Clima

La crisi climatica è anche una crisi umanitaria: i migranti climatici non vedono riconosciuti i propri diritti

La crisi climatica è, anche, una crisi umanitaria. Le persone costrette a migrare per il clima hanno enormi problemi a vedere riconosciuti i propri diritti. L’UNHCR, l’Agenzia Onu per i rifugiati, fornisce non solo i numeri dei migranti climatici ma sta dando protezione e assistenza a molti rifugiati e altre persone sfollate a causa degli effetti del cambiamento climatico, oltre ad aiutarli ad aumentare la loro resilienza ai futuri disastri. È urgente però che venga riconosciuto a livello giuridico lo status di rifugiato climatico.

Per fuggire da zone colpite dagli effetti della crisi climatica, diverse persone sono costrette ad attraversare le frontiere e spesso hanno anche bisogno di protezione internazionale. Le leggi sui rifugiati e sui diritti umani hanno quindi un ruolo importante da svolgere in questo settore. Negli Stati Uniti, ad esempio, secondo la legge attuale, le persone colpite dagli effetti della crisi climatica possono richiedere asilo o lo status di rifugiato solo se possono dimostrare che il motivo principale per cui stanno fuggendo dal loro paese d’origine è che hanno affrontato o hanno motivo di temere future persecuzioni dovute a razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.

Rifugiato climatico: uno status necessario

Il “rifugiato climatico” o migrante climatico in quanto tale non esiste ancora formalmente e non è riconducibile alla definizione della Convenzione sui rifugiati di Ginevra (1951), che lo individua come qualcuno che ha attraversato una frontiera internazionale «a causa del fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica».

Nel dicembre 2018 il Global Compact sui rifugiati, approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite dopo due anni di ampie consultazioni condotte dall’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, con gli Stati membri, organizzazioni internazionali, rifugiati, società civile, settore privato ed esperti, ha riconosciuto che i movimenti delle persone hanno origine complessa e i disastri climatici possono essere un fattore fondamentale.

La crisi climatica produce direttamente o indirettamente centinaia di migliaia di sfollati, ed è ormai necessaria una forma di protezione con standard internazionali e linee guida generali per  le “internal displaced people” come è accaduto nel caso della Somalia, del Sud Sudan e del Sahel.
Le persone in fuga oltre confine e che non possono tornare a casa, hanno il diritto di chiedere forme complementari di protezione internazionale.

Basandosi sullo studio “In Harm’s Way”, nel 2020 l’UNHCR ha pubblicato delle considerazioni legali per guidare il dibattito internazionale su questo tema ma in ogni caso, il termine “rifugiato climatico” non è approvato dalla stessa Agenzia, che preferisce riferirsi a “persone sfollate nel contesto di disastri e cambiamenti climatici”.

Gli impatti dei cambiamenti climatici si stanno mostrando su più livelli e possono sia innescare spostamenti di massa che peggiorare le condizioni di vita o ostacolare il ritorno di coloro che sono già stati sfollati. Un grosso problema è costituito dalla carenza di acqua potabile in molte zone del mondo che ospitano i rifugiati. Anche raccolti e bestiame si trovano a dover fronteggiare condizioni climatiche sempre più estreme, troppo calde e secche, o troppo fredde e umide. Il cambiamento climatico può agire così, secondo l’UNHCR, come un “moltiplicatore di minacce, esacerbando le tensioni esistenti e aumentando il potenziale di conflitti”.

UNHCR: in media sono 20 milioni l’anno i migranti climatici che si spostano a causa della crisi del clima

I rischi derivanti dalla crescente intensità e frequenza di eventi meteorologici estremi, come piogge anormalmente abbondanti, siccità prolungata, desertificazione, degrado ambientale o innalzamento del livello del mare e cicloni stanno già causando in media oltre 20 milioni migranti climatici che lascano le proprie abitazioni e si spostano ogni anno in altre aree dei loro Paesi. Nel 2020 in America centrale e nel Messico meridionale, tre milioni di persone sono state colpite dall’uragano Eta, uno dei peggiori disastri meteorologici nella regione negli ultimi due decenni. Nel marzo 2019 il ciclone tropicale Idai ha colpito Mozambico, Zimbabwe e Malawi, l’UNHCR ha trasferito le famiglie dei rifugiati in rifugi più sicuri e ha fornito loro tende, teli di plastica, attrezzature igienico-sanitarie e acqua pulita. Allo stesso modo, l’UNHCR ha aiutato i rifugiati Rohingya nel sud del Bangladesh a mitigare gli effetti di tempeste monsoniche, inondazioni e smottamenti.

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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