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La prima foto di un buco nero: ai confini dell’invisibile

Un momento storico per la fisica, la scoperta epocale della conferma alla teoria della relatività generale di Einstein

Gli scienziati le hanno dedicato anni di lavoro, e finalmente il 10 aprile è stata presentata la prima foto di un buco nero. Tecnicamente, l’immagine mostrata non è propriamente una foto, bensì un’elaborazione grafica di onde radio, ottenuta dall’analisi della mole di dati provenienti dalle galassie e registrata dall’Event Horizon Telescope (EHT), una serie di otto radiotelescopi, creati da una collaborazione internazionale, che, tramite la tecnica interferometrica, coprono l’intera scala planetaria, progettati esclusivamente per catturare le immagini di un buco nero.
L’immagine che tutti noi abbiamo visto, quindi, è il risultato più simile a ciò che potrebbe essere accaduto intorno a un buco nero che si trova a 55 milioni di anni luce da noi; o, ancora meglio, mostra come appariva il buco nero all’interno della galassia Virgo A, 55 milioni di anni fa, quando la luce iniziò il suo viaggio.

L’EHT

Nella conferenza stampa trasmessa dalla sede della Commissione Europea a Bruxelles, i ricercatori di EHT hanno svelato la prima prova visiva diretta del buco nero supermassiccio nel centro della galassia di Messier 87, ovvero Virgo A, e della sua ombra.

L’ombra di un buco nero è ciò che si può osservare, che più si avvicina all’immagine del buco nero stesso, un oggetto completamente oscuro da cui la luce non può sfuggire.
Il confine del buco nero – l’orizzonte degli eventi, da cui prende il nome l’EHT – è circa 2,5 volte più piccolo dell’ombra che proietta, e misura poco meno di 40 miliardi di km. Anche se la dimensione può sembrare enorme, questo anello ha una lunghezza di circa 40 microarcsecondi – equivalente a misurare la lunghezza di una carta di credito sulla superficie della Luna, come affermano i ricercatori di EHT.
Sebbene i telescopi che costituiscono l’EHT non siano fisicamente collegati, sono in grado di sincronizzare i loro dati registrati con orologi atomici – maser all’idrogeno – i quali, poi, sono stati raccolti a una lunghezza d’onda di 1,3 mm durante una campagna globale del 2017. Ogni telescopio dell’EHT ha prodotto enormi quantità di dati – circa 350 terabyte al giorno – archiviati su dischi rigidi a elio ad alte prestazioni, e trasferiti a supercomputer altamente specializzati – noti come correlatori – al Max Planck Institute for Radio Astronomy e al MIT Haystack Observatory, per essere combinati tra loro e analizzati.
In ultimo, sono stati convertiti nell’immagine che abbiamo visto, utilizzando nuovi strumenti computazionali, sviluppati dalla collaborazione internazionale. Il risultato, ciò che abbiamo potuto vedere, è un’ombra nera attorno alla quale appare un cerchio luminoso, molto più luminoso nella parte inferiore rispetto a quella superiore.

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I buchi neri

I buchi neri supermassicci sono oggetti astronomici relativamente piccoli e per questo motivo impossibili da osservare direttamente. Poiché la dimensione di un buco nero è proporzionale alla sua massa, più grande è un buco nero, maggiore è la sua ombra. Grazie alla sua enorme massa e relativa vicinanza, il buco nero di M87 è uno dei più grandi buchi neri visibili dalla Terra – rendendolo un obiettivo perfetto per l’EHT.
La comunità scientifica si aspettava di osservare un’immagine del buco nero all’interno di Sagittarius A, una radiosorgente molto complessa al centro della Via Lattea, chiamato Sagittarius A*, decisamente più vicino a noi, ma molto più piccolo e oscurato da gas e polveri che ne disturbano l’osservazione. Inoltre, Sagittarius A* è una sorgente di onde radio variabile, per cui la calibrazione dei dati e la composizione dell’immagine è risultata essere molto più complessa: essendo molto leggero, il tempo che un oggetto impiega per girare intorno al suo disco è solo di qualche minuto, rendendo l’immagine ottenuta molto variabile.
Al contrario, nonostante sia molto più distante di Sagittarius A* (circa 2000 volte), il buco nero di M87 (chiamato M87*) è anche 2000 volte più massiccio. Per cui l’aspetto che assume se osservato dalla Terra risulta paragonabile a quello di Sagittarius A*.

Cosa osserviamo quando guardiamo un buco nero?

Il professor Luciano Rezzolla, principal investigator del progetto BlachHoleCam, che ha firmato la “foto del secolo”, intervistato da Maura Sandri della redazione di Media INAF, il notiziario on-line dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ci aiuta a capire cosa abbiamo osservato dall’immagine:

Luciano Rezzolla
Luciano Rezzolla. Crediti: Wikimedia Commons / Luciano Rezzolla, Uwe Dettmar

«La luce viene prodotta perché il gas che cade sul buco nero è molto caldo e quindi emette radiazione, in particolare nelle onde radio, che sono quelle che a noi interessano di più perché non vengono assorbite e possono essere misurate dai nostri radiotelescopi. Quello che stiamo vedendo è l’immagine di faccia di un disco di accrescimento. Un disco di accrescimento vuol dire che la materia ruota intorno al buco nero. Siccome è un po’ inclinata, la parte inferiore del disco sarà più verso di noi, rispetto alla parte posteriore. In particolare, siccome la rotazione avviene in senso orario, ci sarà della materia che viene verso di noi, piuttosto che allontanarsi da noi. Il fatto che venga verso di noi crea un effetto di amplificazione. Quindi la parte inferiore è amplificata rispetto alla parte posteriore. È un effetto Doppler, che in relatività viene ancora di più esacerbato e ci consente di vedere questo grosso contrasto»

Non resta che sottolineare che l’immagine ottenuta collima perfettamente con ciò che ci si aspettava di ottenere dai calcoli della teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein, ed è servita anche a escludere altre teorie, come spiega ancora il professor Rezzolla a Media INAF:

«All’interno della stessa teoria di Einstein ci sono altri oggetti che non sono buchi neri, tipo i wormhole o le stelle di bosoni, che sono spesso invocate per spiegare cosa succede al centro galattico o al centro delle galassie. Questi oggetti possiamo escluderli, perché sono inconsistenti con le osservazioni. In particolare, in una stella di bosoni la parte centrale sarebbe molto più chiara di quello che noi vediamo adesso. Ci sono altri oggetti che non possiamo ancora escludere, così come ci sono buchi neri in altre teorie, diverse da quelle di Einstein. Queste teorie sono molto più convolute e richiedono delle assunzioni che non trovano un riscontro semplice. In fisica vengono dette esotiche, però sono plausibili e uno scienziato ha il dovere di essere agnostico quando si tratta di stabilire cos’è che la natura vuole. In questo momento possiamo soltanto dire che queste osservazioni sono in accordo con quanto predetto da Einstein. Questa è la teoria che conosciamo meglio, la più semplice e la più naturale. Alcuni candidati li abbiamo eliminati. In futuro ne elimineremo altri. Magari elimineremo Einstein. Siamo veramente arbitri imparziali»

Dmitrij Toscani

Nato a Como, dopo una formazione a carattere scientifico mi sono laureto in Fisica presso l’Università degli studi di Milano con una tesi di modellistica matematica applicata alla diffusione degli inquinanti in atmosfera. Qualche anno fa ho partecipato al progetto europeo LOOP incentrato su un’importante campagna di misurazione dello smog fotochimico in Lombardia. Sono stato speaker in alcuni convegni riguardanti l’inquinamento e la protezione civile. Oltre ad aver scritto articoli su riviste specializzate, sono coautore del “Manuale di Meteorologia”.

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