica. Studiare il cervello umano era il suo lavoro; inevitabile, dunque, chiedersi come la mente elabori la minaccia di uno stravolgimento della vita futura derivato da condizioni ambientali catastrofiche. Adam ha così deciso di imbarcarsi in un progetto di ricerca su una delle domande più cruciali per l’evoluzione della crisi climatica: quale processo psicologico smuove alcuni a reagire con tutta la propria energia per cambiare le cose, cosa invece paralizza altri, e cosa lascia altri ancora completamente neutrali? Oggi, una sezione dell’Aronlab è completamente dedicata alla ricerca psicologica sul cambiamento climatico.

Diviso tra momenti di forte preoccupazione per gli effetti del surriscaldamento e altri di grande motivazione, Adam è anche marito e padre, oltre a professore, mentore, ricercatore, attivista e divulgatore scientifico.
Molte delle azioni che ha intrapreso per combattere la crisi climatica sono partite da abilità che già possedeva; si è guardato intorno e si è immaginato, sulla base delle proprie competenze, cosa potesse fare per cambiare la realtà che lo circondava. E così sono nati corsi sulla psicologia del cambiamento climatico, un’organizzazione attivista universitaria, un organo amministrativo universitario dedicato alla mitigazione e una linea di ricerca psicologica sul cambiamento climatico.

Ognuno di noi vive in contesti diversi e sa fare cose molto disparate; pensare al percorso di Adam ci ricorda che il potenziale complessivo delle nostre capacità, unite alla nostra immaginazione, non hanno limiti.

 

Clima e psiche: storie di immaginazione, azione e cambiamento

Anna Castiglione

Laureata in Neuroscienze Cognitive e Psicologia Sperimentale con specializzazione in psicologia ambientale. Collabora come ricercatrice presso l’Aronlab (laboratorio di ricerca in psicologia climatica e neuroscienze cognitive), dove studia le reazioni cognitivo-comportamentali al cambiamento climatico. Parallelamente frequenta un master in meteorologia e climatologia all'Università di Trento. Fa parte di Italian Climate Network come membro del gruppo “clima e salute”.

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Anna Castiglione

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