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Perché le notizie sull’emergenza climatica non si trasformano in azione?

L’urgenza di contrastare il cambiamento climatico sembra ormai condivisa da tutti (o quasi). Ma i dati e le notizie che descrivono un Pianeta in crisi tardano a trasformarsi in azioni concrete.

Il 2020 si sta avvicinando, un altro decennio sta per cominciare e molti di noi sperano che i prossimi anni si caratterizzeranno per le transizione sociali ed economiche necessarie ad assicurare un futuro sostenibile, più equilibrato e più giusto. Ormai siamo tutti (o quasi tutti) consapevoli dell’urgenza di intervenire per contrastare il cambiamento climatico: l’azione è necessaria e in modo repentino, ma il coinvolgimento attivo delle istituzioni e della cittadinanza rimane una sfida aperta.

Chi deve fare cosa?

Rispondere a questa domanda non è semplice. Del resto non c’è nulla di semplice quando si pensa alla risoluzione di un problema globale. Senza alcuna esclusione, l’azione dovrebbe partire da tutti i livelli: internazionale, nazionale, regionale, provinciale, comunale, fino ad arrivare all’impegno di ciascuno di noi. Sarebbe, infatti, incoerente sostenere che un impegno a livello internazionale avrebbe lo stesso peso dell’andare più spesso in bicicletta anziché in auto, ma dovremmo ricordarci che anche le piccole azioni possono generare un cambiamento importante.

C’è troppo cinismo sulle potenzialità delle nostre scelte e a volte siamo ossessionati dalla misurazione delle nostre azioni.

Alexandria Ocasio-Cortez la più giovane deputata degli USA

Seguici su ICONA CLIMA: in prossima pubblicazione l’articolo dedicato alle piccole azioni che ciascuno può mettere in campo senza rinunciare alla propria qualità della vita.

Cosa c’è di sbagliato nella comunicazione del cambiamento climatico?

Analizzando come la comunicazione sia avvenuta negli ultimi 30 anni (e tralasciando il problema delle fake news) si evidenziano principalmente due approcci: quello basato sull’informazione rigorosa e quello basato sulla sventura. Il primo metodo si appoggia su un presunto deficit di informazioni, per cui si ritiene necessario un forte lavoro di divulgazione: in questo caso si suppone che le persone non agiscano perché non hanno le informazioni giuste. Il secondo metodo tende a mettere in evidenza gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, cercando di ispirare un’azione repentina spinta dal terrore di un futuro invivibile. Per quanto le intenzioni siano buone in entrambi i casi, gli effetti di queste due scelte comunicative sono stati ben pochi, risultando poco efficaci e coinvolgenti, o quanto meno insufficienti.

Cosa ci blocca?

Le informazioni sui rischi e le soluzioni climatiche ci sono, ma ci sono anche delle barriere psicologiche che impediscono alle persone di impegnarsi. Lo psicologo norvegese Espen Stoknes sostiene che

La più grande barriera per risolvere i cambiamenti climatici ha uno spessore di circa sei pollici: lo spazio tra le nostre orecchie

Espen Stoknes, psicologo norvegese

Attraverso la sua ricerca Stoknes ha trovato cinque barriere che impediscono alle notizie sul clima di spingere all’azione.

La barriera della distanza.

Gli effetti negativi dei cambiamenti climatici possono spesso sembrare distanti, nello spazio e nel tempo (obiettivi al 2100, ghiacciai, orsi polari, eccetera, non fanno parte della nostra quotidianità). Anche le soluzioni sembrano distanti perché una sola persona non può apportare i grandi cambiamenti di cui il Pianeta intero ha bisogno. Strategia efficace: occorre promuovere il cambiamento dal basso, perché le persone seguono di più il buon esempio di vicini e parenti, piuttosto che i consigli di uno scienziato sconosciuto o peggio ancora di un politico. La socialità umana può innescare processi virtuosi a catena.

La barriera della condanna.

Secondo uno studio dell’Oxford Institute of Journalism, “oltre l’80% di tutte le notizie sul clima utilizza il quadro del disastro”scelta che può contribuire a sentimenti di disperazione e abbattimento. Strategia efficace: supporto, quando si parla di cambiamenti climatici, sarebbe importante utilizzare la regola del “3:1”, tre consigli di supporto per ogni minaccia. Questo consentirebbe di non omettere o minimizzare le minacce, ma di parlare anche di soluzioni.

La barriera della dissonanza.

La dissonanza cognitiva è un termine psicologico che indica il conflitto interno che si sperimenta di fronte a informazioni diverse dall’esperienza di vita attuale. Questo conflitto è pesante da sopportare, quindi solitamente si tende a risolvere il disagio con semplici auto-giustificazioni capaci di alleviare lo stress psicologico. Strategia efficace: semplicità, abituandoci tutti a piccole e graduali scelte di vita sempre più consapevoli e non di rinuncia (siamo sicuri che, ad esempio, bere da una borraccia sia da considerare una rinuncia?). In questo modo il cambiamento avverrà più velocemente di quanto si possa pensare.

La barriera della negazione.

Negare, in senso psicologico, significa avere coscienza di un problema, ma vivere come se non l’avessimo. La negazione è un metodo comunemente utilizzato anche per risolvere la dissonanza cognitiva. Ad esempio, se una persona viene a conoscenza di tutti gli impatti che le loro scelte e azioni quotidiane hanno sull’ambiente, potrebbe essere psicologicamente più facile per lei negare l’esistenza del problema piuttosto che gestire il senso di colpa delle proprie azioni e prendere provvedimenti per cambiare il proprio stile di vita. Strategia efficace: il segnale del cambiamento deve essere chiaro e le azioni devono essere monitorabili. Ad esempio, esprimersi con ”tonnellate di CO2″ non è significativo per la maggior parte delle persone. Occorre trovare significati o similitudini tangibili. Sarebbe importante anche poter tracciare i progressi ambientali in modo costante, come con le app che consentono di registrare le azioni ambientali e dire quante emissioni di carbonio sono state risparmiate. Questi strumenti possono aiutare a mantenere viva la motivazione delle persone.

La barriera dell’identità.

“L’identità vince ogni giorno sulla verità”, quindi se si intraprendono azioni sui conflitti climatici sotto la spinta di un’identità preesistente, è molto probabile che una parte della popolazione rifiuti l’azione sul clima piuttosto che andare contro la propria identità. Strategia efficace: la narrazione. Le comunicazioni sul clima dovrebbero avvenire tramite storie personali e non polarizzanti. Queste storie devono partire dall’immagine di una società migliore a emissioni ridotte e dal celebrare le storie delle persone che vivono quell’esperienza. Raccontando storie positive, si possono aiutare le persone a vedere come la propria identità si possa adattare ad un futuro che sta agendo contro il cambiamento climatico.

Serena Giacomin

Fisica, con specializzazione in Fisica dell’Atmosfera. Meteorologa certificata di Meteo Expert, climatologa e presidente dell’Italian Climate Network, il movimento italiano per il clima. Conduce le rubriche meteo in onda sui canali Mediaset e tramite le principali radio nazionali. Oltre alle attività di analisi previsionale, è impegnata nel Progetto Scuole per portare meteo e clima tra i banchi dei bambini e dei ragazzi. Autrice del libro ‘Meteo che Scegli, Tempo che Trovi’.

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