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In Liguria nasce la prima “Smart Bay” italiana per studiare il cambiamento climatico

E’ la Baia di Santa Teresa: un laboratorio naturale di ricerca, in cui natura, uomo e tecnologia avanzata interagiscono in modo sostenibile per studiare e contrastare gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo

In occasione della Giornata Europea del Mare 2021, il 20 maggio scorso, nelle acque della baia di Santa Teresa, nei pressi di Lerici (La Spezia), è stato inaugurato un laboratorio sottomarino hi-tech per lo studio delle alghe e di alcuni invertebrati sessili, quali briozoi, coralli, molluschi e policheti: organismi marini forse poco considerati, ma di estrema importanza  per le strategie di adattamento e mitigazione al cambiamento climatico, dunque utilizzati come “sensori viventi”. 

Con questo progetto pilota ha preso il via ufficialmente la prima Smart Bay italiana, una piattaforma collaborativa promossa dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), che vede la partecipazione di numerosi enti, tra i quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISMAR), l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’università di Roma La Sapienza, oltre al Comune di Lerici, la Scuola di Mare Santa Teresa, la Cooperativa Mitilicoltori Associati e l’azienda W·SENSE, che fornisce la sofisticata strumentazione.

La baia di Santa Teresa (Lerici) è la prima Smart Bay italiana: a cosa mira il progetto e di cosa si tratta

L’iniziativa mira alla gestione coordinata delle infrastrutture di ricerca marina e atmosferica e alla sperimentazione di tecnologie avanzate a supporto di settori ad alto potenziale di crescita e occupazione sostenibili quali acquacoltura, turismo, biotecnologie marine ed energia dal mare, in linea con le finalità del cluster tecnologico Blue Italian Growth (BIG), nel più ampio contesto della strategia europea Blue Growth.

Crediti: smartbaysteresa.com

Come spiega il sito ufficiale del progetto, “la Baia di Santa Teresa ospita preziosi ecosistemi marini e terrestri, la cui conoscenza e conservazione sono di grandissima importanza per il nostro futuro. Essi infatti  forniscono servizi ecosistemici, cioè tutti quei servizi che contribuiscono al benessere della natura e quindi dell’uomo, quali cibo, regolazione del clima, purificazione di acqua e aria, assorbimento di CO2, contribuendo all’adattamento al cambiamento climatico. 

Il mare è un ambiente remoto e difficilmente accessibile sia negli ambienti costieri e poco profondi sia negli ambienti estremi oceanici oppure polari. Per comprendere a fondo il funzionamento degli ecosistemi marini è fondamentale eseguire osservazioni dell’ambiente estese nel tempo ed acquisire enormi moli di dati (big data) che permettano di descrivere e comprendere i cambiamenti in atto. Per questo è importante equipaggiare i sistemi osservativi marini con soluzioni basate su metodologie di intelligenza artificiale per estrarre in modo automatico la conoscenza rilevante contenuta nei dati acquisiti. La Baia di Santa Teresa è anche un sito di test e validazione dei sensori intelligenti e da remoto per l’osservazione non invasiva e non distruttiva degli ambienti marini.”

La tecnologia avanzata di cui è dotata la Smart Bay permette dunque di acquisire una notevole quantità di informazioni. Oltre ai dati sulla fisiologia degli ecosistemi che formano foreste sommerse ed emerse, come respirazione, fotosintesi, calcificazione e crescita, tramite l’uso di droni terrestri e marini è possibile rilevare anche la distribuzione e l’estensione di alcune specie nella baia ed in altri siti del golfo dei Poeti. 

Attraverso l’impiego di sonde, sensori e campagne di misura settimanali e mensili vengono inoltre acquisiti in situ dati quali temperatura, ossigeno, salinità, pressione, nutrienti, pH, pCO2 e carbonati (calcite e aragonite) per monitorare nel tempo la variazione di parametri biologici ed ambientali in relazione al cambiamento climatico in atto.

Il riscaldamento del mare, la conseguente perdita di ossigeno e l’acidificazione delle acque possono infatti avere gravi conseguenze sugli organismi marini a più livelli trofici, con ripercussioni anche sulla pesca, e quindi sulla produzione alimentare e le comunità umane. 

Cosa potrebbe accadere?

Le ricerche svolte dalla comunità scientifica internazionale dimostrano che il tasso di assorbimento oceanico della CO2 atmosferica sta continuando a rafforzarsi in risposta alla crescente concentrazione nell’aria di  questo gas climalterante, prodotto in grandi quantità dalle attività umane. La conseguente acidificazione delle acque può portare alla riduzione della disponibilità dei carbonati necessari per la costruzione di scheletri e conchiglie, con inevitabile compromissione dell’equilibrio di interi ecosistemi marini.

Il riscaldamento del mare, oltre a contribuire alla perdita di ossigeno, col tempo provoca l’aumento della stratificazione della colonna d’acqua, cioè rende le acque superficiali  molto meno dense rispetto a quelle profonde più fredde e ricche di nutrienti, inibendo lo scambio tra i due livelli ed interferendo quindi con il ciclo dei nutrienti. Non da ultimo, il riscaldamento degli oceani sta modificando la biogeografia degli organismi marini, con conseguente cambiamento della composizione delle comunità che, in alcuni casi, porta a competizione tra specie, spesso a svantaggio di quelle autoctone. 

Gli ecosistemi costieri, soprattutto quelli formati da mangrovie, paludi salmastre e foreste sommerse di piante marine (come la Posidonia oceanica) possono aiutare a ridurre i rischi e gli impatti del cambiamento climatico. La rimozione e lo stoccaggio del carbonio in habitat marini ricchi di vegetazione, chiamato “carbonio blu”, è infatti decisamente superiore a quello della maggior parte degli ecosistemi terrestri . La conservazione e tutela di questi habitat possono quindi aiutare a raggiungere un equilibrio tra emissione e rimozione di CO2 e contribuire all’adattamento climatico.

smart bay
Posidonia. UnsplashBenjamin L Jones

Il Mediterraneo sta diventando sempre più caldo e acido: i timori dei ricercatori della Smart Bay

I ricercatori della Smart Bay Santa Teresa temono che il Mediterraneo stia diventando sempre più caldo e acido, il che influenzerebbe l’habitat di molte specie autoctone e porterebbe anche a violenti cambiamenti nei sistemi meteorologici, rendendo ancor più frequenti i fenomeni estremi.

Chiara Lombardi, ricercatrice del laboratorio ENEA di Biodiversità e servizi ecosistemici, ha creato all’interno della Smart Bay una “fattoria sottomarina” di briozoi e policheti.  La biologa marina misura e studia l’andamento della crescita di questi organismi, che utilizzano i carbonati presenti nell’acqua per costruire i loro gusci e sono quindi particolarmente sensibili all’aumento dei livelli di acidità del mare, oltre che alle alte temperature. 

“Stiamo monitorando la chimica dei carbonati dell’acqua e le sue proprietà fisiche,” spiega Lombardi in una videointervista a Reuters. “Ciò che stiamo osservando è che nel Mediterraneo sta aumentando la frequenza delle ondate di calore, con picchi sempre più alti di temperatura. Stiamo monitorando il pH, che è correlato all’acidificazione degli oceani, e il livello di ossigeno, che è correlato all’ipossia che sta causando molti danni all’ecosistema mediterraneo, compresa l’acquacoltura”. La ricercatrice spiega che comprendere il funzionamento di questi ecosistemi marini, l’influenza reciproca con l’ambiente che li circonda e migliorarne la percezione sociale rappresentano il punto di partenza per pianificare una vera transizione ecologica che coinvolga ricercatori, stakeholder, amministratori del territorio e cittadini. “Smart Bay Santa Teresa nasce per creare una piattaforma di dialogo e promuovere la cooperazione tra diversi attori su un territorio piccolo ma prezioso, affinché attraverso lo scambio e la collaborazione si indirizzi il lavoro verso una crescita Blue, che sia di ricerca, innovazione, produzione o turismo, con gli ecosistemi e la tecnologia al centro”, aggiunge Lombardi.

Smart Bay Santa Teresa fornisce anche dati utili per lo studio degli eventi meteorologici estremi, che stanno diventando sempre più frequenti. “Il Mar Mediterraneo è diventato un hot spot di ciò che sta accadendo a livello globale negli oceani”, spiega a Reuters il ricercatore ENEA ed esperto di oceani Franco Reseghetti, che da anni monitora e studia le variazioni di temperatura nel Mare Nostrum. La sua ricerca si basa anche su dati modellistici, finalizzati a prevedere le situazioni  atmosferiche associate agli eventi estremi, come i “Medicane” (MEDIterranean HurriCANE), vortici ciclonici simili a quelli tropicali, alimentati dagli effetti del riscaldamento del mare sugli strati inferiori dell’atmosfera.

“Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un’accelerazione delle variazioni di temperatura e di salinità delle acque del Mar Mediterraneo,” prosegue il ricercatore. ”Questo è preoccupante, non solo dal punto di vista dell’impatto per le specie viventi, che ora trovano condizioni di vita totalmente diverse, ma anche perché queste condizioni portano a eventi atmosferici estremi e violenti”. Reseghetti spiega che questi eventi sono per ora ancora sporadici, ma le precipitazioni ad essi associate sono simili a quelle di un uragano.

Crediti Sat24.com/Eumetsat/MetOffice – 17 settembre 2020: un Medicane (o TLC – Tropical Like Cyclone) sul Mar Ionio.

A lungo termine il Mediterraneo potrebbe cambiare completamente le sue caratteristiche”, avvisa il ricercatore. ”Dobbiamo tenere presente quanto il mare sia importante non solo per l’Italia, ma anche per altri paesi come Francia, Grecia e Spagna, che quest’anno hanno pagato un prezzo molto alto in termini di alternanza di incendi e forti piogge. Questi eventi estremi dovrebbero farci pensare che forse è davvero ora di smettere di parlare e iniziare ad agire”.

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Laura Bertolani

Laureata in Scienze Naturali, nel 1997 è entrata a far parte del team di meteorologi di Meteo Expert. Fino al 2012, all’attività operativa ha affiancato attività di ricerca, occupandosi dell’analisi della performance dei modelli di previsione. Attualmente si dedica a quest’ultima attività, ampliata implementando un metodo di valutazione dell’abilità dei modelli a prevedere dodici configurazioni della circolazione atmosferica sull’Italia, identificate per mezzo di una rete neurale artificiale.

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