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Trattato Plastica. Wakhungu, ex ministro dell’ambiente del Kenya: “passo importante, ma il 2024 è troppo tardi”

In un incontro organizzato dall'Ambasciata Britannica di Roma tre esempi virtuosi per un futuro più sostenibile

La lotta all’uso della plastica, da anni parte delle politiche ambientali, locali e nazionali, ha ricevuto una spinta in positivo dal recente trattato globale sulla plastica votato all’unanimità dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente ad inizio marzo 2022.

Il percorso che ha portato a questo storico provvedimento è stato lungo e difficile, sottoposto alle pressioni delle realtà industriali. La gestione dei rifiuti ha fatto grandi passi avanti e l’abbandono della plastica sembra sempre più vicino.

In un incontro virtuale organizzato dalla Ambasciata Britannica di Roma abbiamo avuto modo di conoscere tre realtà diverse dalle voci di tre donne: Valentina Ramadori dell’Ambasciata Britannica della Santa Sede, Federica Giglio direttrice del dipartimento ambientale e di igiene urbana del comune di Albano Laziale, e l’ambasciatrice Judi Wakhungu ex ministro dell’ambiente e delle risorse naturali del Kenya.

Lotta alla plastica e all’inquinamento: tre esempi virtuosi per un futuro più sostenibile

Il primo esempio di successo arriva dall’Ambasciata della Santa Sede, dove è in corso una vera e propria trasformazione delle abitudini e dei comportamenti. L’ambasciata ha iniziato a eliminare subito posate, bicchieri e piatti usa e getta, ha tolto le bottigliette di plastica pizzando fontanelle e borracce. Nell’ambasciata vengono fatti sforzi per ridurre il più possibile anche l’uso di carta, usando comunque carta riciclata. L’impronta ecologica sta cambiando: c’è l’impegno nel sostituire i mezzi con una flotta di veicoli elettrici, e dal 2019 viene usata solo energia rinnovabile. L’impegno verso uno stile di vita più sostenibile sta “contagiando” anche i dipendenti che, attraverso alcune sfide, sono incoraggiati a seguire una vita più sana e rispettosa per l’ambiente. “La più grande sfida è stata dimostrare che cambiare è possibile – spiega Valentina Ramadori -. Serve tempo, certo, ma è possibile.”

La seconda realtà è quella del virtuoso comune di Albano Laziale, uno dei più “green” del Lazio, con un tasso di raccolta differenziata vicino all’80%. Ogni anno il comune produce 15.000 tonnellate l’anno di rifiuti, raccolti porta a porta con una differenziata in 5 materiali (carta e cartone, poliaccoppiati, plastica, ferro con alluminio e acciaio e vetro). “Dal 2019 Albano Laziale ha ha una nuova strategia chiamata “pay as you throw”: in pratica ogni famiglia ha un totale di “depositi” e ogni volta gli vengono sottratti punti” ha spiegato Federica Giglio. Il sistema permette ai cittadini di pagare meno tasse proporzionalmente alla loro capacità di ridurre la quantità di rifiuti non riciclabili. “Grazie a questa nuova strategia, il comune ha aumentato l’efficacia della raccolta differenziata, trend intaccato parzialmente solo dalla pandemia, che ha abbassato il tasso di differenziata” (ndr a causa delle misure sanitarie).

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Pixabay

Kenya, la lunga lotta per l’ambiente di Judi Wakhungu

Il terzo intervento è stato tenuto dalla Ambasciatrice Prof. Judi Wakhungu, ex ministro dell’ambiente del Kenya: “in Kenya avevamo un problema di gestione dei rifiuti, non eravamo organizzati sulla differenziata e sulla raccolta dei rifiuti. E il problema della plastica è importantissimo a livello ambientale”. Il problema della plastica stava diventando insostenibile: i sacchetti di plastica, diventati sempre meno costosi, venivano usati per imballare cibo, medicine, ma anche molti altri prodotti. “Nei parchi nazionali, oltre alle piante, si vedevano sacchetti di plastica ovunque: blu, gialli, bianchi, buttati dappertutto” – spiega Wakhungu. “Bastava osservare, nell’ambiente la plastica era dappertutto: i sacchetti sono entrati nei corsi d’acqua, nei mari, nei fiumi. I pescatori raccoglievano più plastica che pesci. La plastica stava soffocando l’ambiente“.

La lotta per ridurre l’uso della plastica è stata lunga e complessa. Il governo keniota per anni ha cercato di limitarne l’uso: i problemi ambientali erano ben noti, ma allo stesso tempo non è riuscito nel suo intento. “Dal 2013, quando sono sono diventata ministro dell’Ambiente e delle Risorse Naturali del Kenya ho deciso di affrontare per via legare tutte queste sfide ambientali, tra cui la plastica. Ma non potevo solo ridurre l’uso della plastica, dovevo modernizzare la legge attorno all’uso della plastica risalente al 1999, e le leggi del 1979 per la conservazione delle zone protette e dell’ambiente”. Ma l’azione ha compreso anche un più ampio lavoro su un’azione volta a combattere la crisi climatica.

La Costituzione del Kenya del 2010, prevede che tutti i kenioti hanno diritto ad un ambiente pulito, sicuro e sano e l’abbiamo usato a nostro favore. Non è stato facile, abbiamo dovuto sensibilizzare il pubblico sui danni derivanti dall’uso di plastica, abbiamo dovuto educarli sulla gestione dei rifiuti e sulla raccolta differenziata”. Il risultato del lavoro di Judi Wakhungu si è condensato nel Wildlife Conservation Act.

Ma le difficoltà sono aumentate quando le iniziative per proteggere l’ambiente e ridurre l’uso della plastica ha incontrato gli interessi del settore privato. “Abbiamo incoraggiato il settore privato, principalmente rappresentato dalla Kenya Private Sector Alliace e dalla Kenya Manufacturer Associacion, a collaborare con noi. Gli abbiamo chiesto come ridurre l’uso di plastica mono-uso, e li abbiamo invitati all’uso di materiabili biodegradabili. Un gruppo voleva mantenere lo status-quo (mediamente con età media 50 anni), un altro, più piccolo, voleva investire nelle biodegradabili (con età media 28 anni). Abbiamo incontrato molta resistenza“. Oltre alla collaborazione con il settore privato, i residenti sono stati incoraggiati a differenziare i rifiuti, attraverso raccolte settimanali. “Ma non risolveva il problema“.

Non restava che agire per via legislativa. “Ho quindi chiesto il potere di bandire gli inquinanti, con l’intervento del ministro dell’industria, del giudice e poi del capo di stato”. Una volta ricevuto il potere, nel 2017 ho dato un preavviso di 6 mesi prima dell’introduzione della legge sulla plastica mono-uso. “I politici erano preoccupati: le elezioni si avvicinavano, e avevano bisogno dei consensi del settore industriale. E’ stato molto controverso. Sono contenta di aver avuto un’ottima rappresentanza legale. Pur avendo a disposizione un piano d’azione su come eliminare gradualmente la plastica, abbiamo comunque dovuto negoziare, anche nel settore sanitario. Nei 6 mesi di preavviso, abbiamo ricevuto molte minacce: molti mi hanno accusato di non avere il potere legale, ma non era così. Devo dire che abbiamo però ricevuto anche molto supporto”.

In quei sei mesi, il settore industriale ha iniziato a muoversi. “Le catene di produzione hanno iniziato a cambiare, specie nelle industrie guidate da donne. I sacchetti di plastica sono stati sostituiti da sacchetti bio, e molti hanno iniziato a usare sacchetti più volte. Le multe per disincentivare l’uso di plastica erano molto alte, specie per i produttori e distributori. Ha funzionato. Abbiamo visto che l’ambiente era più pulito, anche se non completamente: i produttori e consumatori hanno iniziato a nascondere l’uso di plastica”.

L’impegno si è trasferito anche oltre confine. “Ad oggi stiamo lavorando a una Coalizione dell’Africa Orientale: perché la plastica è un problema comune, non ci sono confini. Oggi stiamo cercando di avere una legislazione condivisa nell’area. La sfida più grande è stata la pandemia: il consumo di plastica mono uso è aumentato”.

I passi in avanti sono stati tanti e il trattato giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica firmato ad inizio marzo è un importantissimo passo nella giusta direzione. “Il trattato sulla plastica è estremamente importante, anche per il Kenya. Allo stesso tempo però, secondo me il 2024 è troppo tardi. Sappiamo già cosa dobbiamo fare, dobbiamo usare il buonsenso. Sta a noi, come individui non usare plastica monouso. Molti di noi non possiamo permetterci di aspettare 2 anni. Possiamo fare una scelta, noi come singoli per fare la differenza“. 

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Silvia Turci

Ho conseguito una laurea specialistica in Comunicazione per l’Impresa, i media e le organizzazioni complesse all’Università Cattolica di Milano. Il mio percorso accademico si basa però sullo studio approfondito delle lingue straniere, nello specifico del francese, inglese e russo, culminato con una laurea triennale in Esperto linguistico d’Impresa. Sono arrivata a Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995) nel 2014 e da allora sono entrata in contatto con la meteorologia e le scienze del clima: una continua scoperta che mi ha fatto appassionare ogni giorno di più al mio lavoro.

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