ProgettiSostenibilitàTecnologia e innovazione

Il futuro dell’enologia sarà frutto dei cambiamenti che sta vivendo il Pianeta

Un'analisi approfondita dell'influenza dei cambiamenti climatici sulle produzioni vitivinicole

Il 2019 a livello globale è stato il secondo anno più caldo dal 1880, rispetto all’era pre-industriale il nostro Pianeta si è riscaldato di + 1,1 °C, e questa variazione ha effetti su tutti i settori produttivi. Questo ormai dovremmo averlo capito.

In particolare, in Europa, il 2019 è stato l’anno più caldo di sempre, in Italia il quarto, preceduto dal 2014 e 2015 e dal 2018. Il Mediterraneo è considerato un hot spot del riscaldamento globale ed è una delle regioni maggiormente esposte agli effetti del cambiamento climatico: l’aumento di temperatura del Mediterraneo è superiore a quello globale: +1,5 °C rispetto a +1,0 °C.

In Italia la temperatura in 120 anni è aumentata di circa 2 °C, il doppio rispetto all’aumento globale. Secondo molti studi in futuro la temperatura nel nostro Paese potrebbe aumentare di altri 2 °C ma in soli 40 anni come conseguenza di un’accelerazione del Global Warming già in atto.

Anche se si riuscirà contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, il peggioramento delle condizioni climatiche nel Mediterraneo sarà tale da portare comunque in diverse aree ad una ulteriore significativa riduzione delle precipitazioni estive fino al 10-30%, portando in alcuni casi a situazioni di grave scarsità idrica.
Tutto ciò inciderà in modo significativo sulla produttività agricola, in particolare nelle nostre regioni meridionali.

Nel rapporto “Climat Risk and response. Physical hazards and socioeconomic impacts”, prodotto dal McKinsey Global Institute viene preso in considerazione lo scenario a più alto rischio, quello cioè senza azioni di decarbonizzazione; l’Italia si trova nella fascia a forte rischio di stress idrico e riduzione delle precipitazioni, insieme all’Egitto, all’Iran, al Messico e alla Turchia, e ancora all’Australia, al Portogallo, al Sud Africa, alla Spagna e alla Tunisia. Entro il 2050, la siccità riguarderà i paesi mediterranei almeno sei mesi all’anno.

Come inciderà tutto questo sulla produzione del vino?

A causa dell’aumento della temperatura e della diminuzione delle precipitazioni, 120 regioni note per la qualità dei loro vitigni perderanno centralità, a favore di regioni non tradizionalmente dedicate alla viticoltura.

Uno dei cambiamenti più significativi nella storia della viticoltura risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando i vitigni Europei vennero attaccati dalla fillossera, insetto proveniente da Oltreoceano che danneggiò gravemente le nostre piante. Il problema venne risolto grazie alla tecnica dell’innesto, sfruttando la resistenza dell’apparato radicale di alcune varietà di vite americana era possibile infatti innestare quelle europee aggirando il parassita.  Oggi, il nuovo nemico è rappresentato dal clima, problema che coinvolge interamente il nostro pianeta e che potrebbe avere conseguenze anche sulla produzione vinicola.

La soluzione più immediata alle carenze idriche è sicuramente quella dell’irrigazione. Nel passato l’irrigazione delle piante di vite era vietata, oggi, invece, è prevista. Questa misura è diventata necessaria per evitare episodi di siccità, garantendo una quantità minima di produzione. Tuttavia tale intervento non è sempre sostenibile, semplicemente perché, in molte zone dove sarebbe necessario, l’acqua non è disponibile. L’irrigazione non dovrebbe essere considerata la prima opzione per combattere l’aumento del deficit idrico. A differenze di altre soluzioni, l’irrigazione ha un costo economico, ambientale e sociale. Quando l’acqua diventa sempre più scarsa, l’irrigazione di una pianta resistente alla siccità come la vite non dovrebbe essere una priorità. In molte regioni della California e dell’Australia, l’accesso all’acqua di irrigazione è diventato un problema serio. Inoltre, quando la pioggia invernale è insufficiente per percolare il sale dal suolo, l’irrigazione può portare ad un accumulo di questo elemento nei terreni vitati. Le viti sono molto sensibili al sale, quindi il suo accumulo può rendere i terreni inadatti alla produzione di uva.

In una delle estati più calde e siccitose degli ultimi 150 anni, il 2017, è arrivata dalla ricerca scientifica una buona notizia per i vigneti: nuovi portainnesti che ottimizzano l’utilizzo dell’acqua, resistono agli stress idrici e riducono i consumi del prezioso elemento. Sono i “portainnesti M”, frutto del progetto di ricerca dell’Università di Milano supportato da numerose imprese vitivinicole riunite nella società Winegraft.

Questa nuova generazione di portainnesti, grazie ad un utilizzo biochimico più efficiente dell’acqua, mostrano un consumo nell’intero ciclo vegetativo minore del 25-30% rispetto ai portainnesti tradizionali, a parità di condizioni pedoclimatiche e di vitigno, senza perdere in quantità e qualità produttiva. Tradotto in numeri, significa che, ad esempio, se tutti i vigneti della Lombardia – che negli ultimi anni hanno prodotto in media quasi 1,5 mln di hl di vino – fossero innestati sugli M, si risparmierebbero ogni anno 426 mln di hl di acqua, pari a due volte e mezzo il Lago d’Iseo.

Il cambiamento climatico potrebbe portare anche alla scoperta di nuove tipologie di vino, a nuove tecniche di produzione e allo sviluppo di nuove tecnologie.
Il monitoraggio meteorologico e fenologico sono strumenti fondamentali per orientare la viticoltura ad adattarsi al clima che cambia, come pure le tecniche agronomiche innovative adeguate ai cambiamenti.
Il cambiamento climatico modificherà notevolmente il vino e i suoi sentori: così come cambieranno la vegetazione, il terreno e gli agenti atmosferici, si modificheranno i profumi, il colore e la corposità nel bicchiere. Il futuro dell’enologia, dunque, sarà frutto dei cambiamenti che sta vivendo il nostro Pianeta.

Ogni anno il mercato vitivinicolo è sensibilmente influenzato dal clima

I grandi produttori di vino sono alla continua ricerca di nuove zone di produzione. Un esempio è rappresentato dalle cantine di Champagne che hanno ampliato l’area dedicata alla coltivazione di Pinot Nero, Pinot Meunier e Chardonnay fino al Sud dell’Inghilterra, con l’obiettivo di ritrovare il clima caratteristico del Nord della Francia degli anni ’70. La Maison Taittinger, una delle più grandi case produttrici di champagne del mondo con sede a Reims, nella regione della Champagne–Ardenne, ha spostato la sua produzione di preziose bollicine un po’ più a nord. Ha guadagnato terreno Oltremanica, e ‘guadagnato’ si fa per dire giacché ha sborsato oltre 7 milioni di euro per insediarsi in 69 ettari nel Kent, nei pressi di Canterbury, nel sud-est della Gran Bretagna, La Maison Tattinger scommette, le previsioni lo suggeriscono, che il Sud dell’Inghilterra avrà presto il clima della Francia settentrionale; la zona dello champagne rapprendeva un tempo il limite massimo per la coltivazione della vite.
Nella periferia di Londra, lo scorso ottobre, c’è chi si è divertito a vendemmiare in piccoli vigneti urbani che hanno iniziato a trovare un clima più favorevole.
Non solo: ha di recente attirato la curiosità del New York Times il fatto che siano comparse alcune imprese vitivinicole in Danimarca e persino in Svezia, sempre nella convinzione che nel Sud della Scandinavia si avrà entro questo secolo un clima simile a quello del Nord della Francia. Si produce vino bianco, in piccoli appezzamenti di terra che per estensione e qualità del prodotto finale non possono competere con i mercati dell’Italia o della stessa Francia o anche della Spagna; tuttavia, gli investimenti scandinavi sono il segnale che la mappa delle produzioni viti-vinicole del vecchio continente sta cambiando.

 

 

 

Prima data di pubblicazione dell’approfondimento a cura di IconaClima 08/02/2020

Daniele Izzo

Sono nato in Svizzera a Vevey l’8 maggio del 1974. Sono laureato in Fisica e dal 2001 svolgo l’attività di meteorologo e climatologo per Meteo Expert. Nel 2013 ho conseguito la qualifica internazionale di meteorologo aeronautico rilasciata dal WMO (Organizzazione Meteorologica Mondiale). Nel gennaio 2016 le mie competenze professionali sono state certificate e il mio nome è stato inserito nell’elenco dei Meteorologi Professionisti. Dal 2007 al 2015 mi avete visto condurre il meteo su Canale5, Italia1 e Rete4. Tuttora curo gli appuntamenti meteo per Radio Montecarlo. Sono Professore di meteorologia in un istituto tecnico aeronautico.

Articoli correlati

Back to top button