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Le isole del Pacifico chiedono che l’ecocidio sia riconosciuto come crimine

Secondo un nuovo sondaggio, nei paesi del G20 la maggior parte delle persone sarebbe d'accordo

I governi di alcune isole del Pacifico – Vanuatu, Fiji e Samoa – si sono rivolti alla Corte Penale Internazionale per chiedere che l’ecocidio sia riconosciuto come un crimine, al pari del genocidio e dei crimini di guerra. Se accolta, questa modifica rappresenterebbe un passo significativo per affrontare la distruzione ambientale a livello globale, rendendola punibile in sede giudiziaria.

Formalizzata lunedì 9 settembre durante un incontro presso la sede delle Nazioni Unite a New York, la richiesta delle isole mira a modificare lo Statuto di Roma, il trattato fondante della Corte Penale Internazionale, per includere l’ecocidio nella lista dei crimini perseguibili dalla corte. L’ecocidio è definito come l’insieme di “atti illegali o sconsiderati commessi con la consapevolezza di una significativa probabilità di causare gravi danni diffusi o a lungo termine all’ambiente”.

Se la proposta sarà accolta, potrebbe consentire l’incriminazione di individui responsabili di gravi danni ambientali, come dirigenti di grandi aziende inquinanti o figure politiche di alto livello. Tuttavia, il processo di discussione e approvazione è complesso: richiederà molto tempo e dovrà affrontare diverse resistenze, soprattutto per gli enormi interessi economici in gioco, legati ai settori più inquinanti. È inoltre importante ricordare che tra gli oltre 120 Paesi che aderiscono alla Corte Penale Internazionale non ci sono alcuni dei maggiori emettitori di gas serra, come Stati Uniti, India e Russia, e questo potrebbe limitare la sua portata d’azione.

Alcune realtà, comunque, hanno già fatto importantissimi passi avanti. È il caso dell’Unione Europea, dove quest’anno è stata approvata la normativa sul “ripristino della natura“, che tra le altre cose comprende nuove misure e sanzioni per contrastare la criminalità ambientale.
Tra i nuovi reati figurano il commercio illegale di legname, l’esaurimento delle risorse idriche, le gravi violazioni della legislazione dell’UE in materia di sostanze chimiche, e l’inquinamento provocato dalle navi. I deputati hanno voluto inserire nel testo anche i cosiddetti “reati qualificati”, vale a dire quelli che portano alla distruzione di un ecosistema e sono quindi paragonabili all’ecocidio (ad esempio gli incendi boschivi su vasta scala o l’inquinamento diffuso di aria, acqua e suolo).
Anche il governo nazionale del Belgio ha riconosciuto l’ecocidio come reato federale all’inizio di quest’anno. Leggi simili sono state approvate anche in Cile e in Francia, mentre in altri Paesi – compresa l’Italia – sono state presentate proposte di legge sull’ecocidio.

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Incendi in Amazzonia. © Christian Braga / Greenpeace

Per la maggior parte dei cittadini, danneggiare l’ambiente dovrebbe essere un reato

Un nuovo sondaggio di IPSOS, realizzato per Earth4All and the Global Commons Alliance in 18 Paesi G20, mostra un forte sostegno per una legge sull’ecocidio e un’elevata preoccupazione per la natura.

Tra i risultati principali troviamo che, nella media generale dei Paesi esaminati, il 72% dei cittadini è favorevole alla criminalizzazione delle azioni che causano gravi danni irreversibili a lungo termine alla natura o al clima approvate o permesse da alti funzionari governativi o dirigenti d’azienda, nota anche come “legge sull’ecocidio”.

L’indagine evidenzia una crescente preoccupazione per il futuro del pianeta: il 59% degli intervistati si dichiara molto o estremamente preoccupato per lo stato attuale della natura, e il 69% crede che la Terra sia vicina a raggiungere punti di non ritorno per il clima e la natura a causa delle attività umane. Oltre la metà (52%) si sente esposta ai rischi climatici e ambientali.

I dati dell’Italia:

  • 88% la percentuale degli intervistati italiani che si dice estremamente, molto o parzialmente preoccupata per lo stato della natura.
  • Il 62% degli intervistati italiani pensa che siamo vicini ai punti di rottura (tipping points), riguardo per esempio ai ghiacciai e alle foreste pluviali.
  • Solo il 32% pensa che la tecnologia possa risolvere i problemi ambientali senza che l’uomo apporti grandi cambiamenti al suo stile di vita.
  • Solo il 26% (il dato più basso di tutti i Paesi) crede che oggi la natura sia in grado di soddisfare i bisogni degli uomini.
  • Solo il 27% pensa che il governo nazionale stia facendo abbastanza per lottare contro il cambiamento climatico.

L’indagine ha rivelato significative differenze di genere nella preoccupazione per l’ambiente. Le donne mostrano livelli più elevati di preoccupazione rispetto agli uomini sia per lo stato attuale della natura che per il benessere delle generazioni future.
Il 62% delle donne si dichiara estremamente o molto preoccupato per lo stato della natura oggi, rispetto al 56% degli uomini; il 74% delle donne ritiene necessario intraprendere azioni importanti entro il prossimo decennio per affrontare i problemi ambientali, contro il 68% degli uomini. Inoltre, solo il 25% delle donne pensa che molte affermazioni sui rischi ambientali siano esagerate, a fronte del 33% degli uomini. Le donne sono anche meno inclini a credere che la tecnologia possa risolvere i problemi ambientali senza la necessità di significativi cambiamenti nello stile di vita individuale (35% rispetto al 44% degli uomini).

Il sondaggio ha anche evidenziato differenze regionali nella percezione dell’esposizione ai cambiamenti climatici. I cittadini di economie emergenti come India (87%), Cina (79%), Indonesia (79%), Kenya (73%) e Turchia (69%) si sentono più esposti ai cambiamenti climatici rispetto ai cittadini di Europa e Stati Uniti. Coloro che percepiscono un’elevata esposizione ai rischi ambientali e climatici tendono anche a mostrare maggiore preoccupazione e urgenza nell’intraprendere azioni per il clima. Questo gruppo è più propenso a riconoscere il legame tra la salute umana e quella del pianeta, vedendo benefici concreti nell’affrontare le questioni ambientali.

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Valeria Capettini

Iscritta all'ordine dei Giornalisti, faccio parte della squadra di Meteo Expert dal 2016: un'esperienza che mi ha insegnato tanto e mi ha permesso di avvicinarmi al mondo della climatologia lavorando fianco a fianco con alcuni dei maggiori esperti italiani in questo settore. La crisi climatica avanza, con conseguenze estremamente gravi sull’economia, sui diritti e sulla vita stessa delle persone. Un'informazione corretta, approfondita e affidabile è più che mai necessaria.

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