Nuova Zelanda, il governo sotto accusa per il piano climatico: non è abbastanza
Un gruppo di oltre 300 avvocate e avvocati ambientalisti fa causa allo Stato: «Piano inadeguato e pericoloso, viola la legge sul clima»

Il primo piano nazionale per la riduzione delle emissioni della Nuova Zelanda finisce in tribunale. Due organizzazioni di giuriste e giuristi – Lawyers for Climate Action NZ e Environmental Law Initiative – hanno depositato una causa presso l’Alta Corte di Wellington contro il governo di centrodestra, accusandolo di avere presentato una strategia climatica «pericolosamente inadeguata» per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Si tratta del primo contenzioso legale sul piano climatico neozelandese e, secondo chi lo promuove, del primo caso al mondo in cui si contesta l’eccessivo affidamento sui meccanismi di compensazione forestale per azzerare le emissioni.
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Troppa fiducia negli alberi, troppo poca nei cittadini
Il cuore dell’accusa è semplice: il piano pubblicato a dicembre – pur rispettando gli obiettivi intermedi fino al 2030 – non garantisce una reale decarbonizzazione di lungo periodo. Il governo, secondo la denuncia, avrebbe abbandonato decine di misure concrete come il bonus per le auto a basse emissioni o i piani per uscire gradualmente dal gas fossile, senza alcuna consultazione pubblica.
La strategia, affermano le parti ricorrenti, si affida in modo eccessivo a soluzioni rischiose come la piantumazione massiva di pini non autoctoni per assorbire CO₂, ignorando il fatto che le foreste possono bruciare, ammalarsi o degradarsi. E che la cattura del carbonio nel suolo, altra leva prevista, non è una soluzione affidabile a lungo termine.
Le cifre (e le responsabilità) della Nuova Zelanda
Sebbene il contributo della Nuova Zelanda alle emissioni globali sia solo lo 0,17%, il paese ha tra le emissioni pro capite più alte del mondo. Dal 1990 al 2018 ha visto un aumento del 57% delle proprie emissioni: il secondo peggior risultato tra i paesi industrializzati.
Dietro questa causa c’è una critica più ampia al cambio di rotta del nuovo governo. Da quando è entrato in carica, ha rilanciato l’estrazione offshore di petrolio e gas, investito 200 milioni di dollari neozelandesi nell’esplorazione di nuovi giacimenti, e ridotto i fondi per la conservazione e la transizione ecologica. Il disegno di legge “fast-track”, che accelera i progetti infrastrutturali – comprese nuove miniere – è stato descritto come «devastante per l’ambiente».
La via giudiziaria come nuova forma di attivismo
Negli ultimi anni le aule di tribunale stanno diventando un nuovo fronte per il clima. Dopo la sentenza del 2024 che ha dichiarato il piano climatico britannico illegale, anche la Nuova Zelanda affronta ora una sfida simile. E non è solo una questione tecnica.
«Portiamo questa causa in tribunale per mettere alla prova la distanza tra le parole del governo e la realtà», ha dichiarato Jessica Palairet, presidente di Lawyers for Climate Action NZ. Secondo lei, il piano attuale non rispetta la legge neozelandese sul clima, approvata nel 2019, che impone obiettivi chiari e strumenti trasparenti per raggiungerli.
Che la causa abbia successo o meno, è un segnale forte: affidarsi alle foreste per “compensare” le emissioni non basta. Serve una riduzione vera, strutturale, e condivisa con la popolazione.
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NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.