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Fauna selvatica e flora, servono conoscenza e consapevolezza per conservare la biodiversità

I dati ci restituiscono una panoramica in costante declino, ma anche sufficienti strumenti per capire come contribuire alla diminuzione del rischio di estinzione delle specie

Il 3 marzo si celebra il “World Wildlife Day”, la giornata mondiale della fauna selvatica. Questa giornata venne istituita dall’ ONU il 20 dicembre 2013, con la firma della Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie di Flora e Fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES). Questa giornata nasce per sensibilizzare e rendere consapevole la popolazione mondiale sulle sfide quotidiane che fauna selvatica e flora affrontano quotidianamente a livello globale .

Recuperare le specie chiave per il ripristino dell’ecosistema” è il tema di quest’anno, con particolare focus sul concetto di recupero delle specie. Invertire il trend di costante estinzione delle specie animali e vegetali e di fondamentale importanza per ripristinare il naturale equilibrio degli ecosistemi.  Con il termine ecosistema si intende l’insieme degli organismi viventi (biotici) e non viventi (abiotici) che interagiscono in un determinato ambiente costituendo un sistema autosufficiente ed in equilibrio dinamico.

Tutelare e conservare la biodiversità per il bene del pianeta stesso

Ogni giorno la distruzione degli habitat, il commercio illegale, il bracconaggio, l’inquinamento ed il cambiamento climatico mettono sempre più in pericolo la biodiversità del nostro Pianeta. Moltissime sono le specie animali e vegetali a serio rischio di estinzione, questa è la costante denuncia dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature), che ogni anno diffonde la propria Red List delle specie a rischio d’estinzione. Gli ultimi dati forniti dalla IUCN presentano una situazione drammatica, con oltre 40.000 specie a rischio estinzione. A rischio il 41% degli anfibi, il 26% dei mammiferi, il 13% degli uccelli, il 37% di pesci cartilaginei (squali e razze), il 28% di crostacei e il 21% di rettili per quanto riguarda le specie animali. Il 34% delle specie di conifere, il 33% delle specie di coralli ed il 63% delle specie appartenenti all’ordine delle cicadi (piante antichissime, risalenti al periodo di fine Carbonifero / inizio Permiano) per quanto riguarda le specie vegetali.  Nonostante queste percentuali siano già da capogiro, si può notare l’assenza degli artropodi terrestri e di molte specie vegetali in questa lista e questo è probabilmente dovuto alla difficoltà di monitoraggio e valutazione. La IUCN dichiara infatti che i dati presentati, al momento, riguardano solo il 28% delle specie da loro valutate .

È in corso la sesta estinzione di massa

Secondo uno studio dell’Università delle Hawaii e del Museo di Storia Naturale di Parigi pubblicato a gennaio 2022 sulla rivista “Biological Reviews” sottolinea come i dati rilasciati dalla IUCN stiano addirittura sottostimando la portata di questo fenomeno di origine antropica e l’atteggiamento laissez-faire moralmente sbagliato da parte degli esseri umani a tal proposito. Secondo questo studio emerge la difficoltà della valutazione del tasso di estinzione degli artropodi terrestri che, al contrario dei molluschi, non sono dotati di un guscio in grado di resistere come record permanente, non lasciando traccia e non permettendone di conseguenza la raccolta e la classificazione prima di una possibile estinzione della specie. Secondo questo studio non vi sono evidenze che questa sesta estinzione stia coinvolgendo anche il “mondo marino” poiché le prove non sono attualmente sufficienti, ma è comunque chiaro ed evidente che le minacce che queste specie si trovano ad affrontare siano significative e sempre più frequenti. Questo lavoro conclude portando alla luce che la maggior parte degli sforzi riguardino principalmente la tutela di mammiferi ed uccelli a rischio, ponendo quindi una grande preoccupazione riguardo specie e classi meno iconiche delle quali potremmo perderne traccia senza neanche aver saputo della loro esistenza.

Leopardo delle nevi (Panthera uncia) – Specie presente nelle aree rocciose dell’Himalaya e dell’Asia centrale, ha subito una forte diminuzione della popolazione a causa della forte pressione antropica e dei cambiamenti climatici che stanno alterando il suo habitat. Attualmente classificato come specie vulneraibile dalla Red List della IUCN. – Foto di: Claudio Delfoco

La minaccia antropica

I processi di estinzione e speciazione (comparsa di nuove specie) sono fenomeni naturali che coesistono da sempre in equilibrio. Tuttavia, l’alto tasso di antropizzazione e sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo ha spostato l’ago della bilancia in favore delle estinzioni.  Come denunciò l’ISPRA  (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) già nel 2020, il principale fattore della perdita di biodiversità è costituito dalla distruzione, dalla degradazione e dalla frammentazione degli habitat caratterizzati da fenomeni naturali ma soprattutto da cambiamenti messi in atto dall’uomo. La continua deforestazione della foresta tropicale per lasciare il posto alle coltivazioni di soia, canna da zucchero o palma da olio, la continua prelevazione di piante da parte dell’industria farmaceutica o cosmetica, la continua costruzione di strutture ad utilizzo umano a discapito delle aree naturali sono solo alcune delle cause più tangibili. Mentre i cambiamenti climatici, l’inquinamento, l’introduzione di specie alloctone (specie non presenti in quel luogo prima dell’introduzione da parte dell’uomo), la caccia e la pesca indiscriminata sono delle “minacce silenziose” che giocano però un ruolo tristemente fondamentale.

Tanto belli quanto a rischio

Negli ultimi 10 anni si sono estinte almeno 160 specie secondo la IUCN, numero però sottostimato a causa della difficoltà di monitoraggio e ricerca di alcuni gruppi tassonomici animali e vegetali considerati “minori”. Estendendo questo trend negativo agli ultimi 200 anni, denuncia il WWF , è possibile annoverare tra le specie scomparse animali come il Rinoceronte bianco settentrionale, dichiarato estinto nel 2018, quando anche l’ultimo individuo in cattività è stato ucciso a causa del bracconaggio. Lo stambecco dei Pirenei, dichiarato ufficialmente estinto nel 2000 in seguito ad una caccia indiscriminata. La Tigre di Giava, una sottospecie di tigre che viveva unicamente sull’isola di Giava e dichiarata estinta nel 1979 a causa della distruzione del suo habitat e del bracconaggio. Il Quagga, una sottospecie di zebra diffusa in Sudafrica fino a metà del XIX secolo e dichiarato estinto in natura nel 1878 a causa della caccia per carne e pelle ed estinto anche in cattività nel 1883, con la morte dell’ultimo individuo conservato nello zoo di Amsterdam. A causa della caccia si è estinto anche il Tilacino, un carnivoro marsupiale con l’ultimo esemplare deceduto nel 1936 nello zoo di Hobart. A causa del riscaldamento globale e delle alterazioni degli habitat sono stati dichiarati ufficialmente estinti anche il rospo dorato, un anfibio della foresta tropicale del Costa Rica estintosi nel 2004. Il lipote, un delfino d’acqua dolce diffuso in Cina ed estintosi nel 2006 a causa dell’inquinamento delle acque dovuto alla presenza di molte industrie chimiche e alla pesca accidentale. L’Akiaola di Kauai, un uccello delle isole Hawaii dichiarato estinto nel 2016 a causa della distruzione del suo habitat e dall’introduzione di specie alloctone. L’impatto umano è tangibile anche in forma non diretta, con l’introduzione di specie alloctone volontaria o involontaria (il gatto domestico è stato volontariamente introdotto dove non originariamente presente per combattere inizialmente i ratti presenti sulle navi da carico e successivamente per eradicare specie considerate nocive, mentre gli stessi ratti, moltissimi insetti, semi e spore vegetali sono stati trasportati involontariamente in giro per il globo perché presenti sulle merci trasportate). Questo è il caso di specie come la Bettongia del deserto, un piccolo marsupiale australiano, dichiarato estinto nel 1933 a causa dell’introduzione di specie alloctone. Il pipistrello dell’Isola di Natale, una specie che viveva nelle isole dell’Oceano Indiano, ha subito la stessa sorte ed è stato dichiarato estinto nel 2017 a causa di diversi fattori, tra i quali ha avuto però un grande impatto l’introduzione di specie alloctone come il gatto, il ratto oltre che all’utilizzo di insetticidi tossici. E queste sono solo alcune delle specie perse per sempre a causa dell’uomo.

Non solo fauna, i polmoni della Terra stanno sanguinando

La situazione è ancora più drammatica se riferita alle specie vegetali del nostro Pianeta. Un recente articolo pubblicato nel 2019 su “Nature ecology & evolution” di Humphreys e collaboratori , ha evidenziato come negli ultimi 250 anni siano scomparse 517 specie vegetali, un fenomeno che passa, purtroppo, decisamente in sordina rispetto alle estinzioni animali. I più alti tassi di estinzione delle piante, dichiara lo studio, si verificano nelle isole, ai tropici e nelle aree a clima mediterraneo, suggerendo che la più probabile causa d’estinzione sia dovuta alla frammentazione e distruzione della vegetazione autoctona (originaria di quel luogo), con conseguente riduzione o perdita dell’habitat di molte specie ad areale (area di distribuzione) limitato. Animali e piante sono strettamente legati e questo legame prende il nome di bioma, l’insieme cioè di vegetali, animali, funghi e batteri che hanno trovato un equilibrio tra loro e le condizioni climatiche in cui vivono costituendo un ecosistema. La deforestazione per sfruttamento di legname e conversione ad uso agricolo o di pascolo sono tra le principali cause di perdita di biodiversità vegetale ed animale che sta colpendo la foresta tropicale. Il polmone verde del nostro Pianeta è messo a dura prova dall’attività antropica che sta costantemente sottraendo spazio a piante ed animali in favore del proprio tornaconto. La foresta tropicale, per le sue particolari caratteristiche ambientali ospita un altissimo numero di specie botaniche costituendo uno dei principali hot-spot di biodiversità vegetale. Distruggere le foreste inoltre significa privare numerose specie animali della propria casa, condannando all’estinzione specie come il Gorilla di montagna o l’Orango indonesiano, senza dimenticare che le piante sono le produttrici principali di ossigeno, elemento fondamentale per la vita sulla Terra così come la conosciamo.

I progetti di conservazione In Italia ed Europa

Nonostante i dati presentati mostrino una tendenza negativa in corso, sono diversi i progetti di conservazione attiva della fauna selvatica in Italia ed Europa. Tra tutti spicca Rete Natura 2.000 , una rete ecologica estesa a tutta l’Europa, istituita per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie floristiche e faunistiche minacciate o a raro livello comunitario. Attraverso SIC (Siti di interesse comunitario), ZSC (Zone Speciali di Conservazione) e ZPS (zone di protezione speciale) per la conservazione degli uccelli selvatici, nel solo Bel Paese, permettono la protezione del 19% del territorio terrestre ed il 13% del territorio marino. Il WFF,  con le sue Oasi Protette, estese su 30.000 ettari e visitate da più di 500.000 persone, è impegnato attivamente dal 1966 in Italia con campagne per la protezione degli anfibi, rapaci, cetacei, e di specie molto rare sul nostro territorio come il Gatto selvatico e la Foca monaca, il primo chiamato il fantasma dei boschi proprio per la sua rarità ed elusività e la seconda, tornata in Italia nel 2020, dopo oltre mezzo secolo di assenza (se non con qualche avvistamento sporadico). Molti altri sono fortunatamente i progetti e le associazioni italiane che combattono in questo senso e si impegnano attivamente per la tutela.

Leopardo dell’Amur (Panthera pardus orientalis) – Sottospecie di leopardo originaria delle zone montane, della taiga e delle foreste temperate asiatiche settentrionali. Attualmente la sua popolazione conta poche decine di individui in natura a causa della frammentazione del suo habitat. La Red List della IUCN dichiara questa sottospecie come a rischio critico. – Foto di: Claudio Delfoco

Italia attiva in Africa per la conservazione dei rinoceronti

In africa sono numerosi i progetti di ricerca universitaria, privati e statali e di associazioni di tutto il mondo finalizzati alla conservazione della biodiversità ma, tra questi, non possibile non citare “AIEA ”. AIEA, Associazione Italiana Esperti d’Africa, nasce con lo scopo di salvaguardare la natura africana ed attualmente vanta rappresentanti in diversi paesi africani, come il Sudafrica, la Namibia, il Kenya, il Mozambico, la Tanzania, il Botswana, lo Zambia, il Senegal e molti altri. Da una decina d’anni ormai sono attivi con progetti di conservazione in loco e raccolte fondi, mostre fotografiche, divulgazione scientifica nel nostro paese e nel resto d’Europa. Oltre a questo, nella figura di Davide Bomben, presidente dell’associazione, AIEA contribuisce attivamente alla formazione gratuita delle unità antibracconaggio dispiegate sul territorio per la difesa della fauna locale. In seguito all’attuale situazione pandemica, in corso da ormai due anni, ed al conseguente blocco del turismo, il bracconaggio è tornato più forte che mai con un aumento notevole di uccisioni illegali della fauna locale. Per combattere il fenomeno del bracconaggio e tutelare i rinoceronti africani, nasce pochi anni fa il progetto “1%”,  una raccolta di donazioni per la protezione dell’1% dell’intera popolazione di rinoceronti africani, con individui conservati e protetti all’interno di aree private dislocate tra Namibia, Sudafrica e Botswana in modo da diminuire notevolmente il rischio di bracconaggio per gli individui protetti.

I parchi faunistici come aiuto ex situ

In un mondo utopico, nel quale la natura venga rispettata e protetta e non sovra-sfruttata non ve ne sarebbe bisogno, ma allo stato attuale delle cose non sempre è sufficiente proteggere e conservare le specie animali e vegetali in loco ed in quest’ottica anche i parchi faunistici svolgono un ruolo chiave nell’attività di conservazione di numerose specie a rischio. Loro è il merito di aver salvato dall’estinzione specie come il bisonte europeo, estinto in natura nel 1919, sopravvissuto con meno di 50 individui in diversi zoo e reintrodotto in Polonia nel 1951 nelle foreste di Białowieża. Altra specie salvata dall’estinzione è il cavallo di Przewalski (noto come il pony della Mongolia), estintosi in natura nel 1969 e reintrodotto grazie allo sforzo dei parchi faunistici nei quali erano ospitati una quindicina di esemplari. Attualmente sono numerose le specie ospitate parchi faunistici proprio con questa finalità, ad Agrate Conturbia (No), nel nord Italia ad esempio, il “Parco Faunistico La Torbiera” ospita al proprio interno più di trenta differenti specie a rischio provenienti da tutto il mondo e collabora con numerosi progetti internazionali di conservazione faunistica. Ghepardi, panda minore, gatto di manul, tigre dell’Amur, leopardo dell’Amur, leopardo delle nevi e Bintorung, sono solo alcune delle specie ospitate in favore della tutela e della conservazione.

Come contribuire alla diminuzione del rischio di estinzione delle specie

Per quanto il quadro generale sembri disperato appare evidente il bisogno di tutelare e proteggere tutte le specie viventi, con un particolare focus su quelle attualmente a rischio. Nonostante si possa credere che non sia possibile fare la differenza nel proprio piccolo, in realtà, ognuno di noi può ancora fare qualcosa per combattere questo trend negativo, apportando un contro-effetto positivo sulla biodiversità. L’acqua è una sostanza preziosa per la vita sul Pianeta e averne cura, evitando gli sprechi ed evitando di inquinarla è possibile fare la differenza. Diminuendo l’utilizzo di acqua in bottiglia a favore dell’acqua del rubinetto e di una bottiglia riutilizzabile rende possibile ridurre nettamente il consumo di plastica ed il conseguente inquinamento, preservare l’acqua abbatterebbe i costi energetici di trattamento delle acque reflue, ridestinando quei fondi alla protezione ambientale ad esempio. Un consumo meno intenso di carne rossa avrebbe come risultato una diminuzione della deforestazione per la riconversione in terreni da pascolo ed un occhio più attento al consumo di energia ed alla gestione dei rifiuti  aiuterebbe enormemente. Infine, sarebbe utile che aumentino le campagne a favore della tutela della biodiversità, informando le persone, già in tenera età, in modo che prendano coscienza sin da subito del meraviglioso mondo che ci circonda, dell’importanza della tutela dello stesso e che è possibile fare la differenza ognuno nel proprio piccolo per un futuro migliore e nel quale piante ed animali non siano più costantemente minacciati a causa delle azioni sconsiderate dell’uomo.

 

Claudio Delfoco

Claudio Delfoco è laureato in Scienze della Natura e si occupa di monitoraggio e conservazione della fauna, in particolar modo di canidi selvatici. Ha monitorato e studiato un branco di lupi in provincia di Savona (2014 - 2016) e più branchi di sciacallo dorato in Friuli Venezia Giulia (2017 - 2019). Dal 2015 partecipa a periodici censimenti e monitoraggi di lupo, lepre europea, capriolo e cervo in collaborazione con l’Università degli Studi di Pavia e, da ottobre 2019 ad oggi, collabora con Kosmos, museo di Scienze Naturali di Pavia.

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