Greenwashing, l’UE si tira indietro: stop alla direttiva contro le false promesse verdi
Su pressione dei gruppi di destra la Commissione europea ha annunciato l'intenzione di ritirare la proposta di direttiva contro il greenwashing: salta l’obbligo per le aziende di dimostrare la veridicità delle dichiarazioni ambientali

Una brusca frenata nella lotta contro il greenwashing, la strategia di presentare come ecosostenibili e rispettose dell’ambiente attività che hanno invece impatti ambientali negativi. La Commissione europea ha annunciato l’intenzione di ritirare la proposta di direttiva nota come Green Claims Directive, che avrebbe obbligato le aziende a fornire prove verificate delle dichiarazioni ambientali su prodotti e servizi (ne avevamo parlato qui).
Il ritiro arriva dopo le pressioni del Partito popolare europeo (PPE), il gruppo di centrodestra al Parlamento europeo, che ha chiesto formalmente alla Commissione di abbandonare il testo, minacciando di bloccare qualsiasi accordo in fase di negoziazione. Una scelta che ha subito suscitato critiche da parte di altri gruppi politici e di alcuni Stati membri, mentre il nuovo round di negoziati tra Commissione, Consiglio e Parlamento per portare avanti la misura contro il greenwashing era già fissato per oggi, lunedì 23 giugno.
La direttiva, presentata a marzo 2023, si inseriva nel più ampio Green Deal europeo e mirava a mettere ordine nel mercato delle promesse “verdi”. Avrebbe obbligato le aziende a fornire informazioni scientificamente verificate a supporto di affermazioni specifiche, come l’uso di materiali riciclati, limitando l’uso disinvolto di etichette come “eco-friendly” o “climate neutral”.
La Commissione ha motivato la decisione con la necessità di “semplificazione normativa”, affermando che le attuali trattative rischiavano di estendere gli obblighi anche alle microimprese – quasi 30 milioni in Europa – contrariamente allo spirito iniziale della proposta. Ma per molti osservatori si tratta di una capitolazione politica, non tecnica.
Secondo Virginijus Sinkevičius, ex commissario all’ambiente e ora eurodeputato dei Verdi, il ritiro della direttiva «mina la credibilità delle imprese che hanno investito davvero nella transizione ecologica». La mossa è stata definita «sfacciata» da Tiemo Wölken (S&D), uno dei relatori del Parlamento europeo, che insieme a Sandro Gozi (Renew) insiste per continuare i negoziati.
La partita, però, non è ancora chiusa. La Commissione non ha formalmente notificato il ritiro, e diversi Stati membri, tra cui la presidenza polacca del Consiglio UE, hanno ribadito la volontà di proseguire i triloghi, incontri negoziali informali tra le tre principali istituzioni europee coinvolte nella formazione delle leggi: Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione Europea. Il segnale politico tuttavia è chiaro, e preoccupante: a Bruxelles, la lotta contro il greenwashing rischia di passare in secondo piano, in nome della deregolamentazione.
Una retromarcia che potrebbe creare un pericoloso precedente: quello di una Commissione che cede al ricatto politico, indebolendo la trasparenza e la tutela delle consumatrici e dei consumatori proprio quando il mercato avrebbe bisogno di regole più solide, non di meno.
NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.