In Europa forti divisioni sull’obiettivo per il clima, ma il tempo stringe
Le divisioni politiche rischiano di rallentare l’intesa sul nuovo obiettivo per il clima dell'Europa, cruciale in vista della COP30.

L’Europa punta a raggiungere un accordo sul nuovo obiettivo per il clima entro settembre.
Nelle prossime settimane si discuterà in particolare dell’obiettivo per il clima proposto dalla Commissione, ovvero quello di portare l’Europa a ridurre le emissioni del 90 per cento, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2040. Nonostante il sostegno dichiarato dalla maggioranza dei Paesi membri, tuttavia, il negoziato sarà tutt’altro che semplice. Preoccupano infatti le resistenze di alcuni Paesi dell’est Europa – in particolare Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca – che chiedono più tempo o modifiche alla proposta per il clima avanzata dalla Commissione.
Perché il 2040 conta
Il nuovo target al 2040 non è solo un passaggio tecnico: sarà il riferimento per la revisione dell’obiettivo per il clima (il contributo nazionale, NDC) che l’Europa dovrà presentare alle Nazioni Unite entro metà settembre. In gioco c’è la credibilità internazionale dell’Europa alla vigilia della COP30, e la capacità del continente di restare sulla traiettoria della neutralità climatica, cioè delle zero emissioni nette, al 2050. In gioco c’è la possibilità di centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, limitando l’aumento delle temperature entro 2°C rispetto ai livelli preindustriali – e possibilmente entro 1.5°C -, così da evitare effetti ancora più catastrofici della crisi climatica.
Secondo la Commissione, il taglio del 90% delle emissioni entro il 2040 – con una piccola quota ammessa di crediti internazionali – è ambizioso ma realistico. Le valutazioni scientifiche indipendenti lo considerano il limite minimo accettabile. Il World Resources Institute lo definisce «necessario», e invita l’UE a non rimandare né annacquare le decisioni: «il taglio va raggiunto con azioni interne – avvertono gli esperti -. Usare troppi crediti minerebbe la credibilità del piano e sposterebbe investimenti fuori dall’Europa».
Le critiche della società civile
Diverse organizzazioni ambientaliste hanno chiesto un impegno chiaro e più ambizioso. Tra queste CAN Europe e Green10, che venerdì 11 luglio hanno incontrato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e hanno chiesto di escludere i crediti internazionali dal calcolo del target e di puntare a una riduzione effettiva del 92% delle emissioni entro il 2040, senza scorciatoie. La società civile avverte: troppa flessibilità e poca ambizione rischiano di bloccare la transizione e rendere il Green Deal una promessa vuota.
Il problema, però, non è solo ambientale. Dietro al negoziato si intrecciano tensioni politiche ed economiche. Alcuni governi temono gli impatti sulle industrie locali: per questo la Commissione ha proposto margini di flessibilità per le imprese, ma molti dettagli restano vaghi.
Il tempo stringe
L’Europa si sta scaldando rapidamente: ondate di calore, incendi e alluvioni non sono più avvertimenti ma sono effetti tangibili del clima che cambia, e stanno già provocando conseguenze drammatiche per l’economia e la sopravvivenza stessa delle persone. Solo l’ultima ondata di calore che ha colpito il nostro continente ha ucciso più di 3.000 persone, e uno studio ha confermato che senza la crisi climatica le vittime sarebbero state circa un terzo.
Eppure, mentre i dati scientifici chiedono accelerazione, la politica rischia di rallentare.
Serve un’intesa rapida e ambiziosa. Non solo per rispettare le scadenze internazionali, ma per offrire un orizzonte chiaro e sicuro a cittadini e imprese.
NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.