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L’impatto del cambiamento climatico sulle piogge monsoniche

Gli eventi estremi, in particolare le piogge abbondanti, diverranno più frequenti e più intensi

Sul numero di gennaio del Bullettin of the American Meteorological Society è stato pubblicato un importante articolo dal titolo Monsoon Climate Change Assessment” dedicato ai monsoni e all’impatto del cambiamento climatico su di essi. Il lavoro, corredato da una corposa bibliografia scientifica, propone una valutazione (assessment) di tutto quello che oggi  la scienza può dirci sul recente passato e sul futuro delle piogge monsoniche, mettendo in luce i risultati acquisiti e le incertezze che rimangono.

Figura 1: schema circolatorio del monsone estivo. Fonte: https://climate.ncsu.edu/edu/Monsoons – traduzione IconaClima

Le piogge monsoniche influenzano numerose aree del globo ed esercitano un sostanziale impatto economico e sociale su circa due terzi della popolazione mondiale: nelle aree interessate da una circolazione di tipo monsonico si osserva tipicamente una stagione molto piovosa seguita da una stagione secca, con un’inversione totale della circolazione dei venti da un semestre all’altro. I monsoni hanno origine dal riscaldamento differente delle terre emerse rispetto a quello della superficie oceanica e la loro dinamica, a livello basico, è relativamente semplice da comprendere: sono di fatto gigantesche circolazioni di brezza mosse dal contrasto termico terra-mare. Durante la stagione calda la terraferma si scalda molto più intensamente rispetto al mare e sopra di essa si sviluppa un’area di bassa pressione la quale richiama correnti umide dall’oceano in direzione del continente, dove tendono a sollevarsi condensando in nubi e precipitazioni. Sull’oceano, relativamente più freddo, nasce una corrente discendente al di sopra di un’area di alta pressione, mentre ad alta quota i venti si muovono dal continente verso l’oceano, chiudendo la circolazione. Durante l’inverno la circolazione si inverte e a basse quote i venti, asciutti e freschi, soffiano dal continente verso l’oceano.

Figura 2: le zone del mondo interessate dai monsoni (immagine da: Endo, H., e A. Kitoh, 2014, https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/2013GL059158)

Le regioni del globo soggette ai monsoni sono numerose (figura 2): fra i più famosi e importanti ricordiamo il monsone indiano, il monsone asiatico-australiano, il monsone nord americano e il monsone dell’Africa occidentale. Probabilmente il pensiero della maggior parte di noi, sentendo il termine “monsone”, va al monsone indiano e, ciò, possiamo scriverlo, a buon ragione. Si tratta infatti di un monsone particolarmente intenso generato dal contrasto termico tra l’Oceano Indiano e l’immenso continente asiatico, un contrasto esaltato dalla presenza della catena montuosa più alta del pianeta e dall’immenso altopiano del Tibet: non è un caso che i luoghi più piovosi della Terra, dove si possono misurare anche 10 metri di pioggia in un anno, si trovino proprio in questa parte del mondo.

Naturalmente la domanda fondamentale a cui gli scienziati cercano risposte è: quale impatto ha avuto e, ancora di più, potrà avere in futuro il cambiamento climatico, indotto dai gas serra, sull’intensità delle piogge monsoniche? Il cambiamento climatico si manifesta in modo evidente con un rialzo delle temperature medie globali, un aumento che sappiamo essere maggiore sulle aree continentali rispetto agli oceani. Questa circostanza è certamente in grado di determinare cambiamenti nella circolazione generale (a grande scala) con ripercussioni sulle circolazioni monsoniche. L’aria più calda, inoltre, può contenere una maggiore quantità di vapore acqueo (secondo la relazione di Clapeyron-Clausius circa il 7% in più per ogni grado) che può condensare e dare origine a piogge più abbondanti (nella realtà esistono fattori termodinamici che limitano la conversione effettiva in pioggia a valori inferiori, circa il 5%). Questo quadro è ulteriormente complicato dal fatto che i monsoni, così come quasi ogni fenomeno meteorologico, sono caratterizzati da una forte variabilità che può manifestarsi anche su scale temporali pluridecennali; tale variabilità può mascherare alcune tendenze di fondo (come la quantità annuale media di pioggia) rendendo difficili le analisi di attribuzione e ciò vale sia per le serie di osservazioni, sia per gli output modellistici. Tra le cause che possono influire sulla variabilità dei monsoni ci sono le cosiddette “oscillazioni” oceaniche, di cui la IPO (Interdecadal Pacific oscillation) è un esempio (un oscillazione con un periodo di 15-30 anni che vede alternarsi anomalie di acque calde o fredde fra i tropici e le latitudini medio alte). E’ assai utile ricordare che nel recente passato gli anni dal 1950 al 1980 hanno visto una riduzione delle piogge monsoniche sulla terraferma su tutto l’emisfero settentrionale, a cui ha fatto seguito una ripresa dopo gli anni ottanta. La spiegazione ritenuta più attendibile per motivare questo andamento chiama in causa gli aerosols di origine antropica (in particolare quelli contenenti composti dello zolfo e responsabili del fenomeno delle cosiddette “piogge acide”) insieme agli aerosols di origine vulcanica. Gli aerosols disperdono la radiazione incidente riscaldando l’atmosfera e rinfrescando la superficie; inoltre influenzano direttamente la formazione e la composizione delle nubi e di conseguenza le precipitazioni. A seguito delle misure anti inquinamento introdotte negli ultimi decenni le concentrazioni degli aerosols sono molto diminuite e pertanto si ritiene che oggi stia emergendo il segnale di fondo dell’andamento a lungo termine delle piogge, quello associato all’aumento della concentrazione dei gas serra.

Figura 3. Variazione della precipitazione annuale media (espressa in mm/giorno). La variazione è prevista per il periodo 2065-99 nello scenario SSP2-4.5 relativamente al periodo 1979-2013. Immagine tratta da: https://journals.ametsoc.org/view/journals/bams/102/1/BAMS-D-19-0335.1.xml

Prima di esaminare brevemente ai risultati più significativi, ricordiamo che la maggior parte di questi si basano sullo studio dei dati del passato e sull’analisi delle simulazioni fornite dai modelli del clima. Gran parte della letteratura recente ha utilizzato i prodotti del progetto CMIP5 (Coupled Model Intercomparison Project 5), ma ultimamente stanno uscendo anche le prime analisi basate sul CMIP6, che utilizza modelli di nuova generazione. I modelli climatici usati nel CMIP6 hanno mostrato di possedere una maggiore sensibilità climatica (non è una buona notizia: significa che il clima potrà rispondere più intensamente alle forzanti antropogeniche) e tale sensibilità si ripercuote anche nella simulazione delle precipitazioni. Tuttavia, sebbene migliorati, anche i nuovi modelli condividono con i precedenti “errori comuni e grandi differenze nei risultati tra di essi (large intermodal spread)”.

Il risultato più robusto (“high confidence” nel gergo scientifico) che mette in accordo tutte le proiezioni è l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi, sia sulla scala temporale dei giorni che in quella delle ore. L’incremento delle piogge più intense è dovuto in gran parte all’aumentata disponibilità di vapore acqueo a disposizione durante gli episodi a carattere convettivo, come accennato nell’introduzione. Il rapporto sottolinea che l’estremizzazione potrà essere favorita anche dalla crescente urbanizzazione che si osserva in alcune delle aree del pianeta influenzate dai monsoni. Come sappiamo le città sono contraddistinte dal fenomeno dellisola di calore urbana che secondo molti studi influisce, oltre che sulle temperature, anche sulla intensità e sulla distribuzione delle piogge. Una conseguenza che a prima vista può apparire paradossale è che l’aumento degli episodi piovosi estremi sarà associato anche ad una crescita del rischio di siccità: questo perché gli eventi piovosi saranno intervallati da lunghi periodi asciutti, durante i quali le alte temperature favoriscono un’intensa evapotraspirazione, e da una diminuzione delle piogge di debole/moderata intensità.

Per quanto riguarda la quantità media di pioggia annuale le proiezioni modellistiche disegnano uno scenario più variegato e, come sottolineato, reso più incerto dalla forte variabilità interna del sistema climatico. L’andamento medio della piovosità è meno legato, rispetto agli episodi estremi, alla relazione di Clapeyon-Clausius e maggiormente influenzato dalle variazioni della circolazione atmosferica. Per di più i modelli mostrano un risultato che, stante il maggior contrasto termico terra-mare, appare del tutto contro intuitivo e cioè che l’intensità delle circolazioni monsoniche in un mondo più caldo tende complessivamente a diminuire, una circostanza ancora poco compresa ma che potrebbe trovare spiegazione nel diverso tasso di riscaldamento tra i due emisferi. In generale le piogge monsoniche sono previste in crescita nell’emisfero settentrionale, con la sola eccezione del monsone nord americano (comportamento spiegato dalle variazioni di temperatura attese sul vicino Oceano Pacifico), mentre sono previsti pochi cambiamenti nell’emisfero australe. Le diverse regioni del globo risponderanno in modo diverso alle forzanti climatiche antropogeniche, ma nel caso del monsoni dell’Asia orientale e del monsone indiano la crescita della precipitazione media è considerata probabile (high confidence). Inoltre, in generale, la stagione delle piogge monsoniche nell’emisfero settentrionale diverrà più lunga a causa di una cessazione più tardiva.

 

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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