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Decrescere?

La possibilità di mitigare il cambiamento climatico dipende dalla nostra capacità di azzerare le emissioni di gas climalteranti

La possibilità di mitigare il cambiamento climatico dipende dalla nostra capacità di azzerare al più presto le emissioni nette di biossido di carbonio, CO2, e degli altri gas detti climalteranti. Con riferimento al più importante dei gas serra, la CO2, è necessario smettere quasi del tutto di bruciare combustibili fossili e assorbire le emissioni di carbonio residue attraverso, ad esempio, la riforestazione (o altre tecnologie, se si riuscirà a farle crescere dallo stadio di prototipo).

Le riflessioni che seguono partono da un grafico molto semplice e ben noto: l’andamento temporale delle emissioni di CO2.

L’andamento temporale delle emissioni di CO<sub>2</sub>
L’andamento temporale delle emissioni di CO2. Crediti: CDIAC/GCP/BP/USGS

Emissioni in crescita continua

La curva mostra una crescita pressoché continua delle emissioni globali, interrottasi recentemente, e solo per brevissimo tempo, in corrispondenza della crisi economica del 2009. È evidente che solo una recessione mondiale dell’economia è riuscita a lasciare un segno in quel grafico, mentre non ci sono riuscite decine di conferenze internazionali, accompagnate da milioni di conferenze locali, dichiarazioni politiche, promesse solenni etc. Esiste un modo diverso di interpretare questo grafico? Certo, a buon ragione potremmo argomentare che senza quelle conferenze, senza le tante innovazioni, senza l’accresciuta efficienza energetica, senza le energie rinnovabili quella curva sarebbe stata ancora più ripida e staremmo messi assai peggio. Ma questa è una piccola consolazione: le emissioni, lo ribadiamo, dovrebbero scendere rapidamente verso lo zero, non aumentare! Eccoci al punto, scomodo quanto ineludibile. Dove abbiamo sbagliato? Dove non possiamo più permetterci di sbagliare? Ci raccontiamo continuamente che dobbiamo spingere di più sulle rinnovabili, investire con forza nell’economia circolare, continuare a progredire nell’efficienza energetica, costruire città più “smart”, case più “smart”, puntare ad un’agricoltura di precisione gestita da droni e algoritmi. Già, ma basterà? E non lo stiamo già facendo? E se è vero che abbiamo già cominciato a farlo perché quella curva continua a crescere, infischiandosene dei nostri sforzi?

Ovviamente la risposta è complessa e non può essere condensata in poche righe. Tuttavia penso che quasi tutti noi, riflettendo un po’ a fondo e soprattutto con sincerità su questo tema arriveremmo grosso modo a conclusioni simili a quelle cui sono giunti Tim Jackson (nel suo libro “Prosperità senza crescita”) e gli altri economisti che hanno affrontato gli aspetti ecologici dell’economia.

La crescita economica e il clima

In estrema sintesi: la crescita economica, almeno così come è stata declinata dall’inizio dell’era industriale fino ad oggi, è incompatibile con la mitigazione climatica e ci conduce rapidamente all’esaurimento delle risorse non rinnovabili e al collasso degli ecosistemi. Si badi che, per semplificare, non abbiamo nemmeno nominato la crescita demografica, che aggrava ulteriormente il quadro della situazione, ma il concetto di fondo non cambia (gli statunitensi, ad esempio producono il 15% per cento delle emissioni globali, con una popolazione di meno del 5%). Tim Jackson nella prima parte del suo libro smonta con buoni argomenti il mito del cosiddetto decoupling, il disaccoppiamento tra PIL ed emissioni inquinanti: la credenza che con il crescere dell’efficienza e del ricorso alle energie pulite l’economia possa continuare ad espandersi in senso tradizionale, emettendo sempre meno inquinanti. Questa credenza, oltre che fare a pugni con il buon senso e con svariate leggi della fisica (in primis, con il secondo principio della termodinamica) è stata regolarmente smentita dai fatti.

Nel mondo reale

Nel mondo reale, ad esempio i guadagni in efficienza energetica vengono regolarmente vanificati da aumenti della produzione che annullano il risparmio. La crescita, pure importante, del settore delle energie rinnovabili è servita finora per aggiungere capacità energetica e non per sostituire in modo massiccio le vecchie centrali a combustibile fossile. Si dirà: finora è andata così, ma possiamo fare meglio; si dirà che sono soprattutto India e Cina a contribuire alla crescita delle emissioni, mentre l’Europa virtuosa sta facendo la sua parte, ma questo è solo parzialmente vero, perché la Cina inquina anche per noi, per inondare i nostri mercati di merci a basso prezzo, che compriamo in Occidente. Proviamo a riassumere e cerchiamo di capire dove ci porta questa lunga premessa. È una riflessione che ci avvicina ad un vero e proprio tabù, riassunto nella parola più temuta da ogni economista tradizionale che si rispetti: il termine “decrescita”, tanto odiato da essere sostituito spesso da “crescita negativa”.

Ci fermiamo qui, per il momento. Abbiamo per ora solo iniziato a inquadrare quello che è un problema enorme a cui corrispondono sfide titaniche… ricordiamoci che il pianeta e i suoi ospiti, a breve, non dovranno confrontarsi solo con concentrazioni più alte di gas serra, ma fare i conti anche con problemi legati alla disponibilità di acqua, con la minore abbondanza e l’esaurimento di molte risorse, con le tante forme di inquinamento, la cementificazione, la perdita di biodiversità, l’acidificazione degli oceani e, purtroppo, etc.

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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