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Sistema climatico: i meccanismi di retroazione

Il ruolo dei feedbacks nel fenomeno dell’amplificazione artica

Il cambiamento climatico e l’aumento della temperatura terrestre sono strettamente connessi alle emissioni di gas climalteranti ed in particolare al più abbondante di questi, il biossido di carbonio. I gas come la CO2 intercettano efficacemente la radiazione infrarossa emessa dalla Terra verso lo spazio, ma da soli non sarebbero sufficienti a spiegare l’aumento della temperatura che osserviamo nel sistema.

L’azione dei gas-serra è infatti accompagnata da importanti meccanismi di retroazione (feedbacks positivi) che tendono a rinforzare il riscaldamento; altri meccanismi, per nostra sfortuna meno efficaci, possono invece attenuare l’effetto dei gas climalteranti (feedbacks negativi). La regione artica, come previsto da decenni dai modelli, si sta dimostrando estremamente sensibile al cambiamento climatico, sta perdendo velocemente i suoi ghiacci e si sta scaldando ad un ritmo più che doppio della media globale (Amplificazione Artica). Esaminare i meccanismi di retroazione che agiscono nelle regioni polari è molto istruttivo e ci fornisce un’occasione per illustrare alcuni aspetti dell’estrema complessità del sistema climatico.

Figura 1: Schema di alcuni fra i più importanti feedback radiativi e non radiativi nelle regioni polari, che coinvolgono l’atmosfera, l’oceano, il ghiaccio marino ed il ghiaccio continentale. In giallo è rappresentata la radiazione solare, in rosso la radiazione infrarossa. Il segno (+ o -) indica il verso del feedback. Altre spiegazioni di questa immagine (reperibile su: https://www.nature.com/articles/s41467-018-04173-0) sono in questo articolo

A livello globale il feedback di gran lunga più importante è legato al vapore acqueo (water vapor): in un’atmosfera più calda (a causa dei gas climalteranti) aumenta la concentrazione del vapore acqueo, anch’esso un efficace gas serra, e questo a sua volta determina un’ulteriore crescita delle temperature instaurando un classico ciclo auto-rinforzante. Il feedback da vapore acqueo è particolarmente intenso nella fascia tropicale, a causa delle sue alte temperature, ma esercita un ruolo di primo piano anche nella regione polare. Un feedback positivo che è invece caratteristico delle aree polari è quello dovuto alle variazioni dell’albedo (surface albedo in figura 1; albedo è sinonimo di “riflettanza”). In questo caso il meccanismo è ben noto ed è abbastanza intuitivo: a causa dell’aumento delle temperature neve e ghiaccio, che sono assai riflettenti, fondono più facilmente esponendo la superficie sottostante (suolo o acqua) direttamente alla radiazione solare che viene in buona parte assorbita anziché essere riflessa verso lo spazio. Continuando con l’esame della figura 1, concentriamoci ora sul feedback negativo denominato Planck: il nome fa riferimento ad una delle fondamentali leggi della fisica, la legge del corpo nero (o di Stefan-Boltzmann). Poiché tutti i corpi emettono radiazione in funzione della quarta potenza della temperatura assoluta questo feedback tende a raffreddare la superficie terrestre tanto più essa è calda; il feedback di Planck per questo motivo è più importante nelle calde aree tropicali rispetto alle fredde regioni polari.

Figura 2: schema del “lapse rate feedback”. Ai poli esso è positivo (si veda il profilo di temperatura a destra). La variazione di temperatura alla sommità della troposfera è piccola ed è pertanto modesta la quantità di radiazione infrarossa uscente (OLR: outgoing longwave radiation). Immagine tratta da: https://matthewjhenry.github.io/posts/2019/03/AA-Outreach/

Il feedback da lapse rate è un’altra delle retroazioni che spiega la particolare sensibilità della regione artica ai cambiamenti climatici. Il “lapse rate”, che può essere tradotto in italiano con “gradiente termico verticale”  indica l’andamento della temperatura rispetto alla quota. In un’atmosfera più calda la troposfera potrebbe scaldarsi uniformemente, oppure potrebbero scaldarsi maggiormente gli strati superiori, o maggiormente quelli inferiori. Sulla fascia tropicale i potenti moti convettivi rimescolano la troposfera in profondità; inoltre la condensazione del vapore acqueo nelle imponenti nubi temporalesche libera grandi quantità di calore latente: per questo motivo alle basse latitudini l’alta troposfera tende a scaldarsi maggiormente rispetto agli strati superficiali; a sua volta un’alta troposfera relativamente calda è in grado di emettere molta radiazione termica verso lo spazio raffreddando l’atmosfera. Ai poli si verifica il contrario: la troposfera polare presenta solitamente una stratificazione stabile (vale a dire aria fredda in basso, aria relativamente più calda in quota) e il meccanismo di retroazione descritto cambia segno, contribuendo a rinforzare il riscaldamento.

Banchi di stratocumuli sul lago di Varese. Nubi basse come queste tendono, globalmente, a raffreddare il clima. Foto di Letizia Molinari.

La rappresentazione e la quantificazione degli effetti climatici globali della nuvolosità resta tuttora una grande sfida (probabilmente la maggiore) per i modelli del clima e per la comunità scientifica. Limitatamente alla regione artica accenniamo a due esempi particolari legati ai climi freddi: il primo riguarda la formazione delle nubi basse sulle aree di mare liberatesi dal ghiaccio  a causa del riscaldamento atmosferico. Durante l’inverno polare al di sopra dei tratti di mare non ghiacciato l’umidità marina può condensare dando origine a strati nuvolosi bassi in grado di intrappolare la radiazione uscente contribuendo così ad accentuare il riscaldamento locale (cloud sea-ice positive feedback). Il secondo esempio riguarda la composizione delle nubi e ha segno opposto, si tratta quindi di un feedback negativo che tende a raffreddare localmente le medie e alte latitudini: esso deriva dal fatto che le nubi composte da goccioline (acqua allo stato liquido) riflettono con maggiore efficienza la radiazione solare rispetto alle nubi composte da cristalli di ghiaccio. In un clima più caldo le nubi hanno un maggiore contenuto di acqua liquida e quindi sono in grado di riflettere una porzione maggiore della radiazione solare verso lo spazio (cloud optical depth feedback).

I fenomeni di retroazione non riguardano solo la radiazione, ma coinvolgono anche il ghiaccio e la sua interazione con l’acqua di mare, oltre alla biologia. In tempi relativamente lunghi, ad esempio, le grandi calotte di ghiaccio continentale (come quella groenlandese, spessa anche 2-3 km) si assottigliano e la superficie del ghiacciaio viene a trovarsi ad una quota inferiore, esposta a temperature più alte: un altro feedback positivo. Altri complessi fenomeni si verificano all’interfaccia tra il ghiaccio marino e l’acqua: la formazione del ghiaccio libera il sale marino influendo sulla densità dell’acqua e sulla sua stratificazione; un meccanismo analogo si verifica quando il ghiaccio fonde, producendo acqua fredda e dolce. A titolo di esempio proviamo a descrivere la retroazione negativa nota come ice growth-thickness feedback: questo effetto si spiega con la bassa conducibilità termica del ghiaccio (e anche della neve sovrastante, se presente). Quando il ghiaccio è sottile la sua crescita, esposto alle gelide temperature dell’aria, è rapida; in seguito, aumentando di spessore, la crescita rallenta perché lo strato inferiore di ghiaccio a contatto con l’acqua è meno freddo. In questo modo se una perturbazione alla superficie tende a far fondere una parte di ghiaccio, lo strato si assottiglia lentamente, ma allo stesso tempo diviene anche più reattivo ad un eventuale successivo calo delle temperature che lo riporterà verso una nuova rapida fase di congelamento.

Ci avviamo alla conclusione: come abbiamo illustrato il clima è il risultato della sovrapposizione di numerosi fenomeni che spesso agiscono insieme, a volte rinforzandosi a vicenda, altre volte cancellandosi parzialmente. Tra le caratteristiche di molti di questi fenomeni vi è anche ciò che li rende al tempo stesso affascinanti e di difficile descrizione: sono eventi tra loro interdipendenti e non lineari. Nel momento in cui il suolo si libera dalla neve, ad esempio, l’effetto albedo cambia drasticamente; al tempo stesso una superficie che si scalda di più condurrà ad una stratificazione meno stabile della colonna d’aria, influendo sull’intensità del feedback di lapse rate.

Al netto di questa estrema complessità, tuttavia, a rendere così forte la risposta della regione artica al fenomeno del riscaldamento globale sono principalmente:

1) un feedback da lapse rate positivo e relativamente forte;

2) una risposta negativa relativamente debole del feedback di Planck, a causa delle basse temperature della regione;

3) un forte feedback positivo associato all’albedo, dovuto alle perdita di vaste superfici innevate e ghiacciate, unito al contributo del trasporto di calore atmosferico.

 

 

Fonti e approfondimenti consigliati: 

Goose, H. et al. Quantifying climate feedbacks in polar regions. Nature Communications (2018)

Phitan, F., Mauritsen, T.  Arctic amplification dominated by temperature feedbacks in contemporary climate models. Nature Geoscience  7,  181–184 (2014)

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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