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Fotografia naturalistica: l’Italia trionfa al concorso Asferico

Intervista esclusiva al Presidente dei Fotografi Naturalisti Italiani, Alessandro Magrini: «Se vogliamo risolvere i problemi ambientali, dobbiamo mettere in atto stili di vita virtuosi»

Lo spettacolo nello spettacolo. L’anima, la tecnica e l’esperienza dell’uomo che entra nel cuore della natura, la rispetta, e la ritrae. C’è tutto questo, e molto di più, nelle fotografie premiate all’edizione 2019 del concorso “Asferico”. La rassegna è organizzata dall’AFNI, Associazione dei fotografi naturalisti italiani. Una realtà emblematica, quest’ultima, per la passione e il rispetto con cui i suoi associati si approcciano al meraviglioso mondo naturale che ci circonda. Abbiamo incontrato il Presidente Alessandro Magrini, che ci ha rilasciato un’intervista nella quale racconta, con vibrante emozione, cos’è “Asferico”, come nasce la sua passione per la Natura e ci descrive poi tutti i segreti della fotografia naturalistica.

Asferico: Presidente Magrini, di cosa si tratta? Quando e perché nasce l’idea di realizzare questo concorso?

«“Asferico International Nature Photography Competition” è il Concorso internazionale di fotografia naturalistica organizzato annualmente dall’Associazione Fotografi Naturalisti Italiani (AFNI). Quest’anno ha raggiunto la sua 13esima edizione, a cui hanno partecipato circa 800 fotografi di 54 paesi del mondo con quasi 19.000 immagini inviate. I premi annui distribuiti, per un valore di oltre 15.000 euro, la qualità delle foto selezionate, la competenza dei componenti della giuria, lo splendido catalogo delle immagini premiate ne fanno senza alcun dubbio uno dei più apprezzati e prestigiosi concorsi del suo genere in Europa.
Non tutti sanno che il concorso prende il suo originale nome dalla omonima rivista quadrimestrale di fotografia naturalistica edita dall’AFNI, che è giunta al 21° anno di vita e al 60° numero. “Asferico” nella nostra lingua è in realtà un aggettivo, un termine tecnico dell’Ottica per definire una lente lavorata in modo da eliminarne la sfericità, responsabile dell’aberrazione sferica e di altre anomalie degli obiettivi fotografici, dei telescopi e degli occhiali da vista. Uno strumento per vedere meglio e per realizzare foto dai contorni e dai colori perfetti: una metafora esemplare, se si vuole, per gli scopi che si propone la nostra Associazione.
L’idea di realizzare un concorso è sempre stata viva nell’AFNI fin dai primi anni successivi alla sua fondazione, avvenuta nel 1989 ad opera di Paolo Fioratti. Dato che le nostre risorse economiche non ce lo permettevano, agli inizi di questo secolo sostenemmo attivamente il neonato “Premio Italiano di Fotografia Naturalistica”, organizzato dalla rivista Oasis in collaborazione con il Circolo Fotografico Arno di cui era stato segretario il socio ed amico Claudio Vivoli, prematuramente scomparso. L’occasione per “mettersi in proprio” si presentò dopo l’acquisizione della rivista “Asferico” dalle Edizioni Trana e la sua gestione diretta da parte dell’AFNI. Nel 2007, grazie soprattutto all’impegno di Daniele Marson, allora Segretario nazionale, e del Consigliere Armando Maniciati, attuale Vicepresidente AFNI, il Consiglio Direttivo decise di fare il grande passo e di lanciare l’attuale Concorso internazionale. C’era il desiderio di aprirci al mondo, di far conoscere l’AFNI e i valori etici che rappresenta nella Fotografia naturalistica, senza limiti geografici e confini. Da allora il Concorso “Asferico” è riuscito gradualmente a ritagliarsi un suo spazio e ad affermarsi in un settore in cui la concorrenza è durissima, dovendosi confrontare con competizioni di successo, sostenute da grandi realtà imprenditoriali, prestigiose case editrici di fama mondiale o antichi e blasonati musei. A tutt’oggi il Concorso Asferico resta uno dei pochi nel mondo a non avere scopi commerciali ed è forse l’unico ad essere interamente realizzato da volontari. Desidero ringraziare anche in questa occasione Maniciati, Mirko Destro, Nilvana Pasqualini, Ioannis Schinezos, Marco Ferrari, Pino Magliani, Marco Andreini, e gli altri Soci che curano l’organizzazione, la parte informatica, il catalogo, le proiezioni e tutti gli aspetti delle manifestazioni legate alla premiazione dei vincitori, conosciute come Fotofestival Asferico. L’AFNI è orgogliosa di ciò che fanno. Dopo il ritiro di Delta 2000, lo sponsor che ci ha sostenuto in questi ultimi sette anni, siamo alla ricerca di un nuovo partner che condivida i nostri principi ed abbia le strutture adeguate e le risorse che permettano al Concorso “Asferico” di crescere senza metterne in discussione metodi e finalità educative, per noi irrinunciabili»
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Chi sono i vincitori dell’edizione di quest’anno? Ci descrive le fotografie che l’hanno colpita maggiormente?

«Com’è nella tradizione del Concorso “Asferico” il nome del vincitore assoluto, che riceverà i premi più ricchi, sarà svelato soltanto al momento della premiazione che avverrà a San Ginesio (MC) il 12 luglio prossimo. Ancora qualche settimana di suspense, dunque, per i vincitori delle 8 Categorie adulti, tra cui verrà indicato.
I nomi dei vincitori di categoria (Winner) e dei secondi classificati (Runner up) sono i seguenti:
Paesaggio: Daniele Macis (Italia) Winner, Marco Gaiotti (Italia) Runner up;
Mondo subacqueo: Andrea Izzotti (Italia) Winner, Scott Portelli (Australia) Runner up;
Mammiferi: Fabien Dubessy (Francia) Winner, Myriam Dupouy (Francia) Runner up;
Uccelli: Santiago Sainz Trapaga (Argentina) Winner, Bertold Nagy (Ungheria) Runner up;
Altri animali: Marco Maggesi (Italia) Winner, Cristina Ayala Perez (Spagna) Runner up;
Piante e funghi: David Santiago Garcia (Spagna) Winner, Marco Colombo (Italia) Runner up;
Composizioni e forme: Manuel Angel Gallego de Prada (Spagna) Winner, Marco Gaiotti (Italia) Runner up;
Uomo e natura: Saverio Gatto (Italia) Winner, Angiolo Manetti (Italia) Runner up;
Sezione giovani (15-17 anni): Rego Fussy Nagy (Ungheria) Winner, Sacha Frick(Svizzera) Runner up;
Sezione giovani (fino a 14 anni): Fred Zacek (Estonia) Winner, Laura Albiac (Spagna) Runner up.
Questa edizione ha visto trionfare dunque, per la prima volta dopo molti anni, i fotografi italiani, risultati vincitori in metà delle dieci categorie. Ciò può essere in parte spiegato col fatto che i nostri connazionali che partecipano al concorso sono in maggioranza e sono sempre più numerosi. Ma questo non basta a giustificare il loro successo, che è anche una chiara dimostrazione della vivacità della nostra fotografia naturalistica e dell’accresciuto livello qualitativo dei fotografi italiani. Come presidente dell’AFNI, mi fa particolarmente piacere constatare che tra i premiati e segnalati vi sono anche tre nostri soci: Michele Pennati, Franco Fratini e Saverio Gatto. Senza voler fare torto a nessuno (le foto vincitrici e quelle scelte per il catalogo sono tutte molto belle) vorrei soffermarmi proprio sulle loro. Quella di Michele (Silent witness) rappresenta un vasto paesaggio incantato: alberi, arbusti e canne ricoperti di galaverna e magicamente avvolti, ma non nascosti, da una morbida nebbia appena appena tinta di rosa, presumibilmente dall’aurora. Sulla destra emerge, altissimo, brullo e scuro, un pioppo, silenzioso testimone, insieme al fotografo, di quell’incredibile vaporoso candore. Il punto di ripresa, dall’alto, fa sì che il paesaggio si sviluppi su due piani, con gli alberi sullo sfondo che assomigliano a soffici nubi in un cielo immaginario. Un bellissimo scatto che Michele, molto probabilmente, ha realizzato vicino a casa, in Brianza. La foto di Franco Fratini, anch’egli lombardo, con tutta evidenza è stata scattata sulle Montagne Rocciose e inviata per la Categoria Mammiferi: si tratta di una femmina di bighorn sheep, ferma davanti ad una roccia dalle straordinarie sfumature di colori, che vanno dal grigio al giallo ocra al rosso. La composizione, studiata rispettando perfettamente la “regola dei terzi”, è resa ancor più armonica dai tagli degli strati rocciosi, trasversali rispetto al soggetto. La foto di Saverio Gatto, marchigiano, ha vinto la Categoria “Uomo e Natura”. Saverio ha scelto un’inquadratura verticale in “bianco e nero” per cogliere l’attimo in cui una bertuccia, in posizione perfettamente eretta, allunga il braccio per afferrare del cibo dalla mano di un automobilista. Un’immagine che a prima vista suscita simpatia e ilarità per la situazione buffa, dettata dalla naturalezza dei gesti dell’uomo e della scimmia, e dalla straordinaria somiglianza di quest’ultima con un bambino. Ma anche una scena esemplare per farci riflettere sulla pratica sbagliata di dare da mangiare agli animali selvatici, senza che vi sia un vero stato di necessità, condannandoli così alla dipendenza dall’uomo».

Da dove nasce il suo amore per la natura?

«Sono nato e cresciuto a Chiesina Uzzanese, un paesino della bassa Valdinievole, in Toscana, bagnato dalla Pescia, un corso d’acqua a carattere torrentizio di appena 25 Km che confluisce nel Padule di Fucecchio. Nella assoluta assenza di strutture pubbliche (parchi, giardini, piscine, ecc.) del dopoguerra, era l’unico ambiente dove i ragazzi potevano esercitare le loro passioni: nuoto, tuffi, pesca, barca, avventura… . La Pescia è stata il mio “Rio delle Amazzoni”, ed il vicino Laghetto di Sibolla, con i suoi sfagni e le sue drosere, che qui hanno il limite meridionale del loro areale in Europa, la mia tundra. È in quelle acque, ricche di tante specie di pesci, anfibi, uccelli, insetti, e su quelle rive erbose, profumate di menta e popolate da miriadi di libellule e farfalle, che ho iniziato a conoscere e a amare la natura. Ricordo che, del numeroso gruppo di ragazzi che allora frequentavano quei luoghi, sono stato uno dei pochissimi a rinnegare la caccia, attività dominante nella cultura del tempo, dopo averla praticata in gioventù, e l’unico, purtroppo, a dedicare il resto della sua vita alla conservazione degli ambienti naturali e delle specie selvatiche».

La fotografia naturalistica ha un profondo significato educativo: in che senso?

«Si potrebbe credere – mi riferisco soprattutto ai “non addetti ai lavori” – che basti scattare belle fotografie di natura e metterle in rete per ottenere effetti educativi. Ovviamente non è così ed è proprio per questa ragione che, esattamente 30 anni fa, è sorta l’AFNI. L’idea era quella di superare i limiti delle associazioni che, a quel tempo, rappresentavano quel genere fotografico in Europa. Esse, ispirandosi, non solo nel nome, alla caccia, ne privilegiavano gli aspetti ricreativi, e quelli competitivi di “cattura” delle immagini. Non a caso i soggetti preferiti erano quasi esclusivamente gli animali, meglio se ripresi a pieno formato, mentre venivano marginalizzati o trascurati il paesaggio, la flora, nonché il vasto mondo delle forme, delle luci, dei riflessi, dei colori che caratterizzano la moderna fotografia naturalistica creativa. C’era alla base dell’idea dell’AFNI il desiderio di concretizzare il sogno del “fotografo ecologo”, personificato allora da pochi appassionati naturalisti che trovavano nella prestigiosa rivista “Oasis”, ideata e diretta da Paolo Fioratti, il loro punto di riferimento. In questi primi trenta anni della sua vita, l’AFNI ha costantemente operato per superare i vecchi schemi di una fotografia naturalistica fine a se stessa, dimostrando con i propri libri, la rivista Asferico, le mostre, le proiezioni, il concorso ecc. ecc, che essa può essere uno straordinario mezzo di conoscenza, di ricerca, di documentazione, di denuncia, di sensibilizzazione, di divulgazione. La fotografia naturalistica così concepita, contemperando la bellezza con il contenuto scientifico, la passione con la ragione, può fare molto per accrescere, anche nel nostro paese, la consapevolezza della complessità e fragilità degli ecosistemi, degli equilibri che li regolano e quindi l’assoluta necessità della loro conservazione. Da sempre, infine, l’AFNI mette al centro del processo educativo l’etica del fotografo, che scaturisce dalla sua coscienza, sensibilità e formazione, ma che deve essere costantemente alimentata dallo studio della biologia delle specie e delle relazioni degli organismi tra loro e con l’ambiente. Riteniamo che questa scelta di fondo sia addirittura più importante oggi rispetto a 30 anni fa. La rivoluzione tecnologica e culturale dovuta al passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale ha infatti avvicinato alla fotografia naturalistica schiere sempre più ampie di persone, spesso prive di adeguate conoscenze. I potenziali rischi rappresentati da una larga parte di questi spesso sedicenti fotografi nei confronti del patrimonio naturale sono alti. L’AFNI, grazie all’etica del rispetto di cui è portatrice per Statuto e all’esempio dato sul campo dai suoi associati, si pone come punto di riferimento per tutti coloro che considerano la fotografia naturalistica assai più che un semplice passatempo privo di regole».

Quali sono i paesaggi naturali, piuttosto che i dettagli di un paesaggio, che maggiormente hanno lasciato un segno nel suo animo?

«Ho sempre amato viaggiare. Avrei voluto vedere tutto il mondo. Le circostanze della vita me lo hanno permesso fino ad un certo punto. Ma non posso davvero lamentarmi. Soprattutto da quando ho smesso di visitare città, chiese e musei per riservare quasi tutto il mio tempo libero alla natura, ho visto cose davvero straordinarie. Ho avuto la fortuna di visitare tutti i principali Parchi dell’ovest americano dal Messico fino al Canada, e quelli dell’Africa orientale. Nonché, naturalmente, quelli europei da Capo Nord al sud della Spagna. Mi sono sentito minuscolo tra le sequoie della Sierra Nevada, come accanto ai baobab del Tarangire, rispetto ai quali anche gli elefanti appaiono piccoli. Mi sono commosso davanti alla grandiosità del Grand Canyon del Colorado. Sono rimasto stupito dalla profondità dell’Hells Canyon, scavato dalle acque dello Snake River. Mi sono emozionato per la maestosità della Monument Valley. Sono rimasto a bocca aperta davanti all’altezza delle Yosemite Falls (739 m), e sbalordito dall’eruzione del Geyser Old Faithfull di Yellowstone, in grado di spingere, quasi ogni ora, 30.000 l di acqua bollente all’altezza di 50 m. In molte occasioni è stata la presenza degli animali ad animare un ambiente, rendendolo indimenticabile. Ne sono esempi: la spettacolare migrazione di centinaia di migliaia di gnu, zebre e gazzelle, con il loro seguito di predatori, nelle savane del Masai Mara e del Serengeti; i voli di enormi stormi di nibbi e di cicogne nei cieli tersi sulle steppe dell’ Estremadura; il volteggio di centinaia di avvoltoi e aquile intorno alle rocce quarzitiche del Monfrague. Altre volte sono state situazioni più intime a rendere indelebile il ricordo di un ambiente naturale, senz’altro bellissimo ma più a portata di mano: come alcuni panorami delle Dolomiti o delle Alpi valdostane, soprattutto le prime volte che vi portavo i miei figli ancora bambini. Poi ci sono i luoghi del cuore, quelli più vicini a casa, che puoi cogliere nei momenti di maggiore splendore: il foliage, le fioriture, la galaverna…. Parlo del Casentino, dell’altopiano di Castelluccio, delle Alpi Apuane, delle Crete senesi. Chi ha avuto la possibilità di salire in maggio sui prati del Monte Croce per ammirare le incredibili fioriture di giunchiglie ed asfodeli, tra le Panie emergenti dalla nebbia e l’azzurro intenso del mare, sa cosa intendo dire. Potrei continuare ad elencare altri luoghi per ore e ore. Ma se tra tutti dovessi indicare quello che più mi ha colpito, sceglierei la visione da sogno che ebbi nel momento in cui mi affacciai per la prima volta sull’orlo del cratere di Ngorongoro per guardare giù, a picco, verso l’enorme caldera. Era l’ora in cui la nebbia saliva leggera dal profondo verso le chiome snelle e altissime dei canfori e delle cassipuree, e quelle più ampie dei tamarindi, avvolgendo di mistero la fitta foresta che ricopre la corona dell’antico vulcano a 2.300 m di altitudine. Man mano che questo avveniva, il fondo del cratere, 600 m più sotto, iniziava a disvelarsi, mostrando ad uno ad uno tutti i suoi gioielli, impreziositi dai mutevoli, cangianti colori: l’oro della savana, solcata da mille sentieri e qua e là screziata da branchi di erbivori; l’argento scintillante del Lago Magadi, incastonato nel corallo dei fenicotteri che ne ricoprono i bordi; lo smeraldo dei giuncheti della Palude di Gorigor, con le sue antilopi d’acqua; lo zaffiro degli stagni di Mandusi, popolati di ippopotami; ed infine il topazio dei tronchi delle acacie della febbre, nella Foresta di Lerai che custodisce rinoceronti neri, elefanti e innumerevoli scimmie ed uccelli. Chi ha descritto per la prima volta il paradiso terrestre forse aveva visto Ngorongoro».

AFNI: oltre al concorso Asferico, quali altre iniziative state portando avanti?

«L’AFNI è un’associazione di volontari relativamente piccola, vista la sua specificità, ma molto attiva. La consapevolezza di annoverare tra i suoi Soci alcuni dei fotografi e documentaristi di natura più importanti, famosi ed amati d’Italia, autori di immagini e filmati premiati nelle maggiori competizioni internazionali, nonché di stupendi volumi, la rende fiera della sua identità. È presente su tutto il territorio italiano con centinaia di soci e con dodici Sezioni regionali (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, Veneto). Le Sezioni organizzano autonomamente proiezioni, mostre, corsi di fotografia naturalistica, ecc., rivolti a tutti. A livello nazionale l’AFNI pubblica la Rivista quadrimestrale “Asferico”, distribuita gratuitamente ai soci e per abbonamento. Gestisce i siti web www.afni.org, il portale dei soci, e www.asferico.com, il nostro sguardo sulla Rete e sul territorio. Oltre al già menzionato catalogo del Concorso internazionale, l’AFNI ha in programma la pubblicazione di una collana di libri fotografici sui grandi ecosistemi italiani, di cui è già uscito il primo volume dedicato ai Fiumi d’Italia, che è disponibile per l’acquisto sui siti dell’Associazione. L’AFNI, infine, collabora con Enti prestigiosi (CNR, Università, Associazioni ambientaliste, Parchi e Riserve, Scuole superiori, Amministrazioni pubbliche, Agenzie private, ecc.) per promuovere e realizzare ricerche, mostre, eventi, libri, ecc. Sono dello scorso anno la pubblicazione del volume “Una Montagna di Vita – Ecosistemi d’alta quota e cambiamenti climatici” e l’allestimento della relativa mostra itinerante, già esposta al Giardino Botanico Viote del Muse di Trento ed al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, realizzati in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche».

L’ambiente, con tutti i suoi paesaggi, i vari habitat naturali, la sua flora e la sua fauna, è sempre più minacciato dall’azione dell’uomo. Lei è pessimista o ottimista nei confronti di questo aspetto? Pensa che i nostri discendenti potranno ancora ammirare le bellezze paesaggistiche che vediamo noi oggi?

«Credo che non serva molto parlare di pessimismo od ottimismo in questo importantissimo e delicatissimo campo, ma di consapevolezza. Tutti dobbiamo sapere che siamo giunti ad un punto di non ritorno e che, aldilà del fatto che in molti casi le decisioni politiche fondamentali purtroppo vengono prese pensando agli interessi egoistici dei singoli Stati, se non addirittura di particolari categorie, il nostro futuro dipende anche e soprattutto da noi. Se vogliamo affrontare e risolvere i problemi del riscaldamento globale, dell’inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua, se non vogliamo che i nostri figli e nipoti affoghino, insieme a noi, in un mare di plastica, dobbiamo mettere in atto comportamenti individuali virtuosi. La scienza sta studiando le soluzioni. La tecnologia sta predisponendo gli strumenti. L’industria ed il commercio li stanno mettendo a disposizione di tutti. L’informazione permette a tutti di conoscerli. Tocca a ciascuno di noi adottare stili di vita e comportamenti sostenibili, scegliendo, giorno dopo giorno, in ogni campo della nostra vita, le soluzioni che arrecano meno danno alla salute nostra e altrui e all’ambiente in cui viviamo. Ce lo impongono, non solo l’amore per le cose belle e la ricerca di un vero benessere, ma soprattutto il senso di responsabilità che ognuno deve sentire nei confronti delle generazioni future. L’AFNI, nel suo piccolo e attraverso gli strumenti che le sono propri, mira a sensibilizzare le persone su questi problemi, ormai inderogabili e di importanza vitale per l’umanità intera. La presa di coscienza di essi da parte di centinaia di migliaia di giovanissimi in molti paesi del mondo, e le loro recenti manifestazioni pacifiche, ci aprono alla speranza».

Anna Maria Girelli Consolaro

Giornalista e conduttrice televisiva, Anna Maria dal febbraio 2010 lavora per Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995). Sin dall’infanzia è profondamente interessata e attratta da tutto quel che riguarda la natura e l’ambiente. Per questo, tra le sue grandi passioni, ci sono gli sport all’aria aperta e i viaggi. La sua attività giornalistica è sempre stata dedicata al settore delle eccellenze italiane e, su questo tema, ha condotto oltre 20 trasmissioni televisive, di cui è stata anche autrice. Moderatrice di convegni e conduttrice di eventi, per circa dieci anni Anna Maria ha scritto sulle pagine venete del Corriere della Sera.

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