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Marmolada, la ricostruzione climatica del distacco glaciale

Distacchi di questo tipo sono la conseguenza di innumerevoli fattori, la ricostruzione climatica degli ultimi due mesi fornisce una plausibile spiegazione di uno di essi

Tra gli esperti non ci sono più dubbi sul fatto che il distacco glaciale, consistito nella frattura e relativo scorrimento a valle di un pezzo di ghiacciaio, sia diretta conseguenza del cambiamento climatico in atto sulla regione alpina.

Tutto ciò si inserisce perfettamente all’interno dello scenario di riscaldamento globale i cui effetti sulla massa glaciale della Marmolada, tra cui la sua riduzione volumetrica e areale, erano già ben visibili e noti da tempo. In soli 10 anni, dal 2004 al 2015, il ghiacciaio ha subito una riduzione di volume e di area rispettivamente del 30% e 22%. Questo è quanto emerge da uno studio congiunto del CNR, dell’Università di Trieste, Genova e Aberystwith e di Arpa Veneto del 2019, in cui si afferma che entro 20-25 anni la massa glaciale sarà praticamente scomparsa.

Ritornando all’evento che ha interessato il ghiacciaio della Marmolada, distacchi di questo tipo sono la conseguenza di innumerevoli fattori, tra cui deformazione del ghiaccio policristallino sotto lo stress del suo stesso peso, regolato da forze di distensione e contrazione. A loro volta queste forze sono influenzate dalla morfologia della roccia su cui poggia il ghiacciaio, e contrastate o favorite dalla frizione che ne consegue nell’interfaccia ghiaccio-roccia. Ed è proprio su quest’ultimo fattore che le condizioni meteorologiche possono aver svolto un ruolo importante attraverso la quantità di acqua prodotta. Una volta raggiunta la base del ghiacciaio, l’acqua ha modificato l’equilibrio generato dalle forze di frizione esercitate dalla roccia, provocando un “disaccoppiamento” di velocità all’interno della massa glaciale. Di conseguenza è scivolata verso valle la parte di ghiacciaio dove la forza di trascinamento era maggiore della forza di frizione, creando un’evidente frattura.

Da un mese a questa parte, giornali e televisioni ci raccontano dello stato di emergenza idrica in cui si trova il Nord Italia. Per quanto riguarda la regione alpina e i ghiacciai, ciò che più è mancato sono state le precipitazioni nevose del semestre “freddo”. Ciò, unito alle elevate temperature degli ultimi due mesi, ha rapidamente esposto le masse glaciali all’azione degli agenti atmosferici.

Fig.1 – Anomalia di temperatura media nei mesi di maggio e giugno all’altezza geopotenziale di 700 hPa (Circa 3500 metri) in Europa e sull’Italia.

Primo fra tutti il persistente caldo “africano” che negli ultimi 2 mesi ha agito indisturbato, portando molto spesso lo zero termico oltre i 4000 metri di altitudine. Sulla Marmolada, a 3265 metri, l’azione dell’alito nord africano ha mantenuto costante l’afflusso di aria calda subtropicale che ha determinato lunghi periodi di temperature elevate come mostrato in figura 1 dove complessivamente nei mesi di maggio e giugno, alla quota isobarica di 700 hPa (circa 3500 metri) nella zona alpina, il termometro si è mantenuto di 2 gradi al di sopra della media del trentennio 1991-2020.

In questo senso è significativo osservare l’andamento della temperatura media registrata negli ultimi 60 giorni presso la stazione di Punta Rocca, gestita da Arpa Veneto.

Fig 2 – Andamento della temperatura media giornaliera presso la stazione Punta Rocca a 3265 metri e collocata sulla Marmolada (fonte dati: Arpa Veneto)

Dando un primo sguardo al grafico (fig 2), ciò che appare evidente è la predominanza di temperature sopra lo zero a scapito di quelle al di sotto del punto di congelamento. Si contano ben 49 giorni su 60 con temperatura media che non è mai scesa al di sotto dello zero.

In particolare ciò che appare sconcertate è il fatto che dal giorno 11 giugno, la temperatura si sia mantenuta costantemente al di sopra dello zero, favorendo l’apporto continuo di calore sul ghiacciaio. Questo ha provocato un ininterrotto periodo di fusione dai caratteri eccezionali, a causa del quale gli enormi volumi di acqua che penetrano e scorrono al di sotto della massa glaciale, possono aver favorito, come menzionato precedentemente, lo scivolamento dello stesso, diminuendo l’attrito nell’interfaccia ghiaccio-roccia, inducendo il distaccamento avvenuto sul ghiacciaio.

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Luca Maffezzoni

Nato a Brescia nel 1989, fin dalla giovane età mostra una passione innata verso le tematiche climatiche e ambientali. Dopo aver ottenuto il diploma di Liceo Scientifico consegue prima la laurea triennale in scienze ambientali attraverso la discussione di una tesi riguardante le ondate di calore estive sulla penisola italiana nell’ultimo ventennio. Successivamente, grazie una tesi sperimentale volta allo studio della risposta dei ghiacciai alpini al Global Warming, ottiene la laurea magistrale in scienze e tecnologie ambientali con indirizzo climatico presso il DISAT dell’Università Bicocca di Milano nel Novembre 2015. Dopo una breve esperienza come insegnate di matematica e scienze presso una scuola secondaria di primo grado, ottiene un assegno di ricerca presso L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) della durata di un anno dove si occupa dello sviluppo e mantenimento dell’Archivio Storico Macrosismico Italiano (ASMI). In fine, nel novembre del 2017 si traferisce all’università LJMU di Liverpool dove inizia un dottorato di ricerca volto a studiare gli effetti dei cicloni extratropicali sulla calotta glaciale Groenlandese. Tale esperienza è accompagnata da costante attività di insegnamento all’interno dell’università dove si occupa di fornire agli studenti le basi di statistica, programmazione e utilizzo di Geographic Information System (GIS) necessari per poter lavorare e gestire dati meteorologici, climatici e ambientali.

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