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Isola di calore urbana, perché in città fa più caldo? Le cause del fenomeno

Un fenomeno studiato a lungo, apprenderne cause e meccanismi per comprenderne gli effetti e le azioni di mitigazione

In un pianeta sempre più sovrappopolato continua a crescere anche la percentuale della popolazione che vive nei centri urbani: oggi più della metà della popolazione mondiale vive in città e questa percentuale è in aumento. Il pianeta si sta scaldando a causa dei gas-serra, lo sappiamo ma, allargandosi, anche le aree urbanizzate diventano più calde: il fenomeno, conosciuto come isola di calore urbana(UHI: “Urban Heat Island”) viene studiato da molto tempo, ma resta quanto mai attuale nel momento in cui il riscaldamento globale accresce la frequenza e l’intensità delle ondate di calore proprio quando così tante persone abitano in una città o nelle grandi metropoli.

Il farmacista inglese Luke Howard fu fra i primi ad accorgersi che una città può essere più calda delle aree rurali circostanti: famoso per aver classificato nel modo moderno le nubi, nel 1818 pubblicò uno studio del clima di Londra dove descrisse il fenomeno. Da allora, le ricerche sulle particolarità del clima urbano e sull’effetto isola di calore sono state innumerevoli. Proviamo a capirne di più.

Figura 1 – la tipica distribuzione delle anomalie delle temperature notturne in una città. Fonte U.S. EPA

L’intensità di un’isola di calore è definita dalla differenza di temperatura tra il centro della stessa e le aree rurali circostanti: in media nelle grandi città (parliamo di agglomerati urbani dell’ordine di grandezza di un milione di abitanti) si registrano temperature medie annuali 1-3°C più alte rispetto al circondario, ma questo valore medio nasconde profonde variazioni tra la notte ed il dì e marcate differenze nel corso delle stagioni, fortemente modulate dal tempo meteorologico e dal contesto geografico in cui si trova la città. Le città più grandi e popolose posseggono un’isola di calore più intensa che può arrivare anche al valore di 12°C nelle condizioni più favorevoli al fenomeno, vale a dire durante le notti con cielo sereno e calma di vento.

Figura 2 – Andamento temporale della temperatura dell’aria in una città (linea rossa) e in un’area rurale vicina (linea verde). La linea nera rappresenta la differenza tra le due temperature, maggiore dopo il tramonto (sunset) e poco prima dell’alba (sunrise). Fonte: U.S. EPA

Nella figura 2 è mostrato il tipico andamento delle temperature dell’aria misurata in una città e nella campagna circostante, in condizioni di tempo stabile, con venti deboli e cielo sereno: come si può vedere attorno al mezzogiorno la temperatura in città è simile a quella delle zone rurali, o perfino leggermente inferiore (isola di calore negativa, capiremo meglio in seguito che è più frequente nei climi aridi); alla sera, invece, mentre nelle zone verdi la temperatura si abbassa velocemente in città scende con lentezza, restando più alta di qualche grado fino all’alba; al mattino, infine, i moti convettivi e turbolenti indotti dall’alzarsi del sole sull’orizzonte e dal suo calore tendono a rimescolare i bassi strati atmosferici e a dissipare l’anomalia termica cittadina.

Per quale motivo le città sono più calde, specialmente nel loro centro e durante le ore notturne?

Le cause sono principalmente quattro: le proprietà termiche dei materiali con cui è costruito l’ambiente urbano; le pavimentazioni impermeabili unite alla mancanza di vegetazione; la “geometria” delle città; il calore generato dalle attività umane (motori, caldaie …). Di queste l’ultima, il calore antropico, pur potendo essere una causa localmente significativa nelle aree più dense e, come intuitivo, soprattutto in inverno, è quella di gran lunga meno importante, e pertanto esamineremo con dettaglio solo le prime tre.

I materiali con cui sono costruite le città, si pensi solo all’asfalto di colore nero, sono in prevalenza poco riflettenti nei confronti dalla radiazione solare (in termini tecnici si dice che hanno un’albedo bassa) e posseggono un’alta capacità termica (possono cioè immagazzinare molto calore). Questa circostanza, unita all’effetto della geometria cittadina crea una vera e propria trappola nei confronti del calore assorbito. L’infrastruttura urbana, infatti, è in grado di moltiplicare l’albedo effettiva della superficie cittadina perché la radiazione solare entrante viene riflessa e assorbita più volte tra i muri degli edifici (si veda la figura 3). Durante la notte il calore assorbito nelle ore precedenti viene perduto verso lo spazio nella forma di radiazione ad onda lunga (o infrarossa) e anche in questo caso i raggi termici, emessi in tutte le direzioni, possono essere riflessi e assorbiti di nuovo in quello che è stato definito il “canyon urbano”. Per descrivere in modo quantitativo questo fenomeno a volte si introduce il cosiddetto “sky view factor”, che misura la porzione di cielo visibile da basso: nei centri cittadini dove gli edifici sono più alti e vicini fra loro questo fattore è molto piccolo e pertanto lì l’isola di calore è massima.

Figura 3: il bilancio termico in una città è influenzato dalle multi riflessioni fra gli edifici della radiazione a onda lunga (long-wave radiation) e di quella a onda corta (short-wave). Gli altri termini del bilancio sono il calore antropogenico, il calore sensibile, quello immagazzinato ed il calore latente. Fonte: U.S. EPA

L’ultimo aspetto che resta considerare, ma non certo per importanza, è il ruolo svolto dalla vegetazione e dalle superfici impermeabilizzate. Le città, specialmente al loro centro, ma anche nei quartieri commerciali e produttivi sono caratterizzate dalla mancanza o dalla grande scarsità di vegetazione e da vaste superfici impermeabilizzate, soprattutto perché coperte dall’asfalto. Il suolo libero e soprattutto gli alberi sono soggetti all’evapotraspirazione: una porzione significativa dell’energia che giunge dal sole viene impiegata per far evaporare l’acqua contenuta nel suolo o nelle foglie e pertanto tali superfici rimangono più fresche; questa energia è detta calore latente e ha un ruolo fondamentale sia nel bilancio termico delle superfici sia, più in generale, nei processi atmosferici.

All’effetto rinfrescante dell’evapotraspirazione, nel caso degli alberi, occorre aggiungere la loro importante funzione di ombreggiare la superficie sottostante, impedendo ad una parte dei raggi solari di finire nella “trappola” che abbiamo descritto poco sopra. L’effetto dell’evapotraspirazione aiuta a spiegare uno dei motivi per cui le città, a parità di dimensioni, non sperimentano la stessa isola di calore: nelle aree più aride e aventi scarsa vegetazione il bilancio termico non è così diverso tra campagna e città, perché in entrambi i casi c’è poca acqua che può evaporare. Inoltre sono molteplici le diverse condizioni climatiche e meteorologiche che possono influenzare l’intensità dell’isola di calore urbana: ora che abbiamo compreso i meccanismi che ne sono all’origine non sarà difficile immaginarli. Le città poste in aree ventose, naturalmente, saranno meno soggette al fenomeno; l’isola di calore si svilupperà poco dopo una giornata con cielo coperto durante la quale la radiazione solare è stata scarsa; meno ancora durante lunghi periodi piovosi e ventosi.

A proposito di precipitazioni, prima di concludere vale davvero la pena fare almeno un cenno all’influenza delle città sulla distribuzione e sull’intensità delle piogge. Questo aspetto ha meritato un’attenzione più tardiva rispetto al fenomeno dell’isola di calore e risulta anche un po’ meno compreso per via della sua complessità. Ecco in estrema sintesi quello che oggi sappiamo: le città tendono a generare un aumento della quantità di pioggia sul loro centro e sulle aree sottovento alle stesse; l’incremento medio nelle precipitazioni è quantificabile fra il 16 ed il 18% in più rispetto alle aree circostanti, fino a una distanza di 20-50km; l’aumento di pioggia sopra il centro cittadino si osserva sia di giorno che di notte, mentre l’aumento sottovento è un fenomeno diurno. L’origine di questo incremento va ricercata principalmente nella maggiore quantità di calore che le città possono fornire alle celle convettive (le cui piogge sono rilasciate sopra alla città o sottovento alla stessa) e nella “rugosità” del tessuto cittadino. Scritto con parole più semplici, le città, specialmente se composte da edifici molto alti, rappresentano un ostacolo per i venti che soffiano sopra di esse, i quali tendono a generare moti verticali sopra la città o ad aggirarla per poi convergere sottovento, come se vi fosse una collina. Oltre a ciò, la città costituisce anche una sorgente di aerosol e particolato, che possono influire in modo complesso sulle caratteristiche microfisiche della nube e sull’eventuale sviluppo delle precipitazioni.

Come abbiamo mostrato, sia pure sinteticamente, l’isola di calore urbana è stata lungamente studiata ed è compresa piuttosto bene nelle sue cause. Racconteremo dei suoi effetti (prevalentemente negativi) sugli abitanti e sull’ambiente in un prossimo approfondimento, dove delineeremo anche le principali strategie di mitigazione del fenomeno. Anticipiamo e ribadiamo che in un pianeta sempre più caldo dove sempre più persone abitano in grandi metropoli il problema dovrebbe essere fra i primi in cima alla lista dei più urgenti da affrontare. Alcune soluzioni sono davvero a portata di mano, (non è difficile immaginare che parleremo molto di alberi …) altre sono allo studio o si stanno sperimentando.

 

Per approfondire:

 

 

 

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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