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Antropocene, l’era geologica dell’uomo nata già 7000 anni fa? Un’ipotesi che fa discutere

L’umanità potrebbe avere iniziato a modificare il clima molto prima di ciò che si ritiene (mentre ha sicuramente differito la prossima era glaciale)

L’Antropocene, l’era geologica in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana, potrebbe essere iniziata molto prima di ciò che si pensasse. Circa 11500 anni fa terminava l’ultima glaciazione e le temperature risalivano in tempi relativamente rapidi verso i valori prossimi a quelli attuali. In queste condizioni climatiche l’umanità ha sviluppato l’agricoltura e sono nate le prime grandi civiltà. I recenti 11500 anni, un periodo che i geologi hanno denominato Olocene, costituiscono uno dei tanti intermezzi “interglaciali” che si sono alternati alle lunghe fasi glaciali che hanno caratterizzato gli ultimi milioni di anni di storia del nostro pianeta.

Figura 1. Ricostruzione con 12 metodi diversi della temperatura superficiale media globale degli ultimi 12000 anni. La linea nera rappresenta i dati osservati nel periodo 1900-2010 (ERA20C reanalysis product 26). L’inserto mostra un ingrandimento relativo agli ultimi 2000 anni. Fonte: https://www.nature.com/articles/s41597-020-0530-7

 

Come sappiamo, e come evidenzia efficacemente la figura 1, l’utilizzo dei combustibili fossili negli ultimi 200 anni ha profondamente trasformato la composizione chimica dell’atmosfera determinando un repentino rialzo della temperatura planetaria del tutto fuori scala, per la sua velocità, rispetto alle variazioni naturali che si sono susseguite nelle ultime centinaia di migliaia di migliaia di anni.

Recentemente, tuttavia, lo studioso William Ruddiman ha portato all’attenzione della comunità scientifica l’ipotesi che l’umanità possa avere iniziato a lasciare la sua impronta sul clima già 7000 anni fa con lo sviluppo delle società agricole. Questa suggestiva teoria è nota come “The Early Anthropocene Hypothesis”, che potemmo tradurre con “Ipotesi dell’Antropocene Anticipato: il dibattito che ha innescato tra gli scienziati non si è ancora concluso, ma resta senza dubbio avvincente.

Un passo indietro: la storia delle glaciazioni 

Per capirci qualcosa in più è necessario fare un passo indietro e ripercorrere brevemente la storia delle glaciazioni e delle loro cause. La paleoclimatologia, la scienza che studia il clima del passato, ha scopeto che nella storia recente (“recente” in senso geologico) sulla Terra si sono verificate numerose fasi glaciali della durata di circa 100mila anni, intervallate da fasi interglaciali più brevi, lunghe circa 10-15mila anni, come l’epoca attuale.

Durante una glaciazione una spessa calotta di ghiaccio ricopre il Canada, parte degli attuali Stati Uniti settentrionali e l’intera Europa settentrionale; i ghiacciai alpini si estendono fino ai limiti dell’attuale pianura padana e riempiono completamente le valli oggi occupate dai laghi prealpini. L’enorme accumulo di ghiaccio sui continenti determina una sensibile diminuzione del livello del mare e la conseguente espansione delle terre emerse: fra l’altro, è proprio questa circostanza che permise ai nostri antenati asiatici di attraversare a piedi l’area che oggi chiamiamo Stretto di Bering e di colonizzare il continente americano.

Figura 2. Passato e futuro della radiazione solare media al top dell’atmosfera il giorno del solstizio d’estate alla latitudine di 65° N. Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Ice_age

I meccanismi complessi all’origine delle glaciazioni

All’origine delle glaciazioni vi sono meccanismi complessi, ancora oggi non compresi perfettamente nei dettagli, ma la teoria universalmente accettata fa riferimento ai cicli astronomici di Milankovitch: lo scienziato serbo ipotizzò, con il conforto di rigorosi calcoli astronomici, che le glaciazioni fossero scatenate dalle piccole variazioni dell’orbita terrestre attorno al Sole, legate all’attrazione degli altri pianeti. Queste variazioni (figura 3) sono l’eccentricità dell’orbita (periodo di circa 100mila anni), l’obliquità dell’asse terrestre (periodo di 41mila anni) e la direzione in cui punta l’asse (fenomeno chiamato anche precessione degli equinozi, con periodo di circa 26mila anni).

Figura 3: rappresentazione dei cicli orbitali terrestri. Fonte: https://theconversation.com/ice-ages-have-been-linked-to-the-earths-wobbly-orbit-but-when-is-the-next-one-70069

 

I tre cicli si sovrappongono, a volte amplificandosi, a volte annullandosi a vicenda producendo schemi complessi che rendono pressoché unica ogni fase climatica e ogni era glaciale. Malgrado la sua apparente plausibilità la teoria di Milankovitch non fu accettata subito senza riserve poiché le variazioni di energia solare associate a questi cicli sono piuttosto piccole: si ritiene infatti che per innescare una glaciazione (o una fase interglaciale) siano necessarie le giuste condizioni astronomiche (in particolare una bassa radiazione solare alle alte latitudini durante l’estate boreale) insieme al contributo di alcuni feedbacks atmosferici (tramite il biossido di carbonio), oceanici e terrestri (ad esempio il feedback della neve che inizia ad accumularsi e che riflette la radiazione solare).

Incidentalmente il fatto che piccole variazioni dell’input energetico alla sommità dell’atmosfera siano in grado di farci entrare o uscire da un’era glaciale dovrebbe far scattare in noi un campanello di allarme e farci riflettere su quanto il sistema climatico terrestre possa rivelarsi sensibile e, mi sia concesso il termine, “delicato”.

Figura 4. La concentrazione del metano (parti per miliardo) rinvenuto nelle carote di ghiaccio. Alcune migliaia di anni fa la sua concentrazione invertì la tendenza alla diminuzione e iniziò lentamente a crescere. Lo stesso andamento, all’incirca nello stesso momento, si osserva anche nelle concentrazioni di biossido di carbonio. Da: https://slideplayer.com/slide/4837371/

Antropocene, ecco perchè potrebbe essere iniziato 7000 anni fa

Esaurita questa premessa torniamo all’ipotesi di Ruddiman e alla sua idea che l’Antropocene sia cominciato da ben 7000 anni. Come abbiamo appena visto stiamo vivendo in una fase interglaciale che si è prolungata per quasi 12000 anni; sappiamo per certo che in assenza di perturbazioni antropiche prima o poi il futuro avrebbe riservato al pianeta una nuova glaciazione, forse già entro poche migliaia di anni. Secondo Ruddiman lo sviluppo dell’agricoltura, in particolare tramite la deforestazione e la coltivazione del riso, avrebbe potuto influenzare in modo apprezzabile il clima terrestre tramite le emissioni di biossido di carbonio (dovute alla deforestazione) e del metano (emesso soprattutto dalla risaie).

Ruddiman e gli altri scienziati sostenitori di questa idea suggeriscono che un contributo alla crescita del biossido di carbonio avrebbe potuto essere fornito dal feedback oceanico (gli oceani più caldi assorbono infatti quantità inferiori di biossido di carbonio). Un aspetto suggestivo di questa teoria risiede nel fatto che i nostri antenati avrebbero, sia pure inconsapevolmente, modificato a loro vantaggio non solo gli ambienti naturali, ma anche il clima stesso rendendolo particolarmente stabile, tiepido e adatto all’allevamento e alla coltivazione dei campi, come dimostrano tutte le ricostruzioni paleoclimatiche.

Nonostante il suo fascino la teoria di Ruddiman resta controversa ed è ancora dibattuta: teniamo presente che non si conoscono con la precisione desiderabile tutti i dati che servirebbero per poterla confermare (quanti ettari di foresta avevano abbattuto i primi agricoltori? Quanto riso coltivavano? Quali erano esattamente le altre condizioni di contorno, ad esempio le correnti oceaniche o l’attività vulcanica, che possono influenzare il clima?). Ci resta invece una certezza: quale che sia stato l’influsso sul clima delle attività umane in tempi preistorici, sappiamo per certo che l’aver bruciato combustibili fossili negli ultimi 200 anni ha differito di molte migliaia di anni la prossima glaciazione.

I dati paleoclimatici suggeriscono infatti che le glaciazioni possono iniziare solo quando le concentrazioni di biossido di carbonio sono sufficientemente basse, nell’ordine di 240 parti per milione. Anche se dovessimo smettere dall’oggi al domani di riversare carbonio in atmosfera serviranno migliaia e migliaia di anni perché le concentrazioni (attualmente superiori a 410 ppm) si riavvicinino alle condizioni preistoriche e venga smaltito tutto il calore accumulato negli oceani in questi secoli di forsennate combustioni.

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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