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Ambientalisti in allarme: un enorme giacimento petrolifero tra Namibia e Botswana minaccia l’ecosistema

I progetti di una compagnia canadese potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza degli animali, elefanti in particolare e della popolazione

Attivisti e ambientalisti lanciano un importante allarme: migliaia di elefanti sono minacciati dalla costruzione di un enorme giacimento petrolifero tra Namibia e Botswana. Il progetto è di ReconAfrica, una società canadese di petrolio e gas che lavora in collaborazione con i governi nazionali per esplorare il potenziale di petrolio e gas nel nord-est della Namibia e nel Botswana nord-occidentale, nel bacino del Kavango. Sono in molti a sostenere che i lavori potrebbero devastare gli ecosistemi, la fauna selvatica e le comunità locali. La compagnia sta perforando pozzi esplorativi mettendo a rischio le già scarse risorse idriche e potrebbe causare un disordine ecologico. La società che ha affittato più di 34000 km² di terreno, stima che il potenziale petrolio generato nel proprio impianto potrebbe essere compreso tra 60 e 120 miliardi di barili e valere miliardi di dollari per l’economia regionale. Il governo namibiano ha dichiarato che per il momento sono state concesse solo licenze esplorative, sottolineando che le zone di ricerca non sono situate in alcuna area di conservazione e non avranno alcun impatto significativo sulla fauna selvatica.

Foto di Stefania Andriola

Scienziati, ambientalisti e comunità locali però non sono d’accordo considerato che le riserve idriche della zona sono già scarse e per la grave minaccia di rovinare il Delta dell’Okavango in Botswana. Patrimonio dell’umanità, è il secondo più grande delta fluviale interno del mondo, dopo quello del Niger e rappresenta uno degli ecosistemi più insoliti del Pianeta. È formato dal fiume Okavango che nasce in Angola e giunge alla foce dopo un percorso di oltre 1.000 km e l’incontro con numerosi affluenti. Complessivamente il fiume porta ogni anno circa 11 chilometri cubi di acqua che vengono scaricati dal delta direttamente nella sabbia del deserto Kalahari, formando una pianura alluvionale di 15000 km² di estensione caratterizzata da una complessa e mutevole griglia di canali, lagune e isole. Questo ambiente straordinario ai bordi del deserto, favorisce la presenza di una fauna e una flora prosperose e ha attirato numerosi insediamenti umani: nei pressi del delta dimorano ben 5 diverse etnie.

Foto di Christo Ras da Pixabay

Negli ultimi mesi nell’area sono stati trovati morti più di 300 elefanti: le autorità hanno escluso il bracconaggio considerato che le zanne degli animali erano intatte e le guardie forestali puntano il dito contro alcune tossine naturali presenti nell’acqua stagnante. Gli scienziati stanno cercando di trovare la causa dei decessi e ritengono sia da ricercarsi in una quantità crescente di alghe tossiche, causate dal riscaldamento globale. “È incomprensibile che la caccia di ReconAfrica ai combustibili fossili stia andando avanti. Oggi sono meno di 450000 gli esemplari che sopravvivono in Africa, rispetto ai milioni di non molto tempo fa: 130000 di questi hanno scelto la regione dove si è deciso di costruire il giacimento come casa. Le vibrazioni del lavoro esplorativo sono note per disturbarli e l’aumento di costruzioni, strade e traffico non solo allontanerebbe gli animali ma aprirebbe anche l’area ai bracconieri. Soprattutto quando hanno piccoli, evitano le aree dove c’è attività umana, dove c’è rumore e ciò che vedono come un pericolo. Questo può allontanarli dalle loro antiche rotte migratorie e avvicinarli a villaggi e aree agricole, portando a un conflitto uomo-elefante. Centinaia di elefanti sono morti per una fioritura di alghe causata dai cambiamenti climatici e a pochi chilometri di distanza e vogliono iniziare a trivellare per ottenere ancora più petrolio. Il progetto porterà posti di lavoro ed enormi benefici economici alla regione ma danneggerà l’ambiente” queste le parole dell’ambientalista Rosemary Alles di Global March for Rhinos and Elephants, la cui missione è proteggere elefanti e rinoceronti dal bracconaggio e lavorare con le comunità indigene per influenzare i governi e i leader mondiali sul tema.

Foto di Stefania Andriola

Ogni elemento di questo progetto, dalla costruzione di nuove strade, ai siti di perforazione, passando alle raffinerie, devasterà l’ecosistema e le comunità locali che dipendono da esso per l’agricoltura e la pesca” ha evidenziato Nnimmo Bassey, direttore della Health of Mother Earth Foundation e presidente di Oilwatch Africa, una rete che si fonda sulla solidarietà e promuove un’identità comune nei popoli dell’Africa cercando di fermare l’espansione delle attività di estrazione di combustibili fossili che degradano i territori, socialmente e ambientalmente. L’azienda ha cercato di fare un po’ di chiarezza sul proprio operato replicando: “Crediamo sinceramente che l’industria energetica stabile della regione possa essere sviluppata in modo responsabile dal punto di vista ambientale e sociale, che sostenga lo sviluppo e la fornitura di benefici economici e sociali tanto necessari, oltre a finanziare investimenti nella conservazione della fauna selvatica e dell’ecologia locali. Ci sono misure in atto per affrontare i problemi di rumore e vibrazioni, abbiamo installato pozzi d’acqua comunitari a energia solare, usiamo fluidi di perforazione a base d’acqua, biodegradabili, privi di cloruri e attrezzature a bassa frequenza per proteggere le comunicazioni con la fauna selvatica. Impianti che non funzionerebbero di notte, quando gli elefanti sono soliti comunicare tra loro. Ci impegniamo a continuare a lavorare a stretto contatto e sotto la diretta supervisione dei governi di entrambi i Paesi, nonché delle loro autorità regionali e tradizionali, per garantire di continuare a rispettare le leggi e i regolamenti pertinenti in tutte le fasi della nostra operazione”.

Sono più di 200000 le persone a cui la vita potrebbe cambiare per questo progetto, inclusi gli indigeni San, i più antichi abitanti dell’Africa australe che si spostano in funzione delle piogge per nutrirsi. Le comunità locali si sostentano grazie all’agricoltura, alla pesca e al turismo; appresa la notizia dalla radio e dai social media, sono in molti a temere di essere costretti a lasciare la propria casa.

Foto di Alex Strachan da Pixabay

 

Stefania Andriola

Lavoro in redazione da febbraio 2010. Mi piace definirmi “giornalista, scrittrice e viaggiatrice”. Adoro viaggiare, conoscere culture diverse; amo correre, andare in bicicletta, fare lunghe passeggiate ma anche leggere un buon libro. Al mattino mi sveglio sempre con un’idea: cercare di aggiungere ogni giorno un paragrafo nuovo e interessante al libro della mia vita e i viaggi riempiono le pagine che maggiormente amo. La meteorologia per me non è solo una scienza ma è una passione e un modo per ricordarmi quanto siamo impotenti di fronte alle forze della natura. Non possiamo chiudere gli occhi e dobbiamo pensare a dare il nostro contributo per salvaguardare il Pianeta. Bastano piccoli gesti.

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