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La truffa dei crediti per compensare le emissioni e l’elefante nella stanza: il tempo sta scadendo

Da un'inchiesta è emerso che i progetti di protezione della foresta pluviale finanziati da decine di aziende per compensare le emissioni permettevano di ridurre la deforestazione solo in minima parte. Intanto la crisi climatica avanza, e serve chiedersi cosa sia davvero utile per contrastarla: ne abbiamo parlato con il professor Stefano Caserini, docente di mitigazione al Politecnico di Milano

Quasi tutti i crediti di compensazione delle emissioni venduti da Verra a moltissime grandi aziende nel mondo sono probabilmente “crediti fantasma”: in più del 90% dei casi non rappresenterebbero vere riduzioni di carbonio e rischierebbero invece di aggravare la crisi climatica.
La notizia arriva da un grande lavoro di inchiesta portato avanti dal giornale britannico The Guardian, dal settimanale tedesco Die Zeit e da SourceMaterial, un’organizzazione non profit che si occupa di giornalismo investigativo.

L’indagine, durata nove mesi, si è basata sull’analisi dei progetti di protezione delle foreste approvati da Verra, leader mondiale nella certificazione delle compensazioni volontarie di anidride carbonica. L’organizzazione gestisce il Verified Carbon Standard (VCS), il programma di accreditamento di gas a effetto serra più utilizzato al mondo: sono loro a rilasciare il 75 per cento dei certificati relativi ai crediti per le emissioni, e in sostanza hanno il potere di trasformare anche aziende molto inquinanti in realtà sostenibili, almeno sulla carta.

Come funzionano i crediti per compensare le emissioni

L’idea su cui si basa il meccanismo, che ha dato vita a un mercato miliardario, è piuttosto semplice. Un’azienda che emette una certa quantità di emissioni ha la possibilità di supportare economicamente progetti di tutela ambientale che promettono di evitare, o anche assorbire, la stessa dose di gas serra.
Quello che in teoria appare come un sistema semplice ed efficace di compensazione rappresenta in realtà una scommessa piuttosto rischiosa. Peccato che in gioco ci sia la possibilità di raggiungere o meno gli obiettivi climatici indicati dalla comunità scientifica come condizioni imprescindibili per contrastare il surriscaldamento globale e risparmiarci le sue conseguenze più catastrofiche.

Non è semplice, infatti, garantire che le emissioni vengano davvero evitate o riassorbite, e misurarne con accuratezza la quantità. Inoltre, considerando che normalmente i progetti di compensazione si basano sulla tutela delle foreste o la coltivazione di nuovi alberi, è impossibile avere la certezza che questi vivano abbastanza a lungo da assorbire effettivamente la CO2 promessa (e venduta): eventi imprevedibili come gli incendi o la diffusione di malattie – resi tra l’altro sempre più probabili dalla crisi climatica – possono facilmente vanificare tutti gli sforzi.

Il caso Verra

L’analisi portata avanti su Verra ha rilevato che oltre il 90% dei crediti di compensazione venduti per proteggere porzioni della foresta pluviale, tra i più frequenti tra quelli utilizzati dalle aziende, sono probabilmente “crediti fantasma” e non rappresentano vere e proprie riduzioni delle emissioni di anidride carbonica.

L’inchiesta, disponibile sul sito del Guardian, ha rivelato che solo una piccolissima parte dei progetti certificati dall’organizzazione ha effettivamente dato prova di ridurre la deforestazione, e alcune analisi indicano che nel 94% dei casi i crediti non hanno apportato alcun beneficio al clima. Inoltre, secondo un recente studio dell’Università di Cambridge, in media le minacce da cui Verra prometteva di proteggere le foreste erano state sopravvalutate di circa il 400 per cento. In almeno uno dei progetti di compensazione sono emerse anche criticità relative ai diritti umani: in Perù, secondo i residenti intervistati dal Guardian, le abitazioni delle popolazioni locali sarebbero state abbattute dalle guardie forestali e dalla polizia, con sgomberi forzati e situazioni di tensione e violenza.

Decine di aziende e organizzazioni hanno acquistato crediti per compensare le proprie emissioni attraverso i progetti nella foresta pluviale certificati da Verra. In questo modo, hanno poi potuto etichettare i propri prodotti come “carbon neutral” o promuovere i propri servizi trasmettendo ai consumatori l’idea di poter fare acquisti o attività, come viaggi aerei, senza alimentare la crisi climatica.

Verra ha criticato l’inchiesta affermando che scienziati e giornalisti fossero giunti «a conclusioni errate» e sostenendo che i metodi utilizzati non rendano davvero l’idea del reale impatto sul suolo. Degli studi su cui si sono basati i giornalisti, però, uno era stato rilasciato in prestampa e due avevano superato il processo di peer review, e quindi erano stati valutati come idonei alla pubblicazione da membri della comunità scientifica esperti delle questioni trattate.

Abbiamo pochi anni per azzerare le emissioni nette: i crediti di carbonio sono davvero utili?

Secondo la comunità scientifica abbiamo bisogno di azzerare le emissioni nette entro il 2050 per contenere l’aumento della temperatura media globale ed evitare gli effetti più catastrofici della crisi climatica. Al momento siamo ancora lontani dalla rotta giusta per centrare questo obiettivo, e il mondo non può permettersi di perdere ancora tempo e risorse.

Come ci ha spiegato il professor Stefano Caserini, docente di mitigazione dei cambiamenti climatici presso il Politecnico di Milano, serve che aziende e imprese mettano in campo tutti gli investimenti necessari a «ridurre le emissioni dirette e indirette in casa, tagliando il più possibile le emissioni prodotte». Il mercato del carbonio pulò servire solo se è una misura aggiuntiva, «altrimenti si può cadere nel greenwashing», avverte il professore: «la mitigazione che si basa solo sui crediti rischia di non essere utile».

E tra i crediti del carbonio, quelli di origine forestale presentano le criticità maggiori.
«Innanzitutto è rischioso», spiega Caserini: non c’è certezza che la CO2 stoccata nelle foreste non venga liberata nell’atmosfera, «per esempio attraverso gli incendi, che con la crisi climatica sono sempre più diffusi e frequenti».
Poi c’è la «questione dell’accounting», ovvero il calcolo delle quantità di carbonio effettivamente assorbite dalle foreste: «il grado di incertezza è molto maggiore rispetto alle stime della CO2 che si evita, per esempio, installando dei pannelli fotovoltaici o delle pale eoliche».
Per finire, sono molte le difficoltà relative alle verifiche. «Non sempre vengono fatte in modo rigoroso», osserva Caserini, ed «è difficile mostrare che le emissioni vengono assorbite grazie agli investimenti realizzati, stabilendo se il carbonio sarebbe stato assorbito lo stesso, o meno, dalle foreste».

Per approfondire:

Piantare alberi oggi per ridurre le emissioni domani? Pro e contro del business delle compensazioni

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Valeria Capettini

Laurea triennale in Lettere e magistrale in Comunicazione, dal 2021 sono iscritta all'Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Nel 2016 sono entrata a far parte della squadra di Meteo Expert: un'esperienza che mi ha insegnato tanto e mi ha permesso di avvicinarmi al mondo della climatologia lavorando fianco a fianco con alcuni dei maggiori esperti italiani in questo settore. La crisi climatica avanza, con conseguenze estremamente gravi sull’economia, sui diritti e sulla vita stessa delle persone. Un'informazione corretta, approfondita e affidabile è più che mai necessaria.

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