Si avvicina l’appuntamento con al COP27 di Sharm el-Sheikh in Egitto e tra gli attivisti aumenta il timore che il governo locale possa mettere sotto silenzio le proteste. Ogni conferenza globale sul clima è accompagnata da una grande presenza di attivisti che, anche grazie a manifestazioni e proteste, cercano di far porre l’attenzione sulla necessità di un’azione efficace contro la crisi climatica e sulle ingiustizie che essa si porta dietro.
L’Egitto, al di là delle dichiarazioni politiche di facciata, sta attraversando una fase politica delicata e il regime di al-Sisi ha quasi bandito le proteste e represso l’azione della società civile indipendente.
Lo scorso mese di giugno Alaa Abd El Fattah, informatico, attivista per la democrazia e protagonista della rivoluzione del 2011, ha lanciato un messaggio molto polemico sulla scelta di far svolgere la COP in Egitto. El Fattah è detenuto in carcere dal 2013 e ha protestato con lo sciopero della fame contro le condizioni durissime della sua detenzione e di quelle di altri prigionieri come lui.
Nel messaggio, consegnato a sua sorella, l’attivista Mona Seif, Abd El Fattah ha scritto: “Tra tutti i Paesi a cui potevano dare la presidenza, hanno scelto proprio quello che vieta le proteste e che manda chiunque dissenta in prigione. Questo dice molto su come il mondo ha intenzione di trattare questo argomento, non sono interessati minimamente a trovare una soluzione condivisa per il clima”.
Funzionari egiziani hanno promesso che le eventuali proteste saranno consentite e di fianco alla centro congressi che ospiterà la COP ci sarà una struttura adiacente che fornirà agli attivisti “la piena opportunità di partecipazione, di attivismo, di manifestazione e di espressione”.
Tra gli ambientalisti in generale, sia locali che internazionali, pochi sembrano del tutto convinti dalle assicurazioni ufficiali. Le organizzazioni ambientaliste affermano di essere caute nell’organizzare manifestazioni non autorizzate per paura di mettere in pericolo gli attivisti del sud del mondo.
Un recente rapporto di Human Rights Watch (HRW) conferma che gli ambientalisti egiziani indipendenti sono stati limitati da severe restrizioni sui finanziamenti, sulla registrazione delle ONG e sui permessi di ricerca.
“Il governo egiziano ha imposto ostacoli arbitrari a finanziamenti e ricerca che hanno indebolito i gruppi ambientalisti locali, costringendo alcuni attivisti all’esilio e altri a stare lontani da lavori importanti”. Lo ha affermato Richard Pearshouse, direttore ambientale di HRW.
Si potrebbero configurare poi, una volta terminata la COP e spenti i riflettori del mondo, delle “rappresaglie” successive contro gli attivisti se questi dovessero fare qualcosa che le autorità percepiranno come imbarazzante.
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