Territorio

Pfas, sentenza storica a Vicenza per il caso Miteni

Una condanna senza precedenti per disastro ambientale e avvelenamento delle acque. Il tribunale riconosce il dolo e risarcisce oltre 300 parti civili

Dopo quattro anni di udienze, accertamenti tecnici e testimonianze, a fine giugno è arrivata la sentenza di primo grado nel maxiprocesso per la contaminazione da Pfas causata dall’azienda chimica Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza.

La Corte d’Assise ha inflitto un totale di 141 anni di reclusione a 11 imputati, manager italiani e stranieri, riconoscendoli colpevoli di avvelenamento delle acque, disastro ambientale, inquinamento e bancarotta fraudolenta. Una sentenza che segna un punto di svolta nel diritto ambientale italiano: per la prima volta il dolo viene riconosciuto per reati legati a una contaminazione industriale.

Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, ha sottolineato che «la conferma da parte della Corte dell’ipotesi accusatoria della Procura per tutti gli imputati e, soprattutto, la conferma della natura dolosa dei reati contestati rende finalmente giustizia alle parti civili e a centinaia di migliaia di persone, contaminate a loro insaputa per decenni. Durante il processo è emerso con chiarezza che per troppo tempo la dirigenza della Miteni ha volutamente ignorato e, poi, omesso di comunicare agli enti di vigilanza e controllo preposti che le sostanze prodotte nel sito di Trissino avevano contaminato la falda acquifera e, comunque, si erano disperse anche nelle acque superficiali».

Il processo ha accertato che gli imputati erano consapevoli dell’impatto delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) sul territorio e sulla salute pubblica, ma hanno continuato a produrre e scaricare i composti nell’ambiente. A nulla sono valse le tesi difensive sull’assenza di limiti normativi negli anni della contaminazione.

Tra le oltre 300 parti civili risarcite, spiccano il Ministero dell’Ambiente, la Regione Veneto, l’Arpav, numerosi Comuni e associazioni ambientaliste come Greenpeace, Legambiente e Acqua Bene Comune. Le persone residenti nella cosiddetta «zona rossa» – che hanno scoperto livelli elevati di Pfas nel sangue – riceveranno 15mila euro a testa.

«Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato, che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i cittadini veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda – rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 km quadrati – ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi forever chemicals, con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e per l’economia produttiva», questo il commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che unitamente a Legambiente Veneto e al circolo locale si sono costituite parti  civili nel processo e presenti oggi in aula alla lettura della sentenza.

Protagonisti del lungo procedimento anche i comitati locali, in primis le Mamme No Pfas, che dal 2017 denunciano l’emergenza sanitaria legata alla contaminazione di acqua potabile e cibo. Fondamentale il lavoro dell’Arpav, che dal 2013 ha condotto oltre 50mila campionamenti, individuando le fonti di inquinamento e contribuendo alla messa in sicurezza dell’acqua con filtri a carboni attivi.

La sentenza – applaudita in aula – arriva mentre l’Italia resta priva di una normativa organica sui Pfas. L’unico limite in vigore riguarda l’acqua potabile (100 nanogrammi/litro per 24 composti dal 2026), ma mancano limiti per le emissioni in aria e nei corpi idrici. Per ora, otto disegni di legge giacciono in Parlamento.

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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