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IEA: una ripresa sostenibile è l’ultima occasione per evitare la crisi climatica. Rischiamo di sprecarla

Se il piano di rilancio elaborato dall’IEA venisse messo in atto, il picco delle emissioni globali potrebbe essere alle spalle. Le misure finora adottate vanno purtroppo nella direzione opposta.

Quella legata al Coronavirus è la crisi economica più profonda che il mondo ha vissuto, in tempi di pace, dal 1930. Nel 2020 l’economia globale crollerà del 6%, trascinando con sé 300 milioni di posti di lavoro solo nel secondo trimestre dell’anno. Per questo i governi stanno stanziando enormi somme in interventi che finora, considerando anche quelli annunciati, valgono novemila miliardi di dollari. Secondo l’International Energy Agency (IEA), tali decisioni sono destinate a determinare il futuro degli investimenti e dell’industria per decenni: in base ad esse il mondo riuscirà o fallirà miseramente nel tentativo di limitare il cambiamento climatico.

L’ultima occasione

Infatti, secondo le previsioni dell’IEA, nel 2020 le emissioni di gas serra si ridurranno dell’8% rispetto al 2019, fissando un record storico: si tratta di un’occasione unica per iniziare un declino strutturale delle stesse, che permetta di lasciarsi alle spalle (nel 2019) il picco delle emissioni.

Allo stesso tempo, però, la crisi economica è generalmente accompagnata da un rimbalzo successivo delle emissioni climalteranti, proprio come accaduto nel 2008, quando, con la ripresa dell’economia, si ebbe il maggiore aumento annuale delle emissioni di gas serra mai registrato. Questa volta, secondo Fatih Birol, direttore esecutivo dell’IEA e uno dei più influenti esperti internazionali di economia dell’energia, una nuova crescita delle emissioni farebbe perdere ogni speranza di rispettare gli Accordi di Parigi.

Rispetto al 2008, per fortuna, le rinnovabili sono ormai competitive e altre tecnologie verdi, come le batterie e l’idrogeno, sono pronte ad emergere. Per questo la crisi economica potrebbe essere un’occasione perfetta per risolvere la crisi climatica; per questo l’IEA, insieme al Fondo Monetario Internazionale, ha messo a punto un efficiente piano triennale di ripresa che, se rispettato, sarà in grado di portare il mondo fuori da entrambe le crisi, economica e climatica. È però necessario, secondo Fatih Birol, agire subito, quest’anno: “Quest’anno è l’ultimo periodo che ci rimane se non vogliamo vedere un rimbalzo delle emissioni”.

Si tratta, purtroppo, non solo di una grande occasione, ma anche dell’ultima.

I prossimi tre anni determineranno il corso dei prossimi trent’anni e oltre. Se non [ci attiviamo] vedremo sicuramente un rimbalzo delle emissioni. Se le emissioni rimbalzeranno, sarà molto difficile capire come potranno essere ridotte in futuro. Questo è il motivo per cui stiamo spronando i governi a mettere a punto dei pacchetti di ripresa sostenibili

Fatih Birol

Il piano IEA per la ripresa sostenibile

Il Piano di Ripresa Sostenibile messo a punto dall’IEA raccoglie un insieme di misure ed investimenti da mettere in atto fra il 2021 e il 2023.

Tale piano prende in considerazione le condizioni dei singoli paesi, del mercato, le infrastrutture e i progetti esistenti e la convenienza economica delle misure da adottare. Propone provvedimenti a sostegno delle rinnovabili, della mobilità elettrica e dei collegamenti ferroviari ad alta velocità, piani di efficientamento degli edifici e dei processi industriali (nell’alimentare, nel tessile, etc.), di rinforzo delle reti elettriche, di sostegno alla ricerca nell’idrogeno, nelle batterie e nelle tecnologie di carbon capture and storage.

Queste misure sarebbero in grado simultaneamente di velocizzare la ripresa economica, di creare milioni di posti di lavoro, di costruire un sistema energetico più pulito e resiliente e di provocare un declino strutturale delle emissioni di gas serra.

Risollevare l’economia

Il piano IEA è in grado di generare una crescita annuale aggiuntiva dell’economia mondiale dell’1.1%, portando il PIL globale ad essere nel 2023 maggiore del 3.5% rispetto a quanto accadrebbe se le misure proposte non venissero implementate.

Anche un recente studio pubblicato da premi Nobel ed esperti di fama mondiale come Nicholas Stern è giunto alle stesse conclusioni. Analizzando le politiche di ripresa messe in atto dopo il 2008, ha mostrato come investire denaro pubblico in progetti verdi abbia prodotto un ritorno maggiore sia nel breve che nel lungo termine rispetto agli stessi investimenti in progetti convenzionali ad alta intensità di emissioni climalteranti.

Combattere la disoccupazione

Il Piano di Ripresa Sostenibile creerebbe nove milioni di posti di lavoro all’anno per tre anni, la maggior parte dei quali nell’efficientamento di edifici esistenti, nelle rinnovabili e nelle reti elettriche. Queste attività generano infatti molti più posti di lavoro degli investimenti nel fossile: il gruppo di ricerca composto da esperti internazionali e premi Nobel prima citato ha infatti sottolineato come le rinnovabili generino 7.49 posti di lavoro per ogni milione di dollari investito, l’efficientamento energetico degli edifici 7.72, i combustibili fossili solamente 2.65.

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Milioni di posti di lavoro creati all’anno per settore dal Sustainable Recovery Plan IEA. Fonte: IEA, grafica Guardian

In una recente intervista al Guardian, anche Sam Fankhauser, direttore esecutivo del Grantham Research Institute on Climate Change alla London School of Economics – non coinvolto nella redazione del Piano IEA, ha affermato che l’efficientamento energetico degli edifici rappresenta la misura di ripresa economica perfetta: di veloce implementazione, capace di creare molti posti di lavoro, di far fruttare il capitale investito, essenziale nella lotta al cambiamento climatico e portatore di benefici sociali (risparmio sulle bollette). Secondo Fankhauser, i governi non dovrebbero cercare di “preservare i lavori esistenti nella formaldeide”, ma piuttosto fornire opportunità di formazione per far sì che i lavoratori “si spostino verso i lavori del futuro”.

Limitare la crisi climatica

Grazie al Piano di Ripresa Sostenibile le emissioni annuali di gas serra legate al settore dell’energia si ridurrebbero di 4.5 miliardi di tonnellate entro il 2023 rispetto a quanto verrebbe emesso se le misure proposte non venissero implementate. Un risultato non di poco conto considerando che nel 2019 le emissioni globali legate al settore dell’energia sono state di 33 miliardi di tonnellate. Allo stesso modo le emissioni di inquinanti si ridurrebbero del 5%, limitando i rischi per la salute connessi e le spese associate: non dimentichiamo che l’inquinamento atmosferico uccide ogni anno 7 milioni di persone nel mondo.

Seguendo il piano IEA, si eviterebbe un rimbalzo nelle emissioni simile a quello seguito alla crisi del 2008. Anzi, come affermato da Birol,

il 2019 verrebbe ricordato come l’anno in cui le emissioni di gas serra hanno raggiunto il loro picco, un primo fondamentale passo verso il raggiungimento degli obiettivi climatici.

La maggiore riduzione nelle emissioni sarebbe data dalle misure di efficientamento energetico, insieme a uno spiccato aumento nella generazione low-carbon di energia elettrica.

Un sistema energetico più sicuro e resiliente

Dopo anni di declino, gli investimenti nelle reti elettriche aumenterebbero del 40%, potenziando così un sistema fondamentale per la transizione e la sicurezza energetiche: le reti sarebbero più pronte alla massiccia introduzione delle rinnovabili intermittenti e più resilienti alle conseguenze negative dei cambiamenti climatici, come, ad esempio, gli eventi meteorologici estremi.

A quale prezzo

L’intero piano proposto potrebbe essere realizzato mettendo in campo una somma pari a mille miliardi di dollari l’anno per tre anni: si tratta di un investimento più che conveniente, considerando che solamente le misure di ripartenza già annunciate finora valgono novemila miliardi di dollari. Tanto più che la cifra necessaria equivale a solamente lo 0.7% del PIL mondiale attuale, generando di contro una crescita aggiuntiva dell’1.1%. Sono inoltre considerati sia le spese statali che gli investimenti privati che verrebbero mobilizzati dalle politiche governative.

Non siamo sulla buona strada

Come conseguenza del lockdown, all’inizio di aprile le emissioni di anidride carbonica giornaliere globali sono crollate del 17% rispetto ai livelli medi del 2019, soprattutto grazie alla contrazione nei trasporti di superficie. Già all’inizio di giugno però, secondo un nuovo studio, le emissioni giornaliere hanno raggiunto una riduzione di solamente il 5% rispetto ai livelli medi dello scorso anno.

Secondo il gruppo di pressione Reclaim Finance, nonostante gli impegni dichiarati dall’UE (mettere il Green Deal al centro della sua ripresa), la Banca Centrale Europea potrebbe elargire 220 miliardi di euro all’industria fossile (dei 4500 miliardi che verranno all’incirca stanziati). Verranno finanziate 38 compagnie del fossile, tra cui Shell, Total e 10 industrie del carbone; una di esse – Fortum – è impegnata nell’apertura di una nuova centrale a carbone in Germania.

Gli analisti della Bloomberg New Energy Finance hanno dichiarato che la grande maggioranza degli stimoli all’economia annunciati fino a fine maggio dai governi nel mondo andranno a supportare l’economia fossile: 509 miliardi di dollari verranno riversati in industrie ad alta intensità di emissioni di gas serra, senza alcuna condizione di riduzione delle stesse. Solo 12.3 miliardi $ di stimolo andranno ad industrie a bassa intensità di emissioni, come le rinnovabili, e 18.5 miliardi $ ad industrie ad alto impatto ma con condizioni di raggiungimento di determinati obiettivi climatici. Una ricerca IEA ha mostrato che gli investimenti in centrali a carbone in Asia fino alla fine di maggio sono cresciuti rispetto a quelli stanziati nel 2019.

Misure giustificate?

Secondo Birol, “i primi piani di ripresa sono soprattutto volti a creare pareti antifuoco intorno all’economia”, vale a dire che con le prime quote di stimoli i governi “avevano una scusa” per aver fallito nel direzionare i finanziamenti verso un’economia verde: si trattava di reazioni a una crisi dura ed improvvisa. Ma il persistere degli stimoli all’economia fossile mostrato sopra è un indizio molto preoccupante: “vi sono già segni di un rimbalzo [nelle emissioni]”.

 

L’IEA e il FMI hanno dimostrato con dati e analisi che la ripresa sostenibile è la strada economicamente più conveniente, la scelta migliore nel breve e nel lungo termine. La responsabilità dei governi verso l’adozione di un nuovo modello economico, più sicuro ed efficiente, e l’abbandono dei vecchi rimedi è più che mai grande; come anche lo è quella dei cittadini di far sentire la propria voce, affinché venga assicurato loro non solo il futuro, ma anche e soprattutto – alla luce di queste analisi – il presente.

 

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Elisa Terenghi

Nata a Monza nel 1994, mi sono laureata in Fisica del Sistema Terra presso l’Università di Bologna nel marzo 2019, conseguendo anche l’Attestato di formazione di base di Meteorologo del WMO. Durante la tesi magistrale e un successivo periodo come ricercatrice, mi sono dedicata all’analisi dei meccanismi di fusione dei ghiacciai groenlandesi che interagiscono con l’oceano alla testa dei fiordi. Sono poi approdata a Meteo Expert, dove ho l’occasione di approfondire il rapporto fra il cambiamento climatico e la società, occupandomi di rischio climatico per le aziende.

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