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Alla scoperta del Foehn (seconda parte)

I venti in discesa da una catena montuosa possono essere tempestosi. Come si spiega?

Il Foehn, il vento caldo e secco che scende dalle montagne, è un fenomeno affascinante sotto molti aspetti. In un articolo precedente sono state descritte le cause del suo riscaldamento, sottolineando in particolare il ruolo del flusso bloccato. Ma i motivi per interessarsi al Foehn non si limitano a tale caratteristica: esso infatti può soffiare talora con intensità tali da provocare danni alle infrastrutture, oltre che, più generalmente, accentuare il rischio e la propagazione degli incendi boschivi. In una tempesta di Foehn il vento può raggiungere intensità tipiche di un uragano e anche superiori a 150 km/h, velocità che possono corrispondere a due/tre volte quelle osservata all’altezza della dorsale montuosa che la corrente ha dovuto scavalcare. Come nasce questa potente accelerazione del flusso d’aria? Quali sono le condizioni che favoriscono il fenomeno? Siamo in grado di prevederlo?

Figura 1. Numero di giorni di foehn in alcune località della Svizzera sud alpina, ai confini della Lombardia. In questa zona la massima frequenza si registra in primavera. A livello globale il foehn è più frequente nella stagione fredda, generalmente più perturbata, e più intenso durante la notte, quando l’atmosfera è più stabile. (Fonte: Il clima in Ticino, USTAT, M. Galfetti – MeteoSvizzera).

Rispondere a queste domande a un livello divulgativo non è immediato: meteorologi e fisici dell’atmosfera nei decenni hanno accumulato una vastissima letteratura scientifica per analizzare e spiegare il complesso comportamento dell’aria intorno ai rilievi. Vedremo che un’analogia semplice, ma anche efficace, a cui ricorrere è l’analogia idraulica, considerare cioè la corrente d’aria alla stregua di un fluido come l’acqua. Il movimento dell’acqua di fronte ad un ostacolo dipende principalmente dalla forma e dalle dimensioni dello stesso e dalla velocità del flusso. Anche l’aria è un fluido, ma con un’importante e fondamentale differenza rispetto all’acqua: la sua stratificazione. Gli strati d’aria che formano l’atmosfera presentano densità diverse mentre la densità dell’acqua è uniforme: la stratificazione (associata alla stabilità) dell’atmosfera determina risposte profondamente differenti nel suo comportamento in presenza dei rilievi.

Figura 2: I percorsi del vento dopo avere oltrepassato una catena montuosa. Fonte: https://chessintheair.com/what-is-wave/

L’incontro del vento con una montagna, anche di forma molto semplice, può dare origine a una grandissima e complessa varietà di circolazioni, a volte spettacolari: ipotizzando che l’aria sia riuscita a superare il rilievo (Figura 2) potremmo osservare sulla cima il “muro del Foehn” (wall cloud) che si dissolve sottovento (Foehn gap). Il superamento del rilievo determina lo spostamento verticale dell’aria dalla sua iniziale posizione di equilibrio e questo punto è cruciale. Se l’aria è stratificata in modo stabile (detto altrimenti: se la temperatura non scende troppo velocemente con la quota ovvero se gli strati più densi sono vicini al suolo, semplificando molto), nell’aria si generano delle oscillazioni, le onde orografiche.

Il capitolo delle onde orografiche (onde di gravità generate dall’orografia) è uno dei più complessi della fisica dell’atmosfera. Qui ci basterà ricordare che queste onde hanno una frequenza che dipende dalla stabilità dell’atmosfera (la frequenza è maggiore tanto più essa è stabile poiché è più intensa la forza di galleggiamento che causa l’oscillazione), mentre, a parità di frequenza, la lunghezza dell’onda (wavelength in figura 2) è proporzionale alla velocità del vento (venti più intensi generano onde più lunghe). Nella sintesi grafica della figura 2 le linee bianche rappresentano il percorso dell’aria e le sue oscillazioni sottovento, la formazione di spessi altocumuli (Ac) lenticolari sulla cresta dell’onda situata sulla verticale della regione del Foehn e un rotore, una regione dove il vento al suolo cambia bruscamente di direzione. Più a valle sulla pianura è rappresentato anche un “lago” dove ristagna aria fredda (pool of cold air) che il vento proveniente dai monti non è riuscito a smuovere perché vi ha galleggiato sopra.

Figura 3. Schema della circolazione durante una tempesta di foehn. Fonte: https://resources.eumetrain.org/satmanu/CM4SH/Argentina/Zonda/print.htm

La figura 3 illustra in modo schematico le condizioni tipiche che si possono osservare in una tempesta di foehn (downslope windstorm). Le linee nere rappresentano il percorso dell’aria (per la precisione si tratta di isentropiche, cioè linee dove l’aria possiede la stessa temperatura potenziale), la freccia verde indica la zona dove il vento al suolo è tempestoso, la freccia rossa un rotore posto a valle di un salto (jump region), la zona turbolenta in cui l’aria frena bruscamente ed il vento cambia direzione. Rispetto alla relativa semplicità della figura 2 in questa rappresentazione si nota un comportamento decisamente menointuitivo” della massa d’aria: si osservi in particolare la marcata ondulazione ad alta quota sopra la verticale dell’area tempestosa. L’onda si amplifica a tal punto da frangersi, come succede alle onde del mare quando si avvicinano a riva, e conduce alla formazione di un’area (wave breaking region) dove la stabilità atmosferica è molto bassa. Secondo la complessa teoria delle onde orografiche questa regione costituisce uno strato critico (self induced critical layer) che, riflettendo verso il basso l’energia dell’onda, incrementa la velocità del vento vicino alla superficie.

La teoria del salto idraulico per descrivere le tempeste di Foehn

Un approccio più intuitivo per descrivere i venti tempestosi che si manifestano sottovento ad una catena montuosa è costituito dalla teoria idraulica (o del salto idraulico, “hydraulic jump”). In questa cornice descrittiva il vento che supera le montagne viene equiparato ad un sottile strato d’acqua in movimento che incontra un ostacolo: come anticipato, nonostante gli evidenti limiti, questa teoria produce risultati discreti anche sul piano quantitativo.

Figura 4: esperimento in laboratorio dove una corrente d’acqua supera un ostacolo bidimensionale: fonte: https://theconstructor.org/water-resources/hydraulic-jump-types-characteristics/12091/

Semplificando all’estremo, il nucleo di questa teoria consiste nel confrontare l’energia cinetica del flusso d’acqua, associata ad un gradiente orizzontale di pressione, con l’energia potenziale acquisita dal fluido mentre scavalca l’ostacolo. Il bilancio tra questi due termini viene riassunto nel Numero di Froude, definito da:

Fr=U/√gD

dove U è la velocità, g l’accelerazione di gravità, D lo spessore del fluido. In questo rapporto il termine a denominatore rappresenta la velocità delle onde che si sviluppano in uno strato poco profondo di fluido, a suggerire che in gioco ci sono da una parte il gradiente orizzontale di pressione che tende a forzare il fluido a salire lungo il pendio, accumulando massa sopravvento “contro” la forza di gravità, dall’altra le onde di gravità che tendono invece a redistribuire la massa.

Figura 5. Flusso supercritico, subcritico e salto idraulico. Fonte: https://resources.eumetrain.org/satmanu/CM4SH/Argentina/Zonda/print.htm

Osserviamo che tenendo fissa la profondità D del fluido il numero di Froude dipende solo dalla velocità. Si hanno tre possibilità: se Fr è maggiore di 1 si realizza la situazione a) schematizzata nella figura 5 (flusso supercritico), dove KE e PE definiscono rispettivamente l’energia cinetica e l’energia potenziale. Nel caso in cui Fr è minore di 1 (flusso subcritico) abbiamo il risultato descritto in b): il fluido è più lento e non si forma una gobba sopra il rilievo come in a); in queste condizioni in cima al rilievo l’energia potenziale acquisita si trasforma in energia cinetica ed il fluido accelera. Il caso più interessante è rappresentato in c) laddove il flusso subisce una transizione da regime subcritico a supercritico con lo sviluppo di un salto idraulico turbolento. Si noti la somiglianza della figura 5c con la foto del flusso d’acqua in laboratorio e le evidenti analogie con il comportamento dei venti illustrato nella figura 3.

A conclusione di questa lunga premessa ecco una sintesi dei principali risultati scientifici relativi al fenomeno dei venti di forte intensità in discesa dalle montagne e gli elementi che possono aiutare il meteorologo nella sua previsione. Si è osservato che i venti più intensi sono favoriti da una dorsale montuosa che sale dolcemente sul lato sopravvento ma con fianchi ripidi sottovento. Il flusso sinottico deve essere perpendicolare all’asse della dorsale o formare al massimo un angolo di 30° rispetto alla linea perpendicolare. Il vento all’altezza delle cime deve soffiare con una velocità di almeno 15 m/s (circa 55 km/h); nei pressi delle cime o poco più in alto deve essere presente uno strato di aria stabile (con riferimento all’analogia idraulica, in altre parole, nell’atmosfera deve esistere una discontinuità simile alla discontinuità acqua-aria).

Infine, un elemento non meno importante è costituito dalla presenza di uno strato critico ad alta quota dove la velocità del vento vada a zero o inverta la direzione. Nella pratica operativa il meteorologo oltre alle mappe dei venti generate dai modelli avrà a disposizione mappe della pressione al suolo dove l’addensamento delle isobare nei pressi delle montagne sarà la spia dell’accumulo dell’aria sopravvento e della nascita di un significativo gradiente barico. Varrà la pena osservare anche la posizione del getto nell’alta troposfera: nella regione destra di uscita del getto, infatti, si ha subsidenza (aria che scende dall’alto verso il basso scaldandosi) la quale a sua volta favorisce lo sviluppo di uno strato di aria stabile.

Figura 6: schema utilizzato dal servizio meteo della Provincia di Bolzano per individuare il foehn da nord. Differenze di pressione al suolo tra Innsbruck e Bolzano superiori a 3 hPa indicano crescenti probabilità di foehn nelle valli. Fonte: https://meteo.provincia.bz.it/diagramma-del-foehn.asp

Nelle previsioni meteorologiche il ruolo dei modelli numerici diventa di giorno in giorno più importante man mano che essi vengono perfezionati e che aumenta la loro risoluzione spaziale grazie alla continua crescita della potenza di calcolo. In linea di principio i modelli possono essere spinti fino a risolvere anche i dettagli più minuti dell’orografia e a rappresentare quindi le onde orografiche ed il complicato campo della velocità del vento al suolo. Nella pratica, sia per esigenze di economia di calcolo sia per la grande complessità dell’orografia come quello alpina, i modelli presentano ancora dei limiti e la previsione del vento può avvalersi dell’esperienza del meteorologo, di regole empiriche (nella figura 6 è proposto come esempio il metodo utilizzato dal servizio meteo della Provincia di Bolzano) o di qualche forma di post processing dei dati modellistici.

Alcune fonti e approfondimenti consigliati
Drechsel, S., G.J. Mayr, 2008: Objective forecasting of foehn winds for a subgridscale alpine valley. – Wea. Forecast. 2, 205218. DOI: 10.1175/2007WAF2006021.1

https://resources.eumetrain.org/satmanu/CM4SH/Argentina/Zonda/print.htm
Paul Markowski, Yvette Richardson, Mesoscale Meteorology in Midlatitudes, John Wiley & Sons
Portale Comet MetEd: https://www.meted.ucar.edu/index.php . A questo indirizzo, previa registrazione gratuita, si accede a molti corsi introduttivi alla meteorologia, tra cui gli argomenti trattati in questo articolo.

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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