Tre anni dopo la legge SalvaMare, il mare è ancora ostaggio dei rifiuti
Fondazione Marevivo e Federazione del Mare: «Senza decreti attuativi, la lotta contro l’inquinamento del mare resta sulla carta»

Sono passati tre anni dall’approvazione della cosiddetta Legge “SalvaMare”, ma nei porti italiani non esiste ancora un sistema per gestire i rifiuti accidentalmente pescati in mare. Eppure, dal 2022 a oggi, si stima che i pescherecci abbiano riportato a terra oltre 6.000 tonnellate di plastica, pneumatici, metalli e vetro. Tutto materiale che non può essere conferito nei porti se non a spese degli stessi pescatori, che finiscono per scoraggiarsi. Una situazione paradossale e grave, in piena emergenza da inquinamento del mare.
La denuncia arriva dalla Fondazione Marevivo e dalla Federazione del Mare, che sono state in prima linea – insieme ad altre realtà del mondo marittimo – nel promuovere la legge fin dalla sua ideazione. Approvata all’unanimità nel maggio 2022, la Legge 60/2022 è rimasta largamente inapplicata per l’assenza dei decreti attuativi. In particolare, manca quello relativo all’articolo 2, che dovrebbe stabilire modalità e criteri per la raccolta e il trattamento dei rifiuti pescati o volontariamente recuperati dal mare.
I costi li pagano i cittadini, ma il servizio non esiste
Un altro nodo critico è il costo della gestione dei rifiuti marini: da gennaio 2024 è in bolletta, nella Tari, ma il servizio previsto non viene svolto. Una beffa per chi paga, un ostacolo per chi raccoglie, un danno per il mare.
«Il cuore della SalvaMare è favorire il recupero dei rifiuti per un corretto smaltimento – ricorda Rosalba Giugni, presidente di Marevivo – ma finché mancano le regole, resta tutto bloccato».
Norme ferme anche per impianti di desalinizzazione, acquacoltura e biomasse
La legge, pensata come strumento sistemico, tocca anche altri nodi cruciali. L’articolo 12, ad esempio, dovrebbe fissare i criteri per gli impianti di desalinizzazione: una risorsa potenziale per affrontare la crisi idrica, ma a rischio impatto ambientale senza un quadro normativo chiaro. Lo stesso vale per gli impianti di acquacoltura (art. 13) e la gestione delle biomasse spiaggiate (art. 5), come la Posidonia: considerata un rifiuto in Italia, viene gestita come un patrimonio in Francia.
Barriere nei fiumi: soldi stanziati, ma pochi interventi
Uno dei pochi articoli attuati della legge SalvaMare – il numero 6 – prevede barriere galleggianti nei fiumi per intercettare i rifiuti prima che arrivino al mare per contrastare l’inquinamento del Mediterraneo. Con il decreto del dicembre 2023, sono stati stanziati 6 milioni di euro in tre anni. Ma molte amministrazioni locali non hanno ancora installato nulla. Eppure, è dimostrato che queste barriere funzionano.
«Nel 2022 salutammo questa legge come un passo avanti decisivo per proteggere il mare – ricorda Mario Mattioli, presidente della Federazione del Mare – ma in tre anni l’assenza dei decreti attuativi ha vanificato ogni slancio. Siamo di fronte a una colossale occasione sprecata».
Inquinamento del mare: un’urgenza ignorata
L’inquinamento del mare non aspetta. La plastica continua ad accumularsi, anche nei fondali. I pescatori – spesso gli unici a fare concretamente qualcosa – sono lasciati soli. E intanto, mentre la legge resta sulla carta, il mare italiano resta una discarica senza gestione.
Marevivo e la Federazione del Mare chiedono al governo un atto di responsabilità: emanare subito i decreti mancanti per rendere finalmente operativa la legge SalvaMare. Il tempo è già scaduto e il mare, ancora una volta, paga il prezzo della nostra lentezza.