Durante la quarantena e lo stop delle attività produttive, in Cina si è subito osservato un drastico crollo dell’inquinamento dell’aria. Ma a poche settimane dalla fine del lockdown, i livelli di inquinamento sono aumentati fino addirittura a superare i livelli registrati nello stesso periodo dell’anno scorso. Lo rivelano i dati elaborati da un’analisi del centro di ricerca CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air).
I livelli di inquinanti in Cina, dopo il crollo registrato ad inizio marzo, ora sono aumentati velocemente fino a superare quelli raggiunti lo scorso anno. Si parla dei livelli di particolato fine (PM 2.5) ma anche di biossido di azoto (NO2), anidride solforosa (SO2) e ozono.
Lo osservazioni hanno dimostrato come durante il lockdown il PM2.5 sia crollato, a livello nazionale, del 33% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Lo stesso è successo con i livelli di NO2, scesi del 40 %, con i livelli di SO2, scesi del 27%, e con le emissioni di anidride carbonica (CO2), crollate del 25%.
Ma subito dopo la riapertura delle attività produttive e di trasporto, l’inquinamento è aumentato di nuovo fino a superare addirittura i livelli pre-crisi. Tra aprile e maggio, infatti, la qualità dell’aria è nettamente peggiorata. La media nazionale dei livelli di PM2.5, NO2, SO2 e ozono sono aumentati fino a raggiungere o addirittura superare i livelli dell’anno scorso. Il particolato fine, il biossido di azoto e l’anidride solforosa hanno raggiunto valori medi del 6% più elevati rispetto all’anno scorso. I livelli di ozono sono addirittura del 12% più elevati.
Questo “rimbalzo” dell’inquinamento, di nuovo su valori elevati, sembra essere trainato dalle emissioni delle attività industriali, dato che in città come Pechino e Shanghai la qualità dell’aria risulta (per ora) migliore rispetto all’anno scorso.
Il consumo di carbone nelle 5 più grandi centrali termoelettriche della Cina orientale, dopo il calo dell’8% a marzo, è aumentato dell’ 1% rispetto all’anno scorso. Anche la produzione di cemento e metallo è aumentato dopo la fine del lockdown, mentre le vendite del commercio sono rimaste dell’8% inferiori rispetto allo scorso anno, così come l’industria manifatturiera che, rispetto al 2019, ha subito un calo a due cifre.
Sono tutti dei segnali d’allarme che dimostrano come attualmente siano le aziende più inquinanti a guidare la ripresa economica del Paese, sintomo di una ripartenza economica decisamente poco attenta all’ambiente. Proprio ora che abbiamo toccato con mano e avuto dimostrazione del peso delle attività sull’ambiente l’attenzione delle Nazioni dovrebbe privilegiare la green economy e l’uso di energia rinnovabile e pulita nei piani di ripartenza economica post Coronavirus.
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