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Utopia? No, Rojava

Un popolo senza stato e tradito dall'occidente sta costruendo una società basata sull'uguaglianza di genere, la democrazia partecipata e l'ecologia. Utopia? No, Rojava

Nella notte del 6 febbraio 2023 una violenta scossa di terremoto ha colpito la Turchia, causando una catastrofe umanitaria. Ad oggi, domenica 12 febbraio, si contano più di 28 mila vittime ma secondo fonti dell’ONU, il bilancio potrebbe raddoppiare. Il terribile terremoto ha distrutto zone della Turchia e della Siria, soprattutto nelle regioni a maggioranza curda. In questo articolo parleremo proprio di Kurdistan, di un popolo che resiste da anni alla guerra, parleremo del Rojava che progetta un futuro di uguaglianza di genere e sostenibilità ambientale.

Lo faremo anche attraverso le parole del Team del progetto Make Rojava Green Again, un progetto della Comune internazionalista del Rojava, che vuole contribuire a quella che loro stessi definiscono: la rivoluzione ecologica nel nord della Siria. MRGA attraverso il lavoro pratico e le discussioni ideologiche, ha come obiettivo finale il rafforzamento della consapevolezza e della coscienza ambientale per costruire una società libera ed ecologica. Quello che è emerso dalle loro risposte a questa intervista, è il racconto di un territorio in cui piantare un albero è un simbolo speranza e un atto di resistenza, in cui le famiglie che vivono tradizionalmente di agricoltura e pastorizia affrontano una grande minaccia per il loro sostentamento, data non solo dalla guerra in corso dal 2011, ma anche dagli effetti del cambiamento climatico. Un luogo in cui la crescente scarsità d’acqua non è solo il risultato del cambiamento climatico, ma una conseguenza della politica idrica ostile dello stato turco, che sta violando il diritto umano fondamentale all’accesso all’acqua. Un luogo in cui le persone, nonostante tutto, vogliono costruire una società nuova anche attraverso il dialogo con i giovani e con i movimenti per il clima.

Il territorio del Kurdistan 

Il Kurdistan è un’area vasta 450 mila kmq suddivisa tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq. La maggior parte del Kurdistan è situata all’interno dei confini turchi, per un’area di circa 230 mila kmq pari al 30% del territorio turco. Il Kurdistan iraniano invece copre un’area di circa 125 mila kmq, pari al 7,5% dell’intero territorio statale. Quella del popolo curdo è una storia fatta di lotta costante, una lotta per l’autodeterminazione, l’autonomia e il riconoscimento della propria identità e dei diritti civili e politici, tuttora negati all’interno dei quattro Stati sopracitati. I Governi di Iran, Turchia, Siria e dell’Iraq dell’era del rais Saddam Hussein hanno sempre cercato di negare la stessa esistenza di questo popolo spesso anche con atti discriminatori e repressioni sanguinose.

L’amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est 

Nell’area a nord della Siria, lungo il confine turco, si trova l’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, chiamata anche Rojava. Si tratta di una regione autonoma, non riconosciuta da parte del governo siriano. In questa regione autonoma si sta sviluppando un modello di società basato su un nuovo paradigma, una costruzione dello stato partecipata, con ambizioni democratiche dirette, in cui è presente una tolleranza pluralistica per la diversità religiosa, culturale e politica, che promuove il decentramento, l‘uguaglianza di genere e la sostenibilità ambientale. 

L’intervista al Team di Make Rojava Green Agian

Il progetto Make Rojava Green Agian mira, attraverso il lavoro pratico e le discussioni ideologiche, al  rafforzamento della consapevolezza e della coscienza ambientale per costruire una società libera ed ecologica. Attualmente che progetti avete in atto? 

Attualmente stiamo avviando un nuovo progetto in collaborazione con le scuole. Questo mese (febbraio) stiamo iniziando a piantare alberi intorno a una scuola elementare insieme ai bambini della città di Dêrik. Dopo questo primo tentativo e le prime esperienze con gli insegnanti e il sistema scolastico in Rojava lavoreremo su una serie di scuole verdi. Per noi è importante soprattutto il processo educativo a cui possiamo contribuire attivamente. A causa dei molti anni di politiche coloniali e dell’attuale deforestazione nelle parti occupate del Rojava, c’è un’enorme mancanza di aree boschive nella regione. Quindi piantare alberi è un simbolo di speranza e un atto di resistenza. Le sfide che si verificano sono per lo più legate al sistema di irrigazione degli alberi, a causa della generale carenza idrica. Per il sistema di irrigazione così come per gli stessi alberelli dipendiamo dal sostegno finanziario dall’esterno del paese.
Inoltre lavoriamo insieme a “Keziyên Kesk”. Questo gruppo di attivisti locali sta piantando quattro milioni di alberi nel nord-est della Siria. Ci uniamo al gruppo nell’organizzazione delle strutture sociali. Attraverso il contatto con diversi comitati ecologici abbiamo diffuso il lavoro su molti gruppi organizzati nella società, comprese le unità militari, per piantare quanti più alberi possibile in modo sostenibile. Forniamo loro semi e conoscenza e offriamo aiuto in caso di difficoltà impreviste.

Le aree occupate sono vittima della deforestazione, qui piantare alberi è un simbolo di speranza e un atto di resistenza oltre che una azione per l’ambiente. In una delle vostre pubblicazioni Make Rojava Green Again si parla del vostro territorio di una zona climatica tra steppa e clima umido, con terreno particolarmente fertile. Negli ultimi anni ha visto cambiamenti concreti nella situazione climatica del Rojava?

La Siria nord-orientale/Rojava si trova nella regione della cosiddetta “mezzaluna fertile” in cui circa 5000 anni fa ebbe luogo la prima rivoluzione neolitica. La condizione sembrava essere ottimale per lo sviluppo dell’agricoltura nelle sue prime forme. Oggi, le famiglie che vivono tradizionalmente di agricoltura e pastorizia affrontano una grande minaccia per il loro sostentamento, non solo dalla guerra in corso dal 2011, ma sempre più dagli effetti del cambiamento climatico. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, dal 2020 l’intera Siria è colpita da una nuova siccità grave e di lunga durata. Il cambiamento climatico sta causando un aumento delle temperature, esacerbando la siccità e aumentando l’evaporazione dal suolo, dai bacini idrici e dai fiumi, così come la traspirazione e la richiesta di acqua da parte delle piante. La gravità della situazione è sottolineata dalle statistiche allarmanti diffuse dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). In primo luogo, la FAO ha stimato che la produzione di orzo in Siria per il 2021 sia stata di sole 268.000 tonnellate, ovvero solo il 10% dei raccolti del 2019 e del 2020. In secondo luogo, la FAO ha recentemente stimato che nel 2021 sono state raccolte solo 1,05 milioni di tonnellate di grano. Ciò rappresenta il raccolto di grano più basso in quasi mezzo secolo, una riduzione del 63% rispetto al raccolto del 2020 di 2,8 milioni di tonnellate e solo il 25% del raccolto pre-guerra (2002-2011) media di 4,1 milioni di tonnellate.

Una guerra che mette in pericolo la sussistenza alimentare, in cui la risorsa idrica diventa spesso un’arma per tenere sotto scacco i civili. Infatti anche tutti i vostri progetti ambientali hanno una attenzione particolare alla risorsa idrica, quali sono le principali difficoltà che riscontrate per realizzarli? 

Uno dei nostri obiettivi principali è piantare alberi insieme alla società in Rojava. In questo momento stiamo lavorando con gli insegnanti per rendere le scuole più verdi. Nel frattempo dobbiamo gestire con varie difficoltà il problema principale per ogni progetto ecologico e in generale per l’intera agricoltura, ovvero l’accesso all’acqua. L’aumento delle temperature, i livelli record di precipitazioni e la siccità sono effetti diretti e gravi del cambiamento climatico. Inoltre, entrambe le principali fonti d’acqua, l’Eufrate e il fiume Khabur, sono drasticamente ridotte dall’aggressiva politica idrica della Turchia. Lo stato turco ha stipulato un accordo con il regime siriano nel 1987 per far passare almeno 500 metri cubi di acqua al secondo attraverso le loro dighe meridionali nel fiume Eufrate. Dal 2016 l’importo è in costante diminuzione. In questo momento lo stato turco lascia scorrere solo circa 200 metri cubi di acqua al secondo. Questo è meno della metà dell’importo concordato. Ciò ha gravi conseguenze non solo per la popolazione del Rojava, ma lungo tutto l’Eufrate fino al Golfo Persico. I campi vicino al fiume si stanno prosciugando, con un forte impatto sulla stabilità alimentare. A causa di questa politica, la diga di Tabqa, che è sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma della Siria nord-orientale (AANES), può funzionare solo con due turbine anziché sei. Insieme alla diga di Tishreen forniva elettricità a circa tre milioni di persone.
Nel 2019 lo stato turco, con l’aiuto dei suoi mercenari jihadisti, ha occupato gran parte del Rojava. Nel territorio occupato, vicino alla città di Serê Kaniyê, si trova la stazione idrica di Alouk. La stazione forniva nelle vicinanze tutta l’acqua per la regione di Heseke, compresi diversi campi profughi. Dal momento che la Turchia e i suoi mercenari controllano la stazione, la regione deve far fronte a gravi carenze idriche. La crescente scarsità d’acqua nel nord-est della Siria non è chiaramente solo il risultato del cambiamento climatico, ma più direttamente una conseguenza della politica idrica ostile dello stato turco, che sta violando il diritto umano fondamentale all’accesso all’acqua. Non ci sono casi simili in cui l’acqua è stata usata così apertamente come arma. Né le Nazioni Unite, né i partner della NATO della Turchia li ritengono responsabili di questo crimine internazionale. Il Syria Humanitarian Country Team, il forum delle ONG della Siria nord-orientale, il gruppo di collegamento umanitario transfrontaliero siriano e l’IFRC3 stanno facendo del loro meglio per sostenere la popolazione nel nord-est della Siria e prevenire un disastro umanitario. Ma solo un cambiamento nelle relazioni geopolitiche tra le potenze internazionali e lo stato turco o una liberazione dei territori occupati può portare un miglioramento a più lungo termine della situazione e garantire anche i nostri sforzi come campagna ecologica.

I sempre più diffusi movimenti per il clima che condividono gli stessi valori ecologici, secondo voi possono essere un modo per diffondere la vostra idea di società e comunità e una occasione per parlare di più della storia del popolo curdo?

Abbiamo iniziato la nostra campagna, Make Rojava Green Again, per diversi motivi. Il primo, ovviamente, per contribuire a progetti ecologici e restaurare la sacra connessione tra uomo e natura, dopo decenni di occupazione coloniale. Inoltre riteniamo che la rivoluzione del Rojava sia di indiscutibile importanza per la lotta al cambiamento climatico. L’analisi politica della storia e della situazione attuale, che fornisce la base per attuare il paradigma della rivoluzione, è di grande valore per ulteriori passi da compiere come umanità. Abdullah Öcalan – leader e fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan ndr – offre soluzioni funzionanti per una società auto-organizzata. Questi vengono implementati nel nord-est della Siria, non solo dai curdi, ma anche da regioni popolate prevalentemente da arabi e da altre etnie nel nord-est della Siria. Il paradigma ha tre pilastri fondamentali. Oltre alla liberazione delle donne e alla democrazia di base, l’ecologia è quella su cui ci stiamo concentrando. Crediamo che le nostre sfide ecologiche, con il cambiamento climatico come somma di tutte, siano profondamente intrecciate con le questioni sociali. Dall’inizio della nostra campagna abbiamo organizzato presentazioni all’interno del movimento per il clima in Europa. Il nostro obiettivo è discutere con i giovani della passività dei governi capitalisti e dell’importanza della prospettiva anticolonialista nel movimento per il clima. Come campagna, nella comune internazionalista del Rojava, miriamo a fungere da ponte tra gli attivisti ecologisti di tutto il mondo e le persone che vivono nel nord-est della Siria. Siamo aperti a chiunque voglia seriamente imparare e contribuire alla rivoluzione.

 

Fonti e approfondimenti:

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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