Uno studio pubblicato sulla rivista specializzata Nature Ecology and Evolution ha evidenziato che negli ultimi due secoli e mezzo abbiamo perso 571 specie di piante oltre il doppio delle specie di mammiferi, uccelli e anfibi che si sono estinti nel nostro Pianeta. L’analisi realizzata dalla Royal Botanic Gardens, un ente pubblico del Regno Unito che si occupa di ricerca e istruzione botanica a livello internazionale e dall’Università di Stoccolma, ha portato alla luce dati preoccupanti perché l’estinzione di piante e la perdita di biodiversità mettono a rischio la sopravvivenza e il benessere di tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo. Il tasso di sparizione delle piante è 500 volte superiore a quello che avverrebbe in modo naturale se gli esseri umani non fossero presenti sulla Terra. Un rapporto dell’IPBES datato maggio 2019, la piattaforma intergovernativa per la scienza e la politica in materia di biodiversità e servizi ecosistemici, stimava in circa 1 milione (una su otto) le specie animali e vegetali che rischiano seriamente l’estinzione entro breve termine.
Le piante maggiormente minacciate sono quelle che si trovano esclusivamente nelle isole, nelle zone tropicali o e nelle aree con clima mediterraneo. Tra le specie estinte il sandalo del Cile utilizzato per il suo legno profumato e l’ulivo di Sant’Elena mentre tra quelle che risultano in grave rischio spicca il croco blu cileno. “Le piante sono alla base di tutta la vita sulla Terra, poiché forniscono l’ossigeno che respiriamo e il cibo che mangiamo, oltre a costituire la spina dorsale degli ecosistemi del mondo, quindi l’estinzione delle piante è una cattiva notizia per tutte le specie. Questa nuova comprensione dell’estinzione delle piante ci aiuterà a prevedere e a cercare di prevenire future estinzioni delle piante, così come di altri organismi. Milioni di altre specie dipendono dalle piante per la loro sopravvivenza, esseri umani inclusi, quindi conoscendo quali piante stiamo perdendo e dove, realizzeremo programmi di conservazione rivolti anche ad altri organismi” ha sottolineato Eimear Nic Lughadha, coautrice dello studio.
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