GhiacciInquinamento

Presenza di contaminanti riconducibili ai prodotti per la cura personale al Polo Nord. Lo studio

Comprendere i fenomeni di trasporto e deposizione di queste sostanze è fondamentale per la protezione dell'ambiente artico nel prossimo futuro

Uno studio condotto da ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con l’Università delle Svalbard, riporta la presenza di contaminanti riconducibili ai prodotti per la cura personale al Polo Nord, sui ghiacciai dell’arcipelago delle Svalbard. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science of the Total Environment: secondo le misurazioni la concentrazione più alta è stata registrata in inverno quando sull’Artico cala la notte. Obiettivo del lavoro mostrare la prima panoramica della presenza ambientale dei prodotti per la cura personale in queste zone fornendo dati sulla loro distribuzione spaziale e stagionale nel manto nevoso.

Foto di Simon da Pixabay

L’Arctic Field Grant che sostiene il lavoro sul campo di studenti e ricercatori che raccolgono dati alle Svalbard e all’isola di Jan Mayen, ha dato il suo contributo al progetto che è stato finanziato dal Research Council of Norway (un’agenzia governativa norvegese che supporta studi di ricerca e innovazione) in collaborazione con il Cnr-Isp e la stazione di ricerca Dirigibile Italia a Ny Ålesund che si trova sull’isola di Spitsbergen, inaugurata nel 1997. Grazie a queste sinergie è stato possibile condurre, tra aprile e maggio 2021, un campionamento da 5 ghiacciai, situati nella penisola di Brøggerhalvøya. La varietà dei siti selezionati sia in prossimità di insediamenti umani sia in luoghi più remoti, ha permesso di studiare presenza e comportamento dei contaminanti emergenti, composti tutt’ora in uso ma monitorati dalla comunità scientifica in quanto potenzialmente dannosi per l’ecosistema.

Foto di Noel Bauza da Pixabay

Questa è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica” ha affermato Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello studio.

Foto di Andreas da Pixabay

È stato tendenzialmente rilevato che la distribuzione di queste sostanze varia in base all’altitudine: la maggior parte dei composti ha concentrazioni più elevate a quote più basse, tranne l’Octocrilene e il Benzofenone-3, due filtri UV comunemente utilizzati nelle creme solari che al contrario sono più abbondanti sulla cima dei ghiacciai dove arrivano dalle basse latitudini trasportati dalla circolazione atmosferica. Questi dati saranno utili per definire piani di monitoraggio nell’area, contribuendo alla protezione dell’ecosistema locale: si tratta di sostanze che hanno già dimostrato effetti negativi sugli organismi acquatici alterando le funzionalità del sistema endocrino e ormonale. Alcuni di questi composti sono normati a livello locale in diverse isole del Pacifico e sono attualmente sotto indagine da parte dell’Unione Europea.

Foto di Noel Bauza da Pixabay

I risultati evidenziano come la presenza dei contaminanti emergenti nelle aree remote sia imputabile al ruolo del trasporto atmosferico a lungo raggio. Infatti le concentrazioni più alte sono state riscontrate nelle deposizioni invernali. Alla fine dell’inverno, le masse d’aria contaminate provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico. L’esempio più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti nelle creme solari. L’origine delle maggiori concentrazioni invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme solari” spiega Marco Vecchiato, ricercatore in Chimica analitica a Ca’ Foscari e co-autore del lavoro.

Foto di Beate da Pixabay

Quantificare i processi di re-immissione in ambiente di questi inquinanti durante la fase di fusione della neve diventa una priorità per la protezione dell’ambiente artico nel prossimo futuro. “Sarà fondamentale comprendere i fenomeni di trasporto e deposizione di tali contaminanti nelle aree polari, soprattutto in relazione alle variazioni delle condizioni stagionali locali. Condizioni che stanno mutando rapidamente in risposta al cambiamento climatico che nell’Artico avviene 4 volte più velocemente rispetto al resto del mondo” queste le parole di Andrea Spolaor, ricercatore presso il Cnr-Isp.

Stefania Andriola

Lavoro in redazione da febbraio 2010. Mi piace definirmi “giornalista, scrittrice e viaggiatrice”. Adoro viaggiare, conoscere culture diverse; amo correre, andare in bicicletta, fare lunghe passeggiate ma anche leggere un buon libro. Al mattino mi sveglio sempre con un’idea: cercare di aggiungere ogni giorno un paragrafo nuovo e interessante al libro della mia vita e i viaggi riempiono le pagine che maggiormente amo. La meteorologia per me non è solo una scienza ma è una passione e un modo per ricordarmi quanto siamo impotenti di fronte alle forze della natura. Non possiamo chiudere gli occhi e dobbiamo pensare a dare il nostro contributo per salvaguardare il Pianeta. Bastano piccoli gesti.

Articoli correlati

Back to top button