COP30 al via oggi: che cos’è, e perché è importante
La COP30 si apre oggi a Belém, in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia. Per due settimane, fino al 21 novembre, quasi duecento Paesi si riuniranno per discutere nuove azioni globali contro la crisi climatica.
Quella di quest’anno è la trentesima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
A dieci anni esatti dall’Accordo di Parigi, la COP30 arriva in un momento decisivo: il mondo deve definire nuovi obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni (NDC) al 2035, e decidere come finanziare la transizione nei Paesi più vulnerabili.
Perché in Amazzonia
Belém è la capitale dello stato brasiliano del Pará, alla foce del Rio delle Amazzoni. È la prima volta che una COP si tiene nel cuore della foresta tropicale, un’area cruciale per la stabilità del clima globale.
Il governo brasiliano ha voluto che la “COP dell’Amazzonia” fosse anche una conferenza delle persone che vivono la crisi climatica in prima linea: comunità indigene, piccoli agricoltori, giovani attivisti. La scelta di Belém, spiegano le Nazioni Unite, è un messaggio politico: portare la diplomazia climatica “dentro” l’ecosistema più importante del pianeta, oggi sotto pressione per deforestazione, siccità e incendi. La conferenza inoltre non sarà solo un appuntamento diplomatico, ma anche un segnale simbolico: discutere di clima in uno dei posti in cui il clima cambia più in fretta.
Cosa c’è in gioco
L’UNEP, nel suo ultimo Emissions Gap Report, stima che anche rispettando gli impegni attuali le temperature globali continueranno a salire tra 2,3 e 2,5 °C entro fine secolo, ben oltre la soglia di sicurezza.
Per restare entro 1,5 °C, le emissioni dovrebbero diminuire del 42% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Ma finora stiamo andando nella direzione opposta: nel 2024 le emissioni globali hanno toccato un nuovo record, trainate dall’utilizzo dei combustibili fossili.
Alla COP30 si misureranno credibilità e coerenza delle politiche nazionali. Realtà come l’Unione Europea, la Cina e l’India arriveranno con posizioni diverse, mentre molti Paesi del Sud globale chiedono più sostegno economico e meno promesse vaghe. Belém sarà anche il banco di prova per la diplomazia climatica del Brasile: il presidente Lula ha rilanciato il ruolo dell’Amazzonia come laboratorio di transizione verde e piattaforma di cooperazione internazionale, ma il Paese resta anche un grande esportatore di petrolio e materie prime agricole.
Le prossime due settimane serviranno a capire se la comunità internazionale è ancora in grado di agire insieme. Le decisioni prese (o meno) a Belém influenzeranno la direzione delle politiche climatiche globali per il prossimo decennio.
Il contesto è tutt’altro semplice: tensioni geopolitiche, guerre e crisi economiche rendono più difficile trovare un terreno comune. Ma la posta in gioco è chiara: la possibilità di mantenere la promessa dell’Accordo di Parigi e limitare il riscaldamento globale entro la soglia di sicurezza.
Come hanno ricordato di recente le Nazioni Unite, la COP è l’unico forum in cui quasi tutti i Paesi del mondo si siedono allo stesso tavolo per decidere insieme come proteggere il pianeta.
NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.