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La nebbia in Italia tra gli anni ‘80 e ‘90

Prosegue la nostra incursione nella storia del clima di fine secolo scorso: la nebbia aveva già mostrato una significativa diminuzione nelle sue apparizioni rispetto ai decenni precedenti. A cura di Simone Abelli e Giovanni Dipierro

Cominciamo con il ricordare in estrema sintesi cosa sia esattamente la nebbia.

Benché sia un fenomeno conosciuto sostanzialmente da tutti, è bene ricordare che in meteorologia si parla di nebbia quando le goccioline d’acqua condensate in prossimità del suolo riducono la visibilità al di sotto dei 1000 metri, quando la visibilità è superiore al chilometro si parla di semplice foschia.
Le statistiche climatologiche la trattano in termini di “giorni di nebbia” valutandone quindi la frequenza nei vari luoghi e periodi dell’anno. E un giorno viene classificato come “di nebbia” quando in una fase della giornata più o meno prolungata la visibilità è stata al di sotto dei 1000 metri. Ciò vuol dire che vengono considerati giorni di nebbia sia quelli invernali di gran nebbione che fa fatica a dissolversi anche di giorno, sia quelli estivi in cui la nebbia può apparire fugacemente in una notte insolitamente fresca e umida.

La mappe che seguono mostrano il numero medio di giorni di nebbia nelle varie stagioni meteorologiche dell’anno. Ricordiamo che in meteorologia e nelle statistiche climatologiche le stagioni non coincidono con la suddivisione astronomica: l’inverno comprende il trimestre dicembre-gennaio-febbraio, la primavera quello marzo-aprile-maggio …e così via.

Numero medio dei giorni di nebbia in inverno
Numero medio dei giorni di nebbia in autunno
Numero medio dei giorni di nebbia in primavera
Numero medio dei giorni di nebbia in estate

 

Le mappe sono state inserite a partire dalla stagione più nebbiosa, l’inverno, a quella estiva notoriamente meno favorevole alla formazione delle nebbie. Se in inverno si hanno picchi fino ai 45-50 giorni in alcune zone della Val Padana, in estate non si va oltre le 8 fugaci apparizioni anche nelle zone “più nebbiose”.
In termini di medie nelle singole città il campione analizzato ha dato il seguente risultato:

Questa distribuzione nelle varie stagioni naturalmente ricalca l’esperienza comune. Gran parte delle nebbie infatti sono nebbie da raffreddamento (aria sufficientemente umida, vicina alla saturazione, che si raffredda) per cui è normale che si concentrino nel semestre freddo, centrato sull’inverno, quando le temperature notturne scendono fino a valori in grado di far condensare il vapore acqueo vicino al suolo. Tra le stagioni intermedie la primavera è risultata meno nebbiosa dell’autunno in quanto, dati alla mano, è stata anche  mediamente più secca (piogge meno abbondanti e frequenti hanno favorito tassi di umidità più bassi).

Anche la distribuzione geografica non ci sorprende. Temperature abbastanza miti anche d’inverno, regime dei venti e morfologia del territorio rendono la nebbia un fenomeno decisamente raro in molte zone del Sud ma anche lungo le coste liguri e nel golfo di Trieste. La frequenza poi aumenta nelle aree pianeggianti della Puglia, della Campania, della Sardegna e del Centro, specie nelle valli e conche interne (una città come Frosinone ha numeri a volte comparabili con le nebbiose città del Nord). Poi ovviamente viene la pianura padano-veneta dove si va dai 50 a picchi di 100-110 giorni di nebbia all’anno: le aree più nebbiose sono quelle a cavallo del corso del Po, dal Piemonte fino al Polesine, in quanto sono anche le aree più basse e scarsamente ventilate dove l’aria fredda scivola dalle “alture” circostanti creando condizioni particolarmente favorevoli alla formazione e persistenza delle nebbie. Ai numeri lungo le coste dell’Adriatico dal Veneto alle Marche, dove si contano 40-60 giorni all’anno, e a quelli non indifferenti della Sardegna concorrono anche le nebbie cosiddette da avvezione che affluiscono dal mare o si formano in loco quando l’aria umida marittima invade la terraferma.

Ma quanto è stato nebbioso l’ultimo ventennio del secolo soccorso rispetto ai decenni precedenti?

Analizzando dati comparabili degli anni ’60 e ’70 in alcune città del Centronord si ottiene il seguente risultato:

La frequenza delle nebbie insomma si è ridotta sensibilmente, in alcune città della metà o anche più.

A queste riduzioni hanno concorso probabilmente vari fattori.

In primis temperature minime invernali e autunnali mediamente più elevate: i dati ci dicono che sono aumentate rispetto al ventennio precedente di 0.8 gradi al Nord e di 0.5 al Centro. In notti mediamente più calde viene raggiunta con minor frequenza la soglia di temperatura necessaria alla condensazione del vapore acqueo. Temperature superficiali del Mediterraneo in crescita che tendono a inibire la formazione delle nebbie d’avvezione in prossimità delle coste. E la riduzione del contenuto di zolfo nei combustibili utilizzati per i trasporti e il riscaldamento con conseguente abbattimento del 90 % dell’immissione nell’aria del biossido di zolfo. Il biossido di zolfo è infatti una delle componenti importanti del pulviscolo atmosferico che costituisce il supporto attorno al quale il vapore acqueo si condensa nella gocciolina (nuclei di condensazione).

 

Fonti: Abelli S., Dipierro G., Giuliacci M. Il clima dell’Italia nell’ultimo ventennio Milano ed. Alpha Test 2001

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Giovanni Dipierro

Giovanni Dipierro è un meteorologo di Meteo Expert (ex Centro Epson Meteo). Si è laureato in Fisica a Milano nel 1994 con una tesi svolta all’Osservatorio di Milano Duomo. Nel 1997 è entrato nello staff del nascente Centro Epson Meteo. Dal 2000 al 2010 è stato uno dei volti del meteo del Tg5. Nel 2013 ha ottenuto l’Attestato di competenza di meteorologo aeronautico secondo le linee guida del WMO. Nel 2017 ha ottenuto il certificato di competenza come “meteorologo” rilasciato dalla DEKRA. E’ coautore di due libri: “Il clima dell’Italia nell’ultimo ventennio” e “Manuale di meteorologia”.

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