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Progetto HOTMIC: università di Pisa in prima linea per identificare diverse tipologie di microplastiche nell’Atlantico

L'importanza di mappare la presenza delle microplastiche per una più accurata valutazione dei potenziali rischi per l’ambiente e per gli organismi marini

L’inquinamento da plastica è una piaga che attanaglia i nostri oceani con residui che vengono ritrovati ovunque, dalla Fossa delle Marianne ai Poli. Bottiglie, imballaggi, reti da pesca, sacchetti, fazzoletti, mozziconi ecc una volta finiti in acqua si spezzano in frammenti più piccoli per azione dell’erosione e delle correnti: le microplastiche. È stato stimato che nell’oceano Atlantico ogni anno si riversino dai 5 ai 13 milioni di tonnellate di plastica; a causa della trasformazione in microplastica però si conosce solo un 10% della provenienza di questi elementi inquinanti. Per analizzare a fondo questa situazione il 5 giugno è partito il progetto HOTMIC (Horizontal and vertical oceanic distribution, transport, and impact of microplastics) che durerà 3 anni, finanziato con 2.3 milioni di euro nell’ambito del programma europeo “JPI Oceans” a sostegno dei mari denominato “Healthy and Productive Seas and Oceans”. Lo scopo è quello di mappare la presenza delle microplastiche dalla costa atlantica europea sino al vortice nord atlantico.

Foto di tkremmel da Pixabay

I paesi europei impegnati nel progetto HOTMIC sono Italia, Germania, Danimarca, Portogallo, Estonia e Belgio; per quanto riguarda il nostro Paese, partner dello studio è il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa. Con questo progetto si metteranno a punto metodologie analitiche e si faranno campagne di campionamento di questi elementi, anche sotto i 10 micron, per valutarne entità, tipologia, distribuzione, rotte dagli estuari fino al mare aperto e dalla superficie sino ai fondali, modalità di degradazione e di interazione con organismi biologici. L’intento è di porre le basi per una più accurata valutazione dei potenziali rischi per l’ambiente e per gli organismi marini. In particolare, i chimici e ricercatori dell’Ateneo pisano metteranno in campo le tecniche uniche che hanno ideato per identificare e quantificare le diverse varietà di microplastiche. di mappare la presenza delle microplastiche. “Abbiamo sviluppato una metodologia del tutto originale che ci consente di identificare i diversi tipi di microplastica, polimero per polimero; sino ad oggi la tecnica più comune e utilizzata si limitava infatti a fare una separazione grossolana delle microplastiche dai sedimenti, seguita da una laboriosa e inaccurata conta tramite tecniche di microscopia e spettroscopia microscopica. La sfida è identificare i principali inquinanti plastici, le insidie maggiori arrivano dai frammenti di plastica più fini, come ad esempio i prodotti di degradazione di imballaggi plastici, le microsfere di polistirene che derivano da alcuni prodotti cosmetici o le microfibre dei tessuti sintetici, che più facilmente entrano nella catena alimentare degli organismi acquatici” queste le parole di Valter Castelvetro, coordinatore del gruppo di ricerca dell’Università di Pisa.

Stefania Andriola

Lavoro in redazione da febbraio 2010. Mi piace definirmi “giornalista, scrittrice e viaggiatrice”. Adoro viaggiare, conoscere culture diverse; amo correre, andare in bicicletta, fare lunghe passeggiate ma anche leggere un buon libro. Al mattino mi sveglio sempre con un’idea: cercare di aggiungere ogni giorno un paragrafo nuovo e interessante al libro della mia vita e i viaggi riempiono le pagine che maggiormente amo. La meteorologia per me non è solo una scienza ma è una passione e un modo per ricordarmi quanto siamo impotenti di fronte alle forze della natura. Non possiamo chiudere gli occhi e dobbiamo pensare a dare il nostro contributo per salvaguardare il Pianeta. Bastano piccoli gesti.

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