La COP26 si è conclusa con un giorno di ritardo, quanto bastava per giungere a un accordo definitivo. A Glasgow sono stati affrontati temi importanti, che Italian Climate Network approfondisce in maniera accurata. Gli argomenti in questione sono:
Le discussioni sulla trasparenza dei dati climatici hanno certamente ottenuto risultati soddisfacenti. Sono stati infatti adottate le tabelle per la nuova reportistica, vale a dire un sistema di controllo e monitoraggio reciproco degli impegni nazionali che entrerà in vigore entro il 2024 per i Paesi sviluppati e non.
Nonostante le resistenze dei Paesi meno propensi a comunicare i propri dati, non sarà più possibile omettere completamente quei dati che non si riesce o non si vuole comunicare. Al posto del dato mancante si dovrà inserire un simbolo “FX”, motivando la scelta. Così facendo dal report non verranno eliminate intere colonne, consentendo la lettura degli altri dati.
È stato uno dei punti più dibattuti in quel di Glasgow, ma alla fine non se n’è fatto nulla: la COP26 termina senza i 100 miliardi di dollari promessi ormai da più di dieci anni ai Paesi meno sviluppati e più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nulla di fatto nemmeno per quanto riguarda il nuovo obiettivo di finanza climatica da quantificare entro il 2025: non si è trovato l’accordo sulla cifra, con discussioni peraltro molto deboli, ed è stato programmato un nuovo tavolo di lavoro. In sostanza, è stato creato un gruppo di lavoro ad hoc sul tema per convocare quattro riunioni annuali con esperti dal 2022 al 2024 incluso.
I contributi determinanti a livello nazionale (Nationally Determined Contributions) avranno orizzonti temporali comuni fissati a 10 anni e poi sempre decennali da comunicare ogni 5 anni. Si avrà finalmente la possibilità di renderli confrontabili, eliminando dunque l’anarchia regnata da Parigi in poi. Il testo è stato però indebolito con l’inserimento di una clausola a favore di quei Paesi che per qualsiasi motivo non saranno in grado di comunicare i loro NDC secondo le nuove regole entro il 2025, rimandando i nuovi impegni al 2030 con orizzonte temporale al 2040.
L’articolo 6, dedicato ai meccanismi di mercato del carbonio, ha visto sopravvivere all’interno della sua parte operazionale diversi principi dei diritti umani. E si tratta di un risultato sicuramente positivo, considerando soprattutto che fino a due anni non venivano nemmeno menzionati. Rimangono ancora delle riserve in merito all’implementazione pratica di questi mercati: bisognerà capire in che misura ci si porterà dietro i rischi di doppio conteggio di crediti per emissioni nella cooperazione tra Paesi.
L’Articolo 6 è uno dei punti complesse del Paris Rule Book. Dalle prime analisi emergono delle parti grigie che potrebbero consentire scappatoie burocratiche con conseguenze negative proprio per la salvaguardia dei diritti umani e della tutela degli ecosistemi.
Le discussioni sull’adattamento sono andate decisamente bene, con la decisione di raddoppiare i fondi internazionali sull’adattamento e un testo finale giunto in plenaria in relativo equilibrio tra adattamento e mitigazione, quest’ultimo punto annacquato alla fine dal colpo di coda dell’India. Inoltre, è stato approvato il programma di lavoro di due anni che mira a monitorare le azioni di adattamento dei Paesi, che prende il nome di Glasgow Sharm-El-sheikh Work Programme.
Chi si aspettava importanti novità sul tema di perdita e danno – sottolinea Italian Climate Network -, è rimasto fortemente deluso. Mentre i Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici chiedevano l’istituzione di uno strumento formale di coordinamento e azione con propri staff, riunioni annuali, inclusione di portatori d’interesse ed attori locali, il testo finale di Glasgow prevede solo l’avvio di un nuovo “dialogo” sul tema. Una conclusione piuttosto deludente per un problema ancora poco chiaro ai Paesi ricchi.
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