Economia e Finanza

Banche e crisi climatica, il vero nodo da sciogliere per ridurre le emissioni

La BEI ha dichiarato lo stop ai finanziamenti per le fonti fossili, ma la strada da percorrere è lunga soprattutto se ci sono di mezzo Stati Uniti e Cina

E’ notizia fresca di questo mese il blocco dei finanziamenti da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei) che si è data come obiettivo lo stop alle fonti fossili, compreso il metano, a partire dalla fine del 2021. Di notizie come queste dovrebbero esser piene le prime pagine dei quotidiani, ogni giorno: per far fronte alla crisi climatica non sono sufficienti le, seppur virtuose, azioni delle singole nazioni, le conversioni isolate delle singole aziende o le buone abitudini dei singoli individui, quello che è necessario è una conversione radicale di tutti i grandi decisori mondiali, tra cui – senza ombra di dubbio – si profilano proprio le banche. Questo non perché l’impegno del singolo non sia determinante, anzi, ma perché i tempi di una transizione culturale o di una nuova coscienza politica che favorisca una transizione ecologica sarebbero troppo lunghi per raggiungere risultati significativi. Bisogna agire subito e bisogna farlo in primis bloccando i finanziamenti alle fonti fossili, anche a quelli dei progetti già in essere.

La fine dei finanziamenti alle fonti fossili per contenere le emissioni ed evitare di superare la soglia di riscaldamento oltre i +1,5°C  era già una chiara via da percorrere dopo la pubblicazione del rapporto IPCC del 2018 che segnava una accelerazione degli effetti della crisi climatica in atto. Ma, nonostante i chiari dati del rapporto, i finanziamenti ai combustibili fossili da parte delle grandi banche mondiali hanno continuato ad alimentare la crisi climatica senza significative variazioni. 

Secondo il banking on climate change report 2019 che prende in esame il triennio 2016-2018, le banche in tutto il mondo che hanno elargito prestiti e sottoscrizioni sono 33 e stanno finanziato l’intera industria dei combustibili fossili. Si tratta di banche statunitensi, canadesi, cinesi, europee e giapponesi che hanno finanziato combustibili fossili per una somma pari a 1,9 trilioni di dollari da quando è stato adottato l’accordo di Parigi. L’emissione di finanziamenti non è andata a decrescere negli anni è bensì aumentata:  

2018: $654 B

2017: $646 B 

2016: $612 B

Finanziamenti bancari per combustibili fossili dopo l’accordo di Parigi, in dollari

Tanto per renderci conto: 1,9 trilioni di dollari è una somma superiore a tutta la valuta in circolazione negli Stati Uniti d’America (As of November 6, 2019 there was $1.74 trillion worth of Federal Reserve notes in circulation).

Il finanziamento dei combustibili fossili è dominato dalle grandi banche statunitensi, con JPMorgan Chase come il principale finanziatore mondiale di combustibili fossili, con un ampio margine. In altre regioni, i migliori banchieri di combustibili fossili sono la Royal Bank of Canada in Canada, Barclays in Europa, MUFG in Giappone e Bank of China in Cina.

Oltre al finanziamento diretto ai combustibili fossili, non di minor impatto sulla situazione climatica globale, c’è il finanziamento ai settori trasversali della grande industria fossile. Bisogna quindi tenere conto anche dei finanziamenti all’estrazione da sabbie bituminose (dalle sabbie bituminose si estrae un bitume simile al petrolio che può essere convertito in petrolio grezzo sintetico o raffinato per ottenere i derivati del petrolio), al petrolio e gas artico, petrolio e gas incrinati, gas naturale liquefatto e ovviamente al carbone e all’estrazione di quest’ultimo.

Sabbie bituminose: RBC, TD e JPMorgan Chase sono i maggiori banchieri di 30 principali produttori di sabbie bituminose, oltre a quattro principali società di gasdotti. In particolare, queste banche e i loro colleghi supportano le aziende che lavorano per espandere l’infrastruttura delle sabbie bituminose, come Enbridge e Teck Resources.

Petrolio e gas artico: JPMorgan Chase è di gran lunga il più grande banchiere mondiale di petrolio e gas artico, seguito da Deutsche Bank e SMBC Group. Cosa preoccupante, i finanziamenti per questo sotto-settore sono aumentati dal 2017 al 2018.

Petrolio e gas ultra-profondi:  anche in questo caso, JPMorgan Chase è tra i banchieri top insieme a Citi e Bank of America. Da evidenziare che, nello stesso lasso di tempo preso in esame, neanche una delle altre 33 banche ha adottato politiche per limitare in modo pro-attivo i finanziamenti per l’estrazione di gas ultra-profondi.

Petrolio e gas incrinati: è stato rilevato che il finanziamento è in aumento. Wells Fargo e JPMorgan Chase sono i maggiori banchieri del fracking in generale – e, in particolare, supportano le principali aziende attive nel bacino del Permiano – importante giacimento di idrocarburi, che si estende nella parte occidentale del Texas e nel Nuovo Messico-.

Gas naturale liquefatto (GNL): le banche hanno finanziato le più grandi aziende che costruiscono terminali di importazione ed esportazione di GNL in tutto il mondo con $ 46 miliardi dall’accordo di Parigi, guidato da JPMorgan Chase, Société Générale e gruppo SMBC. 

Estrazione del carbone: il finanziamento dell’estrazione del carbone è dominato dalle quattro principali banche cinesi, guidate da China Construction Bank e Bank of China. Sebbene molte banche europee e statunitensi adottino politiche che limitano il finanziamento estrazione del carbone, il finanziamento totale è diminuito solo del 3-5% ogni anno.

Carbone: il finanziamento del carbone è guidato anch’esso dalle banche cinesi, in particolare dalla Bank of China e dall’ICBC, con Citi e MUFG come i principali banchieri non cinesi del carbone.

Il rapporto dell’IPCC 2018 sugli impatti di un aumento di 1,5 ° C della temperatura globale ha mostrato chiaramente la direzione che devono prendere le nazioni del mondo e la traiettoria discendente delle emissioni di cui abbiamo bisogno. Se è vero che le banche devono allinearsi a tale traiettoria ponendo fine ai finanziamenti per l’espansione fossile, impegnandosi nel complesso a eliminare gradualmente tutti i finanziamenti per i combustibili climalteranti secondo una linea temporale conforme all’Accordo di Parigi, è anche vero che la banca che, secondo i dati ad oggi rilevati, finanzia maggiormente i combustibili fossili è della stessa nazione il cui presidente ha dichiarato l’uscita dall’accordo di Parigi: gli Stati Uniti.

E’ necessario che l’opinione pubblica e i gruppi di interesse continuino un lavoro di comunicazione incessante perché, di fronte a tanta inerzia, bisogna auspicare in una transazione culturale di una rapidità senza precedenti. Al di fuori di questi 33 casi, alcune banche mondiali si sono mosse (nel triennio in oggetto) concretamente verso una corretta direzione: 21 istituti di credito hanno limitato i finanziamenti al carbone, 10 banche (tutte europee) hanno limitato il finanziamento al petrolio derivante da sabbie bituminose, il gruppo BNP Paribas ha limitato il fracking e il finanziamento del GNL, 130 banche hanno firmato in occasione della Climate Week di NY l’impegno pubblico ad allineare le proprie attività con l’accordo sul clima di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS).

Tutti questi segnali hanno una importanza notevole se si considera che un’ azione condivisa da tutti gli istituti di credito farebbe scoppiare la bolla del carbonio, producendo sì perdite economiche elevate, ma di gran lunga più contenute rispetto a quelle che ci troveremo ad affrontare, senza interventi di rilievo, a causa della crisi climatica.

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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