Emissioni AI: +50% in tre anni per i big tech, mentre i data center divorano elettricità

L’intelligenza artificiale non è solo una corsa alla potenza di calcolo, ma anche una corsa all’energia. Secondo il rapporto “Greening Digital Companies 2025” dell’ITU, l’agenzia ONU per le tecnologie digitali, le emissioni operative delle aziende tech più coinvolte nello sviluppo dell’AI sono cresciute del 50% tra il 2020 e il 2023. L’aumento è legato in gran parte all’esplosione della domanda energetica dei data center.
Quanto consuma l’AI
Nel 2023, i data center hanno assorbito 581 terawattora (TWh) di elettricità, pari al 2,1% del consumo globale. Le aziende più impegnate nell’AI – Amazon, Microsoft, Meta, Alphabet (Google) – sono responsabili della fetta più ampia. Le loro emissioni operative hanno raggiunto il 150% del livello del 2020, ovvero un aumento del 50% in tre anni.

Le emissioni più critiche legate all’AI sono quelle indirette da elettricità acquistata, relative all’uso continuo di server e sistemi di raffreddamento. Solo 23 aziende su 200 usano davvero il 100% di elettricità generata da fonti rinnovabili. Le altre si affidano a certificati o accordi che non sempre riflettono un disaccoppiamento reale dalle fonti fossili.
Una crescita fuori scala
La domanda energetica globale dei data center cresce a una velocità quattro volte superiore rispetto alla media. L’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede che entro il 2030 supererà i consumi dell’intero Giappone. E per il 2035 si parla di un range fra 700 e 1.700 TWh, trainato proprio dall’AI.
Emissioni AI: un effetto collaterale che brucia
Le emissioni generate per l’AI sono un enorme prezzo ambientale per la rivoluzione digitale. Le aziende digitali rappresentano oggi lo 0,8% delle emissioni energetiche mondiali, più di Argentina, Bolivia e Cile messi insieme.
Ma il dato più inquietante riguarda le emissioni lungo la filiera: l’84% dell’impronta climatica è esterna alle attività dirette delle aziende. Parliamo di fornitori, trasporti, produzione di chip e uso dei prodotti venduti. Sono le più difficili da misurare, ma anche le più consistenti.
Il divario tra promesse e azioni
Nel 2023, molte aziende avevano annunciato target di riduzione delle emissioni, ma nessuna delle dieci più inquinanti si è dotata di obiettivi certificati dalla Science Based Targets initiative (SBTi). E i risultati restano deboli: molte strategie si basano su metriche relative (intensità per fatturato) e non su tagli reali. Servono obiettivi vincolanti, trasparenza e un cambio di passo.
Il rapporto dell’ITU è disponibile in versione integrale, in inglese, a questo link.