Dopo una maratona negoziale durata oltre 18 ore, i ministri dell’Ambiente dell’Unione europea hanno trovato un accordo di compromesso sul nuovo obiettivo climatico per il 2040, pochi giorni prima della COP30 di Belém. L’accordo conclude oltre 20 mesi di dibattito da quando la Commissione europea ha proposto per la prima volta un obiettivo di riduzione netta interna del 90% nel febbraio 2024. Il traguardo formale resta una riduzione del 90% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990, ma con margini di flessibilità che ne riducono la portata effettiva.
Secondo la bozza approvata nella notte a Bruxelles, i Paesi membri potranno coprire fino al 5% dei tagli richiesti acquistando crediti di carbonio all’estero, cioè pagando altri Stati perché riducano le loro emissioni al posto dell’Europa. In pratica, il taglio “domestico” si fermerebbe all’85%. La possibilità di estendere in futuro questo meccanismo fino a un ulteriore 5% resta sul tavolo, segno che il compromesso rischia di restare fragile.
L’intesa arriva alla vigilia della COP30 di Belém, in Brasile, dove la presidente della Commissione Ursula von der Leyen incontrerà gli altri leader mondiali. Bruxelles voleva evitare di presentarsi “a mani vuote”, ma il prezzo politico è stato alto: la mediazione ha richiesto di indebolire alcune misure già previste dal Green Deal europeo.
Tra le concessioni figurano il rinvio di un anno – al 2028 – dell’avvio del nuovo mercato del carbonio per i trasporti e gli edifici, e un atteggiamento più cauto sulla graduale eliminazione dei motori a combustione. Anche la proroga dei permessi gratuiti per le industrie più inquinanti rientra tra le modifiche chieste dai governi più scettici.
Il compromesso raggiunto non cancella le tensioni interne. A spingere per un obiettivo meno stringente sono stati soprattutto Polonia, Italia e Repubblica Ceca, che temono ripercussioni sui costi energetici e sulla competitività delle imprese. Dall’altra parte, Spagna, Paesi Bassi, Germania e Svezia hanno difeso l’urgenza di mantenere un livello alto di ambizione, ricordando che il clima non negozia e che i danni economici degli eventi estremi stanno già pesando sui bilanci nazionali.
Per i consiglieri scientifici dell’UE, l’uso esteso dei crediti esteri rischia di dirottare investimenti necessari alla transizione industriale europea, riducendo l’impatto reale della politica climatica.
Deluse anche le organizzazioni della società civile che si occupano di clima. «Dopo quasi due anni di negoziati, i ministri hanno concordato un accordo che indebolisce il cuore dell’ambizione climatica dell’Europa», ha commentato in una nota CAN Europe. «Questo livello di ambizione non è all’altezza della responsabilità e della capacità dell’UE di affrontare seriamente la crisi climatica», avverte il responsabile clima dell’organizzazione, Sven Harmeling: «Questo accordo tanto atteso è molto più debole di quanto suggerisca il titolo del 90%. Cedendo alle pressioni degli Stati membri ostruzionisti, i ministri hanno pericolosamente aperto la porta a crediti di carbonio esteri fino al 5%».
Con questo accordo “annacquato”, l’Unione europea si presenterà alla COP30 non più come il motore della diplomazia climatica globale, ma come un attore che fatica a conciliare ambizione e consenso interno.
NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.