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Il lato oscuro del delivery: quanto inquina il cibo che ordiniamo?

Ordinare cibo a domicilio è diventato un gesto quotidiano per milioni di persone; è comodo, veloce e offre infinite opzioni, dal sushi alla pizza, dai piatti vegani agli hamburger gourmet. Ma dietro ad ogni ordine fatto con un click si nasconde un costo nascosto, che non appare nel totale da pagare sull’app, ovvero l’impatto ambientale del food delivery che è molto più alto di quanto si pensi.
Il primo elemento critico è il trasporto stesso, ogni consegna implica uno spostamento, spesso con scooter o automobili a benzina. Secondo una ricerca del sito Statista le emissioni globali di CO₂ del settore delivery superano i 500 milioni di tonnellate l’anno, considerando sia i mezzi utilizzati per le consegne che quelli coinvolti nella produzione, cottura e conservazione del cibo.
Se si pensa che in media un pasto ordinato online percorre tra i 5 e i 10 chilometri per arrivare a destinazione, si capisce quanto questo moltiplicato per milioni di ordini quotidiani possa fare la differenza. I veicoli usati per le
consegne spesso vecchi, a combustione e non elettrici, aumentano il traffico urbano e l’inquinamento atmosferico, soprattutto nelle grandi città.

Un altro punto fondamentale è l’imballaggio; ogni ordine contiene plastica, carta, alluminio, polistirolo e contenitori usa e getta, spesso non riciclabili. Come riporta il report di Oceana , le principali piattaforme di delivery generano purtroppo milioni di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno, e una parte di questi finisce nei mari, contribuendo alla crisi globale della plastica. Molti ristoranti, per evitare perdite di liquidi o contaminazioni, usano più imballaggi del necessario, rendendo il singolopasto un “mini pacco di rifiuti”.

C’è poi il tema degli sprechi alimentari, ordinare cibo aumenta la probabilità che porzioni troppo abbondanti o piatti non graditi vengano buttati via, specialmente se si ordina per più persone o sotto la pressione delle
promozioni. Lo spreco alimentare ha un impatto ambientale diretto: ogni chilo di cibo buttato equivale a circa 4,5 kg di CO₂ emessa nella sua produzione e trasporto, secondo dati della FAO.
Tuttavia, il problema non è solo del consumatore: anche le piattaforme e i ristoranti devono fare la loro parte. Alcuni servizi stanno già adottando misure per ridurre l’impatto: opzioni per rifiutare le posate monouso, packaging compostabili, consegne in bici o scooter elettrici, e addirittura iniziative per restituire i contenitori. Ma si tratta ancora di eccezioni, non della regola.

Cosa possiamo fare, allora, per ordinare in modo più responsabile?
Innanzitutto, scegliere ristoranti vicini, così da ridurre la distanza percorsa dai mezzi. È utile anche optare per esercizi che usano confezioni riciclabili o biodegradabili, e specificare nelle note dell’ordine che non si
desiderano posate o accessori monouso. Inoltre, quando possibile, raggruppare gli ordini con amici o familiari anziché fare più consegne separate. Infine, una buona pratica è limitare il delivery alle occasioni speciali e
preferire, quando si ha tempo, cucinare in casa o ritirare il cibo direttamente dal ristorante, magari a piedi o in bici. Non significa rinunciare alla comodità, ma usarla con maggiore consapevolezza.

Il cibo a domicilio dunque, come ogni scelta quotidiana, ha delle conseguenze ed un vero e proprio impatto ambientale. Sapere quanto inquina un gesto apparentemente innocuo ci permette di compiere scelte migliori, per noi e per l’ambiente.

 

Redatto da Martina Hamdy

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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