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L’Amazzonia soffoca, Greenpeace: la COP30 fermi l’agribusiness distruttivo

Un nuovo rapporto mostra livelli di inquinamento da incendi agricoli fino a venti volte oltre i limiti OMS. «Alla COP30 i governi devono dire basta al greenwashing dell’industria della carne», avverte Greenpeace.

Alla vigilia della COP30, che si aprirà domani a Belém, in Amazzonia, un nuovo studio di Greenpeace International riporta un dato che smentisce l’immagine della foresta come “polmone del pianeta”: in molte aree dell’Amazzonia brasiliana l’aria è oggi più inquinata di quella di megalopoli come Pechino o San Paolo.

Secondo lo studio Toxic Skies: How Agribusiness is Choking the Amazon, le persone che vivono nel cuore della foresta respirano livelli di polveri sottili (PM2.5) fino a 20 volte superiori ai limiti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La causa principale non sono processi naturali, ma incendi appiccati intenzionalmente per liberare nuovi terreni agricoli, in particolare destinati al pascolo del bestiame e alla produzione di mangimi.

«L’Amazzonia svolge un ruolo fondamentale per la vita sul pianeta, ma oggi sta soffocando nel fumo degli incendi innescati dall’industria della carne», ha dichiarato Martina Borghi, campagna Foreste di Greenpeace Italia. «Alla COP30 i lobbisti diranno che la loro industria è parte della soluzione. I governi, però, devono andare oltre il greenwashing, esigendo che l’industria ne risponda direttamente».

amazzonia allevamenti
Bestiame in un’area di allevamento, vicino a una zona recentemente deforestata e bruciata, a Candeias do Jamari, nello stato di Rondônia. Foto: Greenpeace

L’Amazzonia più inquinata delle grandi città

Nelle località di Porto Velho (Rondônia) e Lábrea (Amazonas), durante la stagione degli incendi del 2024, le concentrazioni di PM2.5 hanno superato i 300 µg/m³, venti volte oltre le soglie OMS. Anche nel 2025, pur con meno incendi, le medie giornaliere sono rimaste sei volte oltre i limiti di sicurezza.

Secondo il rapporto, oltre 30 milioni di ettari di foresta – un’area pari alle dimensioni dell’Italia – sono stati bruciati tra il 2019 e il 2024 in un raggio di 360 chilometri dagli stabilimenti della multinazionale JBS, la più grande produttrice di carne al mondo. Quasi il 75% dei terreni bruciati attorno a Porto Velho è diventato pascolo, evidenziando le probabilità che il fuoco sia usato sistematicamente per espandere l’allevamento bovino.
La conseguenza è che Porto Velho risulta oggi tra le città più inquinate del Brasile, nonostante le sue ridotte dimensioni e la quasi totale assenza di industria.

Una crisi ambientale e sanitaria insieme

Gli effetti del fumo degli incendi sono evidenti anche negli ospedali. Durante la stagione secca, aumentano i ricoveri per malattie respiratorie, in particolare tra bambini e anziani. Secondo le analisi citate da Greenpeace, negli ultimi dieci anni il fumo legato all’agribusiness avrebbe contribuito a decine di migliaia di ricoveri e morti premature nella regione amazzonica.

«Nel nostro territorio il clima è molto secco e, insieme alla foschia, causa gravi problemi respiratori. Su dieci bambini, almeno sei hanno la tosse, e il numero continua a crescere», racconta Anderson Torres, operatore sanitario di Porto Velho.

La voce dei popoli indigeni

Le comunità indigene sono in prima linea. Il capo Zé Bajaga Apurinã, del territorio Caititu, denuncia: «Qui affrontiamo continue invasioni, incendi e deforestazione. Gli alberi vengono abbattuti per lasciare spazio alle piantagioni di soia e ai pascoli che inquinano l’aria e distruggono la nostra terra. Alla COP30 ci aspettiamo rispetto per la Terra, per le foreste e per i popoli che le difendono».

Le richieste di Greenpeace alla COP30

Alla COP30 di Belém, Greenpeace chiede ai governi di approvare un Piano d’azione per le foreste, per fermare e invertire la deforestazione entro il 2030, in linea con gli impegni ONU. Tra le principali proposte:

  • allineare il settore agroindustriale agli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal;

  • interrompere i rapporti economici con produttori di carne e mangimi responsabili di deforestazione e incendi;

  • finanziare direttamente Popoli Indigeni e comunità locali per la protezione e il ripristino delle foreste;

  • promuovere una transizione verso sistemi alimentari equi e sostenibili, riducendo anche le emissioni di metano.

Domani, con l’apertura della COP30 in Amazzonia, il Brasile avrà l’occasione di mostrare se intende davvero proteggere la foresta più importante del pianeta o continuare a tollerare un modello economico che la manda in fumo, letteralmente.

 


NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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