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La Natura dominante

L’isola di Stromboli, dove tutto dipende dal vento, dal mare e dall’attività vulcanica, ha un luogo e un tempo ideale per interrogarsi sul proprio posto nel mondo

La parte più piccola di una matrioska, la bambola russa di legno che racchiude figure simili ma non uguali, si chiama seme. È piccolissima, integra e resistente. Ginostra è il seme di una matrioska di Isole che si racchiudono l’una nell’altra: la Sicilia, le Eolie, l’isola di Stromboli.

Stromboli è un’isola ma anche un vulcano – Iddu, come lo chiamano i suoi abitanti – la cui cima raggiunge i 924 metri; l’area emersa misura 12,6 chilometri quadrati, l’area alla base sottomarina è 25 volte tanto. Per rendere l’idea: la terra emersa è grande un paio di chilometri in più della cerchia dei bastioni milanese e la base sottomarina è grande poco meno del doppio di  Milano. Ci sono due paesi sull’isola che ospitano i suoi 843  abitanti e il flusso turistico che scorre soprattutto nei mesi caldi: Stromboli sul lato nordorientale e Ginostra, che conta meno di un decimo di tutti i residenti dell’isola, sul versante sudoccidentale.

Gli studi archeologici fanno risalire la presenza di un significativo insediamento umano agli inizi del 1300 e hanno ricostruito un improvviso abbandono dell’isola da parte di questa comunità a causa di eventi catastrofici legati all’attività vulcanica e ai cedimenti del fianco del cono vulcanico. I cedimenti talvolta provocano tsunami: recenti studi di archeologi e vulcanologi hanno mostrato come alcune importanti mareggiate avvenute a Napoli possano essere potenzialmente attribuite all’arrivo di tsunami generati a Stromboli. Un esempio antico di come il vulcano e il mare hanno da sempre segnato la storia dell’isola e dei suoi abitanti e di come la natura disconosca i confini segnati dall’uomo. 

Sull’intera isola la vita obbedisce ad un ritmo e a una funzione spaziale plasmata sulle esigenze del  vulcano, sul vento e sul mare, ma è a Ginostra che si manifesta maggiormente l’idea di poter trovare un equilibrio accettando i limiti che la natura impone a ogni forma di vita (compresa quella umana), senza cercare di cambiarli con la forza.

A Ginostra si può arrivare solo via mare attraccando al Pertuso, il porto segnalato dal Guinness dei primati come il più piccolo del mondo. Il Pertuso consisteva in una minuscola rientranza naturale tra le rocce alle pendici del paese fino al 2004 quando, dopo numerose discussioni e considerazioni, è stato aggiunto un pontile.

Inizialmente il progetto del pontile ne prevedeva la costruzione alle Secche di Lazzaro, che distano da Ginostra circa un chilometro in linea d’aria, e la sua realizzazione comprendeva la costruzione di una strada di collegamento che avrebbe preso il posto di un sentiero storico. Tra chi voleva il pontile al Pertuso e chi alle Secche di Lazzaro, «alla fine ci pensa Iddu a risolvere l’insostenibile situazione» riporta Paolo Cappelli, abitante di Ginostra, nel suo libro Ho scelto Ginostra. Il 5 aprile del 2003, una forte esplosione lanciò dei massi su Ginostra: uno cadde nel centro del paese, l’altro verso le Secche di Lazzaro. Non ci furono morti, ma si registrarono danni e fu presa una decisione basata sul rischio vulcanico, sulle tempistiche di evacuazione e sull’instabilità del versante che presentava tratti franosi. Oggi le Secche di Lazzaro sono sott’acqua, il pontile è al Pertuso e il sentiero storico è percorribile. 

Il pertuso e il pontile

«La natura conserverà sempre i suoi diritti, e prevarrà alla fine su qualsiasi ragionamento astratto, qualunque esso sia», scrisse il filosofo David Hume, interrogandosi sulla Natura come guida dell’uomo.

«D’inverno se c’è mare ci possono essere dei giorni in cui siamo davvero isolati, ci possono anche essere 20 giorni in cui non arrivano le navi.» Così racconta Flavio, per tutti Teta, che ha scoperto l’Isola di Stromboli nel 2009 e se n’è innamorato tanto da trasferircisi stabilmente negli anni successivi e diventare uno dei pochi abitanti di Ginostra. «L’anno scorso il molo è stato portato via da una mareggiata e siamo stati diversi mesi senza aliscafi». Se si salpa o si attracca a Ginostra dipende comunque ancora dal vento e dal mare dal quale non transitano solo persone, ma anche risorse fondamentali come cibo e acqua. «È il mare che decide», spiega Flavio, e non ci sono né contrarietà né timore in questa affermazione. 

Scesi al Pertuso ci si trova davanti a una salita che poi si dirama in piccoli vicoli: da Lazzaro al Timpone (le due estremità) c’è un bel po’ di strada, ma neppure un metro di pianura. Non ci sono mezzi di trasporto, se non alcuni asini, d’aiuto soprattutto con le merci. I vicoli collegano quelle poche case bianche che colorano la montagna che le ospita sulle sue tonalità di verde, marrone e nero della pietra vulcanica. La pietra, come l’intero versante, è esposta ai venti di ponente, che la levigano così come levigano la pelle dei suoi abitanti, e il sole ne traccia le rughe. Nel documentario Pietre Parlanti di Stefano De Bellis, un abitante racconta che «quest’isola non permette nessuna mediazione. E questo significa anche che, quando sei in spiaggia, hai la roccia spigolosa e sogni il lettino ma dopo un po’ non lo sogni più. Perché ti abitui e il tuo corpo subisce la violenza delle pietre così come le pietre subiscono la violenza della mareggiata; scopri anche l’aspetto di profonda sensualità che c’è nel rapporto di violenza tra il corpo e le cose: questo è un posto estremamente sensuale proprio perché è complesso».

Tutto è esposto alla bellezza violenta della montagna viva e alla forza di un mare sempre diverso, e tutto quello che vi cresce in mezzo, materiale o immateriale che sia, ha la forza delle ginestre, i fiori che crescono sulle pendici dei vulcani e che, nel pensiero leopardiano, accettano con umiltà e dignità il proprio destino: vivono, muoiono e rinascono anche dopo una eruzione.

In cima alla ripida camminata si arriva a quella che viene chiamata “la piazzetta”, un piccola (e unica) zona in piano a picco sul mare davanti alla chiesa. La piazzetta è preceduta dal monumento che ricorda i nove caduti ginostresi della Prima guerra mondiale, isolani che lasciarono Stromboli per combattere in terre che avevano forse solo immaginato al di là dell’unico confine dell’isola: l’orizzonte. Al tramonto, dalla piazzetta si vede il sole scomparire dietro le variazioni del cielo che non ha mai gli stessi colori, un piano sequenza che segna lo scorrere del tempo esterno. «Qui hai il tuo tempo, i tuoi ritmi, che poi sono quelli della natura.» Teta racconta di come la vita cambi nei ritmi e nelle priorità quando il tempo esterno è scandito dal sorgere del sole, dalla pioggia o dal vento.  «Non serve possedere ciò che non ti serve veramente, qui i legami e le esperienze diventano il vero bene prezioso».

Le bianche case di Ginostra e la vista dal monumento ai caduti

In un paese in cui il mare ha un ruolo così vivo, prevale anche a terra la legge del mare: per mare ci si aiuta sempre, senza guardare in faccia nessuno, ovvero «Se uno sta male, l’altro dà una mano».

Per Teta, ma non solo, la legge è valsa anche in occasione delle esplosioni vulcaniche dell’estate 2019, considerate tra i parossismi più forti dell’ultimo secolo. «Io sono la seconda persona che è arrivata a punta dei Corvi», sentiero che porta fino sino alla sommità del cratere. Il 3 Luglio 2019, ci fu un’esplosione in cui morì un escursionista. «Quello che volevo in quel momento era aiutare». Sul sentiero Teta incontrò il compagno di viaggio di quell’escursionista, un ragazzo di origini brasiliane, proprio come lui, al quale aprì la sua casa per tutto il tempo che servì. Servì tempo anche per rimettere insieme l’isola: «Volevano evacuare ma le persone non sono volute andare via». Alcune persone vennero anche dalle isole vicine per aiutare a togliere dai tetti e dalle cisterne le nere pietre laviche che sotto i piedi diventano sabbia, in fretta, prima dell’arrivo della pioggia. A volte proteggere l’isola significa non lasciarla.

Sul versante sudoccidentale di Stromboli, il rapporto con il vulcano è come quello con il mare: è sempre presente, ma la sua percezione dipende molto dal vento. Quando tira vento di ponente, il vulcano fa da schermo, ferma le nubi e si avvolge in esse. Quando c’è vento di tramontana, Iddu è continuamente presente col sordo tuono delle sue esplosioni e con lo spostamento d’aria che fa arrivare anche un po’ di nera sabbia lavica. Gli abitanti dell’Isola lo considerano «una persona in più». A Stromboli «vivi in sintonia con la montagna, Iddu lo vivi come qualcuno che sta tossendo», ed è proprio «Iddu che rende Stromboli speciale».

L’isola di Stromboli è un luogo fatto di convivenza tra forze contrastanti, dove l’uomo né domina la natura né la considera un deposito di argomenti morali. L’uomo vive con essa, lavora con essa, si adatta agli eventi e accettandone l’imprevedibilità, plasma su di essa le proprie abitudini. Il concetto di abitudine è stato affrontato nei secoli dai filosofi come componente essenziale dell’agire e del pensare dell’uomo, come una “seconda natura”: per questo un approccio filosofico sulle abitudini può illuminarci su chi siamo veramente. Stromboli è l’isola del tempo presente: un luogo in cui la costruzione delle abitudini è dominata dall’imprevedibilità della natura, dove lo sguardo volto verso di sé è inevitabile. Qui si può indagare se stessi, la propria natura, che forse è vicina al respiro del vento, del mare e di Iddu, più di quanto possiamo immaginare. 

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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