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Attivisti intimiditi e criminalizzati, Amnesty: a rischio il diritto di protesta

"Nel nostro paese stiamo assistendo già da tempo a una erosione del diritto di protesta", denuncia Amnesty International: tra i movimenti più colpiti anche quelli per il clima, come Extinction Rebellion e Fridays For Future

La crisi climatica avanza, con impatti sempre più violenti e letali che condannano ogni anno decine di migliaia di persone in tutto il mondo, e anche l’Italia piange le sue vittime. Eppure, ancora non si affronta la questione come una vera e propria emergenza. Nel mondo come nel Belpaese, Governi e istituzioni si assumono impegni molto meno ambiziosi del necessario, e spesso nemmeno li mantengono.

Intanto, la tensione cresce.
Le cittadine e i cittadini sono sempre più consapevoli della situazione, sempre più preoccupati. Lievitano i numeri degli scioperi globali che riempiono le strade e le piazze di tutto il mondo. Ma secondo molti manifestare non basta. Da anni alcuni movimenti per il clima e l’ambiente portano avanti azioni di protesta non violente, come scioperi della fame e blocchi del traffico, e negli ultimi mesi iniziative di questo tipo sono diventate più frequenti e hanno puntato sempre più in alto nell’attirare l’attenzione di media, cittadini, politici. L’escalation è stata significativa soprattutto in Europa, dove si sono moltiplicate azioni di questo tipo, compresa anche l’interruzione di importanti eventi sportivi, l’imbrattamento di pareti e opere d’arte, fino ad arrivare alla scelta di incatenarsi o incollarsi a installazioni artistiche, edifici e automobili.
In Italia la risposta delle istituzioni si è sostanzialmente limitata alla repressione. Chi reca disturbo viene identificato, multato, denunciato, intimidito. Mai ascoltato: il dissenso viene descritto come generatore di conflittualità, la sua repressione ci viene raccontata come una forma di volontà pacificatoria.

Ne abbiamo parlato con Enrico e Sara, di Extinction Rebellion Milano, che per le loro azioni hanno già dovuto subire una forte repressione. «Quando facciamo cose che vanno contro la legge siamo disposti ad accettare multe e anche denunce – ci ha detto Sara -, ma non è corretto essere trattati in modo illegittimo, per esempio con fermi identificativi di 8 ore anche dopo un’identificazione immediata e pacifica».

Sara Maffioletti ha 23 anni e si è laureata in scenografia da meno di un anno. «Ora mi sto affacciando al mondo del lavoro per costruire la mia vita, ma vedere gli effetti della crisi climatica mi trasmette ansia e paura, e non so come pianificare il futuro», ci racconta. Per questo da circa un anno è attiva nel movimento ambientalista: «Extinction Rebellion mi ha dato una grande mano a ridurre quest’ansia stemperandola e usandola in modo positivo, come un motore che mi permette di fare quello che faccio».
Enrico Pirovano, 56 anni, ha invece trovato la spinta all’azione nella sua bambina, che di anni ne ha appena 7: «spero di insegnarle quantomeno a essere un po’ ribelle anche lei», sorride. Così nel 2019, «con una speranza riaccesa anche dal successo di Greta Thunberg e del movimento di Fridays For Future», è entrato nelle fila di Extinction Rebellion.

Cosa fa Extinction Rebellion, e cosa vuole ottenere?

A livello globale Extinction Rebellion porta avanti tre richieste chiave rivolte alle istituzioni: che si dica la verità sulla crisi climatica ed ecologica; che si passi all’azione immediata, fermando la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e azzerando le emissioni nette di gas serra entro il 2025; che si istituisca un’assemblea deliberativa di cittadini per varare misure concrete.

Poi ogni gruppo si muove a livello locale. A Milano, ci spiega Enrico, gli attivisti stanno portando avanti una campagna specifica relativa al mondo dell’informazione e dei media, a cui si chiede trasparenza e verità. «In particolare ci siamo rivolti alla RAI – ci spiega – perché è un’azienda pubblica e ha ancora di più il dovere di dire la verità».

Extinction Rebellion

Tre le richieste chiave avanzate da Extinction Rebellion: la prima è quella di dedicare quotidianamente uno spazio all’interno del TG regionale della Lombardia a informare i cittadini su quella che è la principale emergenza ambientale della regione, cioè la qualità dell’aria. «Poi chiediamo alla RAI, ma anche a tutti gli altri mezzi di informazione, trasparenza nei bilanci: vogliamo che dicano quanto guadagnano da sponsorizzazioni e pubblicità delle aziende fossili, e che in seguito a queste entrate si rinunci. È già stata vietata la pubblicità del tabacco: i combustibili fossili purtroppo non sono meno dannosi». La terza richiesta è che vengano adottate delle norme condivise per parlare della crisi climatica ed ecologica, individuando un vocabolario e una sintassi adatti a dare le notizie in modo corretto. «Dobbiamo aprire canali di dialogo con la RAI e i media», sottolinea Enrico.

La criminalizzazione del dissenso

«Le azioni di disobbedienza civile legate all’ambiente e alla crisi climatica stanno ricevendo una forte repressione», ci dice Sara.

Siamo disposti ad accettare le conseguenze delle azioni che compiamo, perché ci rendiamo conto che sono forti e dirompenti. Ma da parte delle forze dell’ordine stiamo subendo una forte repressione: ogni volta veniamo portati in questura e restiamo bloccati lì per molte ore, anche più di 8, per quello che viene considerato come un fermo per identificazione ma di fatto è un’azione illegittima (ndr: la misura prevede che Ufficiali e Agenti di polizia accompagnino nei propri uffici chiunque rifiuti di dichiarare le proprie generalità – oppure declini generalità o esibisca documenti che appaiono falsi -, trattenendolo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell’identificazione o comunque non oltre le 24 ore).
Noi forniamo sempre i documenti alle forze dell’ordine quando ci viene richiesto: trattenerci per più di otto ore è inutile, e crea situazioni molto stressanti.
Tra le misure che vengono sempre più spesso utilizzate c’è anche il foglio di via, per cui non si può entrare nel Comune per un periodo che va dai tre mesi ai tre anni. È uno strumento di repressione critico perché non c’è una definizione specifica degli ambiti in cui dev’essere utilizzato: in generale è considerata una misura applicabile a chiunque sia considerato potenzialmente pericoloso per la società. Una definizione così vaga crea una zona grigia per cui praticamente si rischia il foglio di via per ogni cosa, anche per una manifestazione non autorizzata.

«Per reprimere le azioni di disobbedienza civile vengono usati per lo più strumenti amministrativi – ci spiega Enrico -: vengono gestiti in toto dalla Questura senza l’intervento di un magistrato e senza bisogno di denunce, prove o giudizi». Ma sono strumenti potenti: «veniamo descritti come nemici della società», commenta Enrico, in un percorso segnato da misure sempre più forti. «In assenza di risposte politiche, dalla forza pubblica arriva l’indicazione di “ammazzarci” non fisicamente ma mentalmente, intimidendoci per far sì che non si torni più a fare azioni».

«La criminalizzazione del dissenso passa anche da qui, e la si vede anche in altri ambiti, come quello sindacale: a poco a poco la protesta diventa sempre più difficile».

Una tendenza preoccupante rilevata anche da Amnesty International, l’organizzazione internazionale più nota per la difesa dei diritti umani. «Stiamo assistendo da tempo a un’erosione del diritto di protesta anche nel nostro Paese», conferma a IconaClima Laura Renzi, Campaign Manager di Amnesty International. Quest’anno l’ONG ha lanciato una campagna globale chiamata “Proteggo la protesta”, proprio con l’obiettivo di contrastare gli sforzi dei Governi di erodere questo diritto.

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Crediti: Amnesty International

«Il diritto di protesta è protetto da vari strumenti e meccanismi internazionali dei diritti umani», ci spiega Renzi.
Sia la Dichiarazione universale dei diritti umani che la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici contengono articoli che riguardano il diritto di riunione pacifica e il diritto alla libertà di espressione. In Europa, la Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali protegge il diritto alla libertà di espressione e quello alla libertà di riunione pacifica. In Italia il diritto di protesta è protetto dagli articoli 21 e 17 della Costituzione.

Eppure, il diritto di protesta è minacciato ovunque. Chi manifesta in tutto il mondo sta affrontando diversi divieti, con un numero crescente di leggi e altre misure che limitano il diritto alla protesta, con un crescente abuso della forza e con la progressiva “militarizzazione” delle forze di polizia. Altre violazioni riscontrate da Amnesty International sono relative alla restrizione all’aggregazione delle persone e alla sorveglianza di massa mirata; interruzioni di Internet e censura online, abusi e criminalizzazione. Inoltre i gruppi marginalizzati e discriminati subiscono sempre più limitazioni.

Anche nel nostro paese stiamo assistendo già da tempo a una erosione del diritto di protesta a causa di norme e direttive specifiche che limitano il diritto di protesta per diverse ragioni, quali il terrorismo, ad esempio, e poi anche lo stato di emergenza durante la pandemia di Covid-19.

Ad esempio nella direttiva Maroni del 2009, ripresa poi dalla direttiva Lamorgese nel 2021, si invitano prefetti e sindaci, tramite il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, a individuare aree sensibili nel territorio urbano, così da poterne interdire l’accesso in caso di manifestazioni: ogni volta che si è sentito parlare di “zona rossa” per un corteo studentesco o una mobilitazione di protesta, ci si riferiva proprio a questi invalicabili obiettivi sensibili individuati dall’autorità di pubblica sicurezza. Nel tempo abbiamo assistito a una limitazione delle piazze di protesta: mentre prima ad esempio si potevano organizzare manifestazioni a Piazza del Pantheon, a Roma, oggi questo non è più possibile.

Avete registrato un inasprimento anche nel trattamento riservato a chi protesta per il clima?

Sì. Stiamo assistendo da tempo alla criminalizzazione degli attivisti climatici e ambientali. A partire dagli attivisti No Tav, ma anche altri come Extinction Rebellion che ricevono “fogli di via” per azioni di disobbedienza civile assolutamente pacifiche. Il foglio di via è una misura di restrizione della libertà personale che di fatto chiede l’allontanamento anche per un anno e oltre di persone che vivono, studiano o lavorano su un determinato territorio.

Oppure riscontriamo un uso non necessario della forza da parte delle forze di polizia, come nel caso di una perquisizione in casa di alcuni attivisti di Fridays For Future Milano, anche loro responsabili di un’azione di disobbedienza civile, in particolare di una scritta su un muro della società di Gazprom.
Alle 6:30 di mattina, a maggio scorso, tre attivisti di Fridays For Future Milano sono stati perquisiti nelle proprie abitazioni da 18 carabinieri – 6 ognuno – a seguito di un mandato di perquisizione. Sono state perquisite le loro case, sequestrati telefonini e abiti, ed è stato chiesto loro di spogliarsi e fare flessioni. Ecco: in questo caso farli spogliare e fargli fare le flessioni è stato un atto non necessario, in quanto i ragazzi non erano stati fermati per possesso di droga e i carabinieri non stavano cercando quella. Possiamo quindi dire che questa azione potrebbe aver avuto come intento o conseguenza quella di intimidire gli attivisti per scoraggiarli a riprendere le loro azioni pubbliche.

Abbiamo poi riscontrato anche in Italia un uso improprio delle armi meno letali. Per armi meno letali intendiamo quelle armi che durante una manifestazione possono essere usate per gestire l’ordine pubblico senza cagionare la morte (come potrebbe fare una pistola), ma questo è vero solo se vengono utilizzate nel modo corretto. Ad esempio l’uso dei gas lacrimogeni in alcune situazioni ha causato la perdita della vista e altri danni neurologici in alcuni attivisti No Tav che hanno preso parte alle manifestazioni e sono rimasti feriti. Gli attivisti hanno raccontato un uso improprio del gas lacrimogeno, sia per come viene lanciato – ad altezza uomo anziché in alto -, sia per il massiccio utilizzo che ne viene fatto. Dovrebbe servire a sfollare la gente e invece in alcuni casi è stato utilizzato proprio contro i manifestanti.

Come sottolinea Amnesty International nella propria campagna “Proteggo la protesta”, l’utilizzo di misure di questo tipo o l’accusa di reati eccessivamente ampi e gravi per chi è coinvolto in azioni di disobbedienza civile può avere un effetto potente non solo per punire e scoraggiare gli attivisti, ma anche per dissuadere altre persone dall’intraprendere azioni simili o anche semplicemente esercitare i propri diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione.
I segnali preoccupanti sono molti, dal mondo e dal nostro Paese, e delineano una situazione che rischia di aggravarsi ulteriormente con tensioni sempre più forti e repressioni sempre più violente. È fondamentale non abbassare la guardia e non sottovalutare nessun campanello d’allarme relativo alla salvaguardia del diritto di protesta e di tutti i diritti umani.

Valeria Capettini

Laurea triennale in Lettere e magistrale in Comunicazione, dal 2021 sono iscritta all'Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Nel 2016 sono entrata a far parte della squadra di Meteo Expert: un'esperienza che mi ha insegnato tanto e mi ha permesso di avvicinarmi al mondo della climatologia lavorando fianco a fianco con alcuni dei maggiori esperti italiani in questo settore. La crisi climatica avanza, con conseguenze estremamente gravi sull’economia, sui diritti e sulla vita stessa delle persone. Un'informazione corretta, approfondita e affidabile è più che mai necessaria.

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