I fulmini nell’Artico sono un segnale d’allarme per il clima

In un mondo sempre più caldo, i fulmini stanno facendo la loro comparsa in luoghi che, fino a poco tempo fa, ne erano quasi del tutto privi. L’Artico è tra questi. Secondo un approfondimento pubblicato da Yale Environment 360, negli ultimi anni si è assistito a un’impennata sorprendente di fulmini nelle regioni più settentrionali del pianeta, con implicazioni rilevanti per incendi, atmosfera e permafrost. Nel 2019, un fulmine ha colpito ad appena 50 km dal Polo Nord: un evento senza precedenti.
Fino a pochi anni fa, i fulmini erano quasi assenti nell’Artico. Oggi, invece, i dati mostrano un’accelerazione significativa. Secondo uno studio basato sul World Wide Lightning Location Network (WWLLN), gli eventi registrati sopra l’80° parallelo sono passati da circa 100 all’anno nei primi anni 2010 a oltre 7.000 nel 2021. E il trend è confermato anche da rilevamenti indipendenti, come quelli dell’azienda meteorologica finlandese Vaisala.
I fulmini sono un potente innesco di incendi. In particolare, nei climi freddi e secchi dell’Artico e della taiga, dove le cause umane sono meno frequenti, rappresentano la principale miccia dei roghi estivi. E i nuovi incendi sono diversi: più estesi, più intensi, capaci di bruciare il sottobosco ricco di carbonio e di accelerare la fusione del permafrost. Questo, a sua volta, rilascia metano, uno dei gas serra più potenti.
Eppure, il legame tra fulmini e clima non è univoco. Se da un lato possono scatenare incendi e alimentare il riscaldamento globale, dall’altro i fulmini producono ossidanti atmosferici in grado di “pulire” l’aria dal metano. Ricerche recenti hanno mostrato che i temporali possono generare grandi quantità di radicali ossidanti, molto più del previsto, con un potenziale effetto di contenimento del metano atmosferico.
Ma la questione resta aperta. I modelli climatici faticano a rappresentare fenomeni locali come i temporali, e le previsioni sull’evoluzione globale della fulminazione divergono ancora. Alcuni studi indicano un aumento su scala mondiale con il riscaldamento globale; altri, una possibile diminuzione in alcune aree. Una stima basata sui dati USA prevede un incremento del 12% di fulmini per ogni grado Celsius in più.
Nel frattempo, in Alaska – una delle aree più monitorate – le temperature estive medie sono aumentate di oltre 1 °C dagli anni ’70. Anche la pioggia è in aumento, ma non abbastanza da compensare l’asciutto che favorisce gli incendi. Le grandi stagioni di fuoco, un tempo rare, sono ora circa il doppio rispetto al passato. E i fulmini, segnalano sia le reti di monitoraggio che le comunità locali, sono sempre più frequenti.
Quel che accade nell’Artico potrebbe non restare confinato al nord. Se il riscaldamento globale continuerà a modificare la circolazione atmosferica, anche altre zone del pianeta potrebbero sperimentare un incremento dei fulmini. E con essi, nuovi rischi – e nuove incognite.
NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.