Il riscaldamento domestico è uno dei primi alleati dell’inquinamento atmosferico nonostante oggi possa puntare su tecnologie a emissioni zero e su fonti rinnovabili. Gli ostacoli provengono anche da incentivi e bonus ambientali che non si concentrano unicamente su impianti a fonti rinnovabili ma continuano a spingere anche quelli a combustibili fossili.
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Lo studio realizzato da Elemens per Legambiente indaga proprio sul ruolo e sul contributo del riscaldamento domestico alle emissioni di gas serra. L’obiettivo è quello di offrire soluzioni per la decarbonizzazione del settore, passando necessariamente attraverso l’eliminazione immediata del superbonus per le caldaie a gas. Lo studio, inoltre, guarda al 2025 come data strategica per vietare l’installazione di nuovi impianti alimentati da combustibili fossili.
Secondo i dati Ispra, in Italia, il riscaldamento degli edifici residenziali, commerciali e pubblici pesa sulle emissioni di CO2 per oltre il 17,7%. Il contributo più significativo all’inquinamento atmosferico arriva dal riscaldamento residenziale che, da solo, è responsabile del 64% della quantità di PM2,5, del 53% di PM10 e del 60% di CO emessi nel 2018, peggiorando notevolmente la qualità dell’aria, in maniera particolare nelle città del Centro-Nord.
Analizzando nel dettaglio i tipi di combustibile, viene fuori che la maggior parte delle abitazioni italiane (17,5 milioni su 25,5) utilizza il metano mentre i combustibili solidi, prevalentemente il legname, sono impiegati in 3,6 milioni di abitazioni, il riscaldamento elettrico e il gasolio in 1,3 milioni, il GPL in 1,2 milioni di case.
Lo studio di Elemens, come abbiamo detto in precedenza, analizza anche il ruolo quasi dannoso di alcuni incentivi ambientali che dovrebbero appunto facilitare la strada verso la decarbonizzazione. Il primo è l’ecobonus, il quale prevede incentivi per fonti di energia rinnovabili ma che nello stesso tempo spinge anche per quelle a combustibili fossili come il gas naturale: è il caso delle caldaie a condensazione, per le quali è previsto il totale rimborso delle spese da parte dello Stato. Poi abbiamo l’agevolazione volta a ridurre il prezzo per l’acquisto di gasolio e GPL nelle aree non metanizzate e – prosegue lo studio – l’aliquota IVA agevolata (pari al 10%) destinata ai consumi ad uso civile per il riscaldamento degli edifici, applicata ai primi 480 metri cubi di gas consumato nell’anno.
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Prendendo in analisi i risultati ottenuti negli ultimi anni con il meccanismo dell’Ecobonus – sottolinea Elemens -, si può notare come la maggior parte degli interventi sia stata fatta su caldaie a condensazione (quasi 100mila), seguita dalle pompe di calore (69mila). L’installazione di pannelli solari termici rimane invece molto limitata (circa 5mila interventi).
Per favorire la diffusione di sistemi di riscaldamento domestici a emissioni zero, Legambiente e Kyoto Club suggeriscono l’obbligo di accompagnare la dismissione degli impianti inquinanti con il passaggio a soluzioni ad alta efficienza energetica e basso impatto ambientale, come il solare termico e le pome di calore, oppure con l’introduzione di misure di supporto a queste tecnologie. Una terza tecnologia da tenere in considerazione secondo le due associazioni, è quella delle caldaie a biomassa legnosa. Contestualmente, si suggerisce di modificare gli incentivi che favoriscono i combustibili fossili.
Ridurre l’impatto del riscaldamento domestico sulla qualità dell’aria andrebbe anche a incidere sulla spesa delle famiglie. Nella lista dei consumi degli utenti residenziali, infatti, il riscaldamento domestico è quello che incide maggiormente (67% del totale) mentre il restante 33% è destinato ad acqua calda sanitaria, raffrescamento, illuminazione e apparecchiature industriali.
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