Il 30 novembre si è ufficialmente conclusa la stagione degli uragani in Atlantico. Per convenzione la stagione va dal 1 giugno al 30 novembre di ogni anno. Non è raro però che si registrino delle tempeste tropicali o addirittura degli uragani anche al di fuori di questo periodo: quest’anno, per esempio, la prima tempesta tropicale, denominata Ana, si è formata al largo di Bermuda il 22 maggio.
Si è trattato del settimo anno consecutivo in cui una depressione si è trasformata in tempesta tropicale anticipando l’inizio ufficiale della stagione degli uragani. Anche questa recente tendenza è spiegata dagli scienziati come una conseguenza dei cambiamenti climatici in atto.
Nel mese di giugno è stato uguagliato un altro record, con 3 tempeste tropicali. Statisticamente infatti i mesi in cui si verificano il maggior numero di tempeste tropicali e la quasi totalità degli uragani, sono agosto, settembre e ottobre.
A conferma che quella appena conclusa sia stata una delle stagioni più attive già nelle prime fasi, vale la pena di ricordare che l’uragano Elsa, formatosi il 1 luglio, fu in grado di provocare almeno 5 vittime. Si sono contati danni per oltre un miliardo di dollari lungo il suo percorso, che dalle Antille attraversava il Golfo del Messico e gran parte della costa orientale degli USA, fino al Massachusettes.
Il numero totale di tempeste tropicali della stagione in esame, 21, ha esaurito l’elenco di nomi stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO). Si è trattato infatti di una stagione molto attiva, la terza in assoluto per numero di tempeste tropicali (dopo quelle del 2005 e del 2020, rispettivamente con 27 e 30 tempeste), e quindi la seconda di fila che ha visto l’utilizzo di tutti i nomi a disposizione.
Delle 21 tempeste tropicali (caratterizzate da vento medio superiore a 34 nodi / 63 km/h), 7 sono diventate uragano (con venti oltre 64 nodi / 119 km/h), di cui quattro di categoria 3 o superiore (definiti major hurricanes, con venti oltre 96 nodi / 178 km/h).
L’analisi degli esperti statunitensi della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) attribuisce l’intensa attività degli ultimi anni principalmente ad alcuni fattori, uno dei quali viene citato spesso quando si analizza l’aumento in frequenza e intensità degli eventi meteo-climatici, cioè il riscaldamento globale.
Nel recente rapporto dell’IPCC dell’agosto 2021 infatti si ipotizza, con elevato livello di confidenza, la tendenza verso una maggiore probabilità che i cicloni tropicali riescano ad intensificarsi fino a raggiungere le categorie 4 e 5, quelle con venti e precipitazioni più intensi e in grado di creare più danni e rischi per le popolazioni.
Gli altri fattori che hanno contribuito a determinare una stagione degli uragani più attiva della media, sono delle anomalie climatiche identificate nel corso del 2021 e descritte nei report periodici dell’andamenti climatico globale pubblicati dal National Center for Environmental Information; si tratta del fenomeno di La Niña, che ha caratterizzato la prima parte del 2021. La costante anomalia positiva della temperatura superficiale dell’Oceano Atlantico nel corso dei mesi primaverili ed estivi; le piogge superiori alla media del monsone dell’Africa occidentale.
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