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Libia, tra guerra e pandemia: dove si toglie acqua per togliere vita

Mentre il mondo si ferma per contenere la pandemia da Covid-19, a Tripoli cadono bombe sulle terapie intensive e viene interrotta la fornitura di acqua

La maggior parte dei paesi è in lockdown per contenere la diffusione del Covid-19, segnando questo periodo con immagini di città vuote e silenziose, ma ci sono dei posti nel mondo dove il silenzio è solo un rumore bianco che scandisce il tempo tra una esplosione e l’altra, uno di questi è la Libia. In terra libica gli scontri non si fermano nonostante la pandemia e colpiscono le città e i civili che non hanno lasciato le loro case, colpiscono non solo con armi tradizionali ma anche con il taglio delle risorse indispensabili per la vita.

La Libia è il territorio di guerra del Medio Oriente, che da molti viene definito, il territorio ignorato dall’Occidente: la guerra di cui tutti sanno, ma a cui alcuna volontà politica sta mettendo fine.  Il conflitto armato colpisce diverse aree di Tripoli, Surman, Sabratha, Zuwara, Abu Grein, Bani Walid, territori da cui arrivano segnalazioni di danni materiali, morti, feriti – alcuni migranti altri civili- , combattenti uccisi, attacchi aerei e razzi.

Mentre l’UNSMIL, la missione politica di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, continua ad esprimere grave preoccupazione per le notizie di attacchi contro civili soprattutto nelle città costiere occidentali recentemente sequestrate dalle forze del GNA (il governo di accordo nazionale), il 6 aprile, l’ospedale generale Al Khadra di Tripoli è stato bombardato.

L’ospedale Al Khadra, con 400 posti letto, è una delle strutture in cui si possono curare i malati di Covid-19 in Libia. Il virus che sta paralizzando il mondo è cieco e non risparmia le zone di guerra, ma anche chi bombarda il luogo in cui si curano i malati e si fanno nascere i bambini deve essere cieco per infliggere tali orrori. Da Marzo 2020, un totale di 27 strutture sanitarie sono state danneggiate a causa della vicinanza di scontri armati, tra cui 23 strutture sanitarie che sono a rischio di chiusura a causa del mutamento delle linee di conflitto. L’ospedale Al Khadra è stato colpito da bombardamenti indiscriminati che hanno danneggiato l’edifico e i reparti di terapia intensiva, azione militare vietata dalle convenzioni internazionali.

Il 10 aprile, il coordinatore umanitario per la Libria, Yacoub El Hillo, ha denunciato l’interruzione dell’approvvigionamento idrico ed elettrico. La corrente e l’acqua erano state interrotte da una settimana, coinvolgendo più di due milioni di persone, tra cui 600.000 bambini di Tripoli e delle città circostanti.

L’interruzione, secondo quanto riportato nella dichiarazione di El Hillo e dall’emittente Al Jazeera,  è stata causata da un gruppo nell’area di Shwerif come tattica di pressione per garantire il rilascio di uno dei membri della famiglia del gruppo armato, “l’acqua non dovrebbe mai essere utilizzata come carta di pressione né come arma di guerra” scrive El Hillo, e di fatto l’attacco all’approvvigionamento delle fonti idriche è vietato dalle convenzioni internazionali. 

Le interruzioni di acqua e corrente elettrica non sono una storia nuova né per Tripoli né per il resto della Libia. Il 20 maggio 2019, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite ha rilasciato una dichiarazione in cui condannava l’interruzione deliberata dell’approvvigionamento idrico a Tripoli e in altre città del nord-ovest, colpendo ancora potenzialmente oltre 2 milioni di persone. Anche in questo caso l’interruzione avveniva per mano di un gruppo armato che prese d’assalto una stazione di controllo del Grande Fiume Artificiale a Jabal al-Hasawna. Il 21 maggio è stata ripristinata la fornitura d’acqua a Tripoli. Questo è stato uno dei tanti casi in cui un gruppo armato ha usato la minaccia di interrompere l’approvvigionamento idrico a Tripoli per ottenere qualcosa da parte delle autorità. 

Questi fatti che si ripetono dimostrano la vulnerabilità dell’approvvigionamento idrico su cui fanno affidamento milioni di libici. 

La siccità è estrema in territorio libico, solo il 5% del territorio riceve in media almeno 100 mm di pioggia all’anno. L’approvvigionamento idrico dipende per il 95% dalle estrazioni da falde sotterranee, in particolare dal Nubian Sandstone Aquifer System (NSAS) un bacino fossile di acqua dolce. Il NSAS si trova tra i 600 e i 2000 metri di profondità sotto le sabbie del Sahara e si estende tra i confini di Libia, Egitto, Sudan e Chad. Con l’appoggio di Muammar Gheddafi, è stato costruito negli anni Ottanta il Grande fiume artificiale per estrarre l’acqua fossile dal deserto e distribuirla tutto il paese.

Il territorio ha una copertura idrica data dal Grande Fiume Artificiale, che fornisce oltre il 60% di acqua al popolo libico. Secondo le fonti del luogo, la distribuzione di acqua da parte del Grande Fiume Artificiale a Tripoli si è ridotta del 37% e per l’intera Libia del 25% dall’inizio del conflitto; la diminuzione è dovuta anche al fatto che la manutenzione programmata regolare è passata in secondo piano a causa dei conflitti.

Anche i tagli all’elettricità dovuti a infrastrutture danneggiate hanno provocato un approvvigionamento irregolare di acqua. Oltre all’incertezza dell’approvvigionamento di corrente elettrica e risorse idriche, si teme che le autorità locali non siano in grado di accedere alle principali discariche nelle aree colpite dal conflitto, portando a un accumulo di rifiuti solidi a Tripoli che, in presenza di condizioni meteorologiche calde proprie delle stagioni estive, favorirebbe il ristagno e la proliferaziola diffusione di batteri e virus. 

Il taglio degli approvvigionamenti idrici ed elettrici ha conseguenze anche sulla sicurezza alimentare, i mercati vengono chiusi, sia per la difficoltà di accedervi fisicamente, sia per la mancanza di ortaggi freschi o dell’eccessivo prezzo di vendita causato dal taglio delle aree agricole causato dall’espandersi dei conflitti.

L’epidemia di Covid-19 in Libia si inserisce quindi in uno scenario di crisi idrica, crisi elettrica, crisi dei rifiuti, di insicurezza alimentare, in una cornice di guerra che dura ormai da quasi cinque anni. Un disastro umanitario incombe. Togliere l’acqua per togliere la vita.

La Libia non è l’unico teatro di guerra in cui l’acqua, la risorsa indispensabile per la vita, diventa strumento o causa di conflitto. Il Pacific Institute Water Conflict Chronology, definisce tre categorie di conflitti legati all’acqua: 

  • L’acqua come trigger, dove c’è una disputa sul controllo dei sistemi idrici o dove l’accesso economico o fisico e la scarsità della risorsa innesca la violenza
  • L’acqua come arma di conflitto, dove le risorse idriche sono usate come strumento da sottrarre al nemico per indebolirlo o neutralizzarlo
  • L’acqua come incidente, quando le risorse idriche diventano vittime internazionali e costituiscono un motivo di accanimento militare

L’aumento delle zone povere e le conseguenze dei cambiamenti climatici porteranno sempre più conflitti legati all’acqua, la risorsa che rende possibile la vita, secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS) i fattori climatici legati alla violenza armata e ai conflitti aumenteranno con il progredire della crisi ambientale.

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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