Clima

COP15 sulla biodiversità: cosa prevede l’accordo finale

Entro il 2030 il 30% di aree protette e tutela delle popolazioni autoctone ma manca un fondamentale sistema di monitoraggio e controllo

La Cop15, conferenza mondiale sulla biodiversità delle Nazioni Unite, si è conclusa nella notte tra domenica e lunedì a Montréal, in Canada. Le 194 nazioni sono riuscite a raggiungere un accordo da molti definito storico: si tratta di un “patto di pace con la natura” che metterà le basi per le politiche di conservazione e tutela delle specie viventi e degli ecosistemi.

“Siamo giunti a un momento storico, al termine di un lungo viaggio pieno di ostacoli. Ma siamo arrivati a destinazione: abbiamo un patto mondiale sulla biodiversità”, ha commentato Huang Runqiu, presidente della Cop15 e ministro dell’Ambiente della Cina.

L’accordo finale dopo i negoziati prevede la richiesta ai governi di tutto il mondo di raggiungere l’obiettivo di estendere ad almeno il 30% dei territori, entro il 2030, lo status di area protetta (sia che si tratti di terre emerse che di ecosistemi marini). Al momento sono aree protette il 17% delle terre e l’8% dei mari. Molto importante anche l’aspetto legato alla difesa dei popoli indigeni. Nei prossimi 12 mesi i governi dovranno mettere in atto quanto concordato per raggiungere questi obiettivi.

Si è inoltre passati dal 20 al 30% di terre degradate da bonificare ma non è stata accolta la richiesta di indicare un obiettivo espresso in ettari e dunque molto più preciso. Un passo in avanti significativo riguarda il tema dei pesticidi. Nel testo viene citata la necessità di di ridurre del 50% i rischi legati ai pesticidi. In questo caso si tratta di una vittoria da parte di chi sosteneva un impegno ambizioso da parte dei governi. Gli scienziati, infatti, avevano più riprese chiesto non tanto di ridurre i quantitativi utilizzati bensì, appunto, i rischi. Poiché ad esempio per quanto riguarda i neonicotinoidi anche piccole dosi risultano fortemente tossiche. Infine, il testo cita anche l’agroecologia come obiettivo di trasformazione delle colture.

Diritti indigeni al centro

I popoli indigeni sono menzionati 18 volte negli obiettivi di questo decennio per arrestare e invertire la biodiversità. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che i popoli indigeni sono i migliori custodi della natura, rappresentando il 5% dell’umanità e proteggono l’80% della biodiversità. Dal Brasile alle Filippine, le popolazioni indigene sono soggette a violazioni dei diritti umani, violenze e espropri di terre. I modelli di conservazione guidati dagli indigeni devono diventare la norma in questo decennio se vogliamo agire concretamente sulla biodiversità.

Aiuti economici verso i Paesi più poveri

Le nazioni più ricche Cop15 dovranno aiutare le più povere a livello economico. Inizialmente la cifra ipotizzata era di 100 miliardi di dollari all’anno e le trattative hanno raggiunto un accordo su una cifra nettamente inferiore: l’aiuto sarà pari a 20 miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2025, e crescerà a 30 miliardi a partire dal 2030.

Il punto critico della Cop15: manca un sistema di monitoraggio

L’accordo raggiunto a Montreal rischia però di avere problemi di applicazione concreta. Uno dei principali elementi critici riguarda la mancanza di un sistema di monitoraggio e di controllo. I precedenti obiettivi sulla tutela della biodiversità fissati nel 2010, infatti, si trasformarono in un nulla di fatto proprio per la mancanza di un meccanismo di controllo. Anche con la Cop15 non si è riusciti a creare un sistema di monitoraggio e ciò potrebbe costituire un grosso freno al raggiungimento degli obiettivi fissati a Montreal.

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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