O agiamo adesso o mai più. Report IPCC 2023: rischiamo un Mondo fino a 4 gradi più caldo
Le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio avranno impatti ora e per i prossimi millenni
Si è concluso lunedì 20 marzo 2023, con la pubblicazione del report di Sintesi (SYR6), il sesto ciclo di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) dell’IPCC in un decennio delicato e cruciale per l’azione climatica: gli scienziati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) hanno fatto il punto sulla massima conoscenza scientifica del cambiamento climatico in atto, e fornito ai decisori politici linee guida per fronteggiare, attraverso strategie di adattamento e mitigazione, la più grande crisi del Pianeta, quella climatica.
Il rapporto di Sintesi integra i risultati dei tre gruppi di lavoro – Le basi fisico-scientifiche (2021), Impatti, adattamento e vulnerabilità (2022), Mitigazione dei cambiamenti climatici (2022) – e dei tre rapporti speciali – Riscaldamento Globale di 1.5 (2018), Climate Change and Land (2019), Oceano e Criosfera in un clima che cambia (2019).
Si tratta di punti di riferimento cardine della letteratura scientifica relativa al cambiamento climatico in cui è stato individuato, come mai prima d’ora, il forte legame tra le emissioni antropogeniche e il riscaldamento globale.
In particolare, il rapporto di Sintesi pubblicato dall’IPCC fa il punto sullo stato di conoscenza sul cambiamento climatico, sui vasti impatti e rischi che comporta, sulle nostre possibilità di mitigazione e adattamento.
IPCC, il report di sintesi 2023 non lascia spazio a dubbi: il nesso uomo-cambiamento climatico è inequivocabile
Il rapporto di sintesi ribadisce innanzitutto il nesso inequivocabile tra attività umane e cambiamento climatico, contribuendo con l’emissione di gas serra al riscaldamento globale, con temperature globali che “nel periodo 2011-2020 hanno raggiunto gli 1,1°C oltre la media del periodo 1850-1900”. Le emissioni globali di gas a effetto serra hanno continuato ad aumentare, con contributi disuguali derivanti dall’uso non sostenibile dell’energia, dall’uso del suolo e dai cambiamenti nell’uso del suolo, dagli stili di vita e dai modelli di consumo e produzione tra le regioni, tra e all’interno dei paesi e tra gli individui.
Il costante aumento delle emissioni derivanti dalle attività umane non ha solo aumentato la temperatura globale, ma ha anche provocato impatti secondari su larga scala, nonché cambiamenti ambientali e atmosferici. “Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera” – affermano gli scienziati dell’IPCC. Il cambiamento climatico causato dall’uomo sta già influenzando molti eventi meteorologici e climatici estremi in ogni regione del mondo. Il loro impatto si è già tradotto in perdite e danni per la natura e per le persone.
In tutto questo, le comunità sproporzionatamente più vulnerabili sono purtroppo quelle che storicamente hanno contribuito meno all’attuale cambiamento climatico. Oltre 3 miliardi di persone vivono in zone estremamente vulnerabili rispetto alla crisi climatica.
Ma il nostro benessere dipende da quello della natura. Sussiste infatti una forte correlazione e interdipendenza tra il benessere delle persone e il benessere degli ecosistemi. Con l’aumento degli eventi meteo estremi, ondate di calore su terra e in mare, sono a rischio non solo le comunità ma anche gli ecosistemi. Il cambiamento climatico ha diminuito la sicurezza alimentare, la disponibilità e la sicurezza dell’accesso all’acqua.
L’acidificazione e il riscaldamento degli oceani hanno inoltre messo a rischio la capacità di produzione di cibo in alcune regioni del Mondo. La conservazione di circa il 30-50% delle terre emerse, degli oceani e delle riserve di acqua dolce potrebbe aiutarci nel mantenere il Pianeta in salute.
A che punto siamo con le strategie di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico?
In che modo stiamo quindi affrontando tutte queste problematiche e sfide? Secondo l’IPCC c’è un progresso nella pianificazione e l’attuazione di strategie di adattamento in tutti i settori e in tutte le regioni del Mondo, con benefici documentati ed una efficacia variabile. Nonostante ciò, però, “esistono lacune di adattamento” che continueranno probabilmente a crescere. “In alcuni ecosistemi e regioni sono stati raggiunti limiti, rigidi e flessibili, di adattamento”. Eppure, alcune regioni e settori stanno anche seguendo strategie di “disadattamento”, e gli attuali flussi finanziari globali relativi risultano insufficienti e limitano l’attuazione delle opzioni di adattamento, specialmente nei paesi in via di sviluppo.
Le politiche e leggi messe in campo per mitigare gli effetti del cambiamento climatico “si sono costantemente ampliate”. Secondo gli esperti le emissioni globali di gas serra nel 2030, implicite nei contributi determinati a livello nazionale (NDC), annunciati entro l’ottobre 2021 – quindi prima della COP26 – rendono probabile il superamento della soglia degli 1,5°C durante il 21° secolo, e renderanno più difficile limitare il riscaldamento al di sotto dei 2°C. Questo perché esiste un divario tra le emissioni previste dalle politiche attuate e quelle derivanti dagli NDC e dai flussi finanziari. Insomma, le politiche e misure messe in campo hanno tagliato in parte le emissioni, ma si tratta di riduzioni che hanno compensato solo in parte la crescita delle emissioni globali.
Ormai la soglia degli 1,5 gradi è vicina
Le continue emissioni di gas serra porteranno ad un aumento del riscaldamento globale. Secondo gli scienziati questo ci farà raggiungere la soglia di 1,5°C nel breve termine, e ogni incremento del riscaldamento globale intensificherà rischi multipli e simultanei. Una rapida e profonda riduzione delle emissioni globali quindi provocherebbe un sensibile rallentamento del riscaldamento globale nei prossimi due decenni e, entro pochi anni, anche cambiamenti evidenti nella composizione atmosferica. La soglia degli 1,5°C è praticamente ad un passo: ad oggi è molto più probabile il fatto che raggiungeremo tale soglia nel breve periodo, rispetto al fatto che resteremo al di sotto.
Secondo alcune proiezioni climatiche, e a seconda del taglio delle emissioni, è probabile che supereremo gli 1,5 gradi, per poi tornare sotto di tale soglia entro il 2100. In uno scenario a basse emissioni (SSP 1-1.9) tra il 2081 e il 2100 potremo avere un riscaldamento globale di 1,4 gradi. In uno scenario a medie emissioni (SSP 2-4.5) , invece, ci aggireremo intorno ai 2,7 gradi, mentre in uno scenario ad alte emissioni (SSP 5-8.5) arriveremo a 4,4 gradi.
Cosa rischiamo?
Più aumentano le emissioni, più grandi saranno le conseguenze. Ogni aumento della temperatura globale avrebbe effetti più intensi sul ciclo dell’acqua globale, aumentando la variabilità, le precipitazioni dei monsoni, eventi e periodi stagionali allo stesso tempo molto piovosi e molto secchi. Ondate di calore e siccità diventeranno ancora più frequenti.
I “carbon sink”, ovvero i “pozzi” di assorbimento di carbonio naturali terrestri e oceanici, saranno sempre meno efficaci, il volume e l’estensione degli elementi della nostra criosfera (ghiacciai e ghiacci marini) tenderanno a ridursi ulteriormente, il livello dei mari aumenterà e gli oceani andranno incontro ad una ulteriore acidificazione e deossigenazione. Gli eventi legati al livello dei mari fino ad oggi verificatisi con cadenza secolare, si verificheranno quasi ogni anno. Avremo un maggiore rischio di subire cicloni tropicali e tempeste extratropicali più intensi, e allo stesso tempo il terreno sarà più arido, con un maggiore rischio di incendi.
Alcuni di questi effetti ormai sono inevitabili, o irreversibili, ma è ancora possibile limitarne l’impatto attraverso una riduzione rapida e profonda delle emissioni di gas serra. Più aspettiamo, più rischiamo di spingere alcuni processi verso il loro punto di non ritorno. Più aumenta la temperatura globale più rischiamo di vedere l’estinzione di specie animali, la perdita di biodiversità in foreste, barriere coralline e nella regione artica. Se raggiungiamo un riscaldamento di 2 o 3 gradi potremmo perdere completamente i ghiacci della Groenlandia e dell’Ovest dell’Antartide, e sarà un processo irreversibile nei millenni a seguire.
Cosa dobbiamo fare?
Più aspettiamo, più anche le misure adottate oggi diventeranno insufficienti. Più aumenta la temperatura, più diventeranno ingenti le perdite e i danni derivanti dal cambiamento climatico. Per poter levare – per quanto possibile – l’uomo dall’equazione del riscaldamento globale bisogna raggiungere il net zero. Quello che faremo in questo decennio farà tutta la differenza sul raggiungimento della soglia di riscaldamento globale di 1,5 o 2 gradi. Se tra il 2020 e il 2030 le emissioni annuali di CO2 rimanessero, in media, allo stesso livello del 2019, le emissioni cumulative risultanti esaurirebbero quasi il restante budget di carbonio di 1,5°C (50%) e più di un terzo del rimanente budget di carbonio per 2°C (67%).
Per poter restare sotto gli 1,5°C o al massimo superare questa soglia per un tempo limitato, dovremmo tagliare le emissioni di CO2 di almeno il 48% (rispetto ai livelli del 2019) entro il 2030, del 65% entro il 2035, dell’80% entro il 2040, per arrivare al net zero entro il 2050. Le emissioni di gas serra dovrebbero ridursi del 60% entro il 2035, e dell’84% entro il 2050. Questo significa che non dovranno diminuire solo le emissioni di anidride carbonica, ma anche quelle degli altri gas serra, come il metano o il protossido di azoto.
Ogni ritardo ci costerà caro. Limitarci sotto la soglia dei 2 gradi sarà possibile con una riduzione delle emissioni di CO2 del 22% al 2030, del 51% al 2040 e del 73% a metà secolo.
Ogni nostro sforzo dovrebbe quindi mirare all’abbattimento delle emissioni alla fonte, e nei settori dove questo risulta più difficile, bisogna agire per controbilanciare le emissioni attraverso strategie di rimozione dell’anidride carbonica.
Strategie di mitigazione per raggiungere il net zero dovrebbero includere una transizione dai combustibili fossili senza cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) a fonti energetiche a emissioni di carbonio molto basse o pari a zero, come rinnovabili o combustibili fossili con CCS, e miglioramento dell’efficienza. Secondo le stime dei modelli, il cambiamento dell’uso del suolo, la silvicoltura e il settore dell’approvvigionamento energetico dovrebbero raggiungere il net zero di CO2 prima degli edifici, e del settore dell’industria e dei trasporti.
Il cambiamento climatico è una minaccia per il benessere umano e la salute del pianeta. La finestra delle opportunità per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti – insistono gli scienziati – si sta rapidamente. Lo sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici integra strategie di adattamento e di mitigazione per promuovere lo sviluppo sostenibile per tutti, ed è reso possibile solo con una maggiore cooperazione internazionale, un migliore accesso a risorse finanziarie adeguate, in particolare per le regioni, i settori e i gruppi vulnerabili, e una governance inclusiva e politiche coordinate. Le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio avranno impatti ora e per i prossimi millenni.
“L’integrazione di un’azione per il clima efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche vantaggi più ampi”, ha affermato il presidente dell’IPCC Hoesung Lee. “Questo rapporto di sintesi sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e lo dimostra, se agiamo
ora possiamo ancora garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti”.
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