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I ghiacciai dell’Himalaya mitigano l’impatto del riscaldamento globale sugli ambienti d’alta quota

I grandi ghiacciai dell’Himalaya reagiscono al riscaldamento globale rendendo più intensi i venti catabatici che scendono lungo i loro pendii, proteggendo gli ambienti d’alta quota dall’eccessivo calore. La sorprendente scoperta di un team di scienziati italiani.

I ghiacciai himalayani sostengono il flusso di alcuni dei fiumi più grandi dell’Asia meridionale, da cui dipendono più di 230 milioni di persone: comprendere la loro risposta al riscaldamento globale è quindi di importanza vitale. Anche loro sono in declino da decenni, con una notevole accelerazione della perdita di massa nell’ultimo ventennio, soprattutto nel settore orientale, dove si trova l’iconico Monte Everest. Indipendentemente dalle dimensioni, dalla morfologia, dal tipo di copertura superficiale, tutti si stanno assottigliando, anche ad altitudini estreme, oltre i 6000 metri di quota.

Variazione dell’altitudine della superficie dei ghiacciai (dh) nella regione del Monte Everest in diversi periodi di tempo 2001–2018 e 1962-2018. Crediti Elsevier (https://doi.org/10.1016/j.oneear.2020.10.019)

Un gruppo di ricercatori italiani ha tuttavia scoperto un fenomeno tanto sorprendente quanto inatteso: malgrado siano tutti in sofferenza, i ghiacciai dell’Himalaya riescono a mitigare le temperature estive ai loro piedi, proteggendo gli ambienti d’alta quota dai colpi del riscaldamento globale.
A rivelarlo è uno studio coordinato dall’Istituto di Scienze Polari (CNR-ISP) e dall’Istituto di Ricerca sulle Acque (CNR-IRSA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, svolto in collaborazione con l’Institute of Science and Technology Austria (ISTA). I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Geoscience il 4 dicembre 2023.
Scopriamo i dettagli.

Il clima del Monte Everest e il laboratorio-osservatorio Piramide: 30 anni di dati e ricerche made in Italy

Per portare alla luce questo sorprendente fenomeno, il team di ricercatori si è avvalso di tutti i dati giornalieri disponibili registrati dalle stazioni meteorologiche presenti in Nepal e nel settore meridionale del Tibet, unitamente ai dati di reanalysis ERA5-Land, cioè dati globali di osservazione proiettati, mediante elaborazione modellistica, sui nodi di una griglia ad una distanza di circa 9 chilometri l’uno dall’altro.
Le stazioni meteorologiche permanenti di alta quota sono molto rare, e tra queste spicca la stazione italiana “Piramide”. Da trent’anni, ogni ora, registra diverse variabili meteorologiche e può ormai vantare la più lunga serie climatica di alta quota esistente al mondo: l’unica evidenza per comprendere come è cambiato il clima sulle remote montagne del Terzo Polo. E’ situata a 5050 metri di altitudine nel Parco Nazionale del Sagarmatha, in Nepal, alla confluenza del ghiacciaio del Lobuche con il ghiacciaio principale del Khumbu, a circa 6 km, e poche ore di cammino, dal campo base del Monte Everest. Si trova in prossimità del laboratorio-osservatorio internazionale Piramide, un’ampia struttura di vetro e metallo inaugurata da Ardito Desio ed Agostino da Polenza nel 1990, fiore all’occhiello della ricerca scientifica italiana in alta quota per lo “studio dei cambiamenti climatici e ambientali, della medicina e della fisiologia umana in condizioni estreme, della geologia, della geofisica e dei fenomeni sismici”.

Il Laboratorio-Osservatorio Piramide (Mt Everest, Nepal). Crediti: Franco Salerno, Cnr-Isp

Tra il 1997 e il 2007, Meteo Expert, allora noto come Centro Epson Meteo, in collaborazione con CNR-IRSA e nell’ambito del progetto Ev-K2-CNR, contribuì all’installazione e al monitoraggio di diverse stazioni meteo distribuite lungo la valle del Khumbu, da Lukla (2660 m s.l.m.), a Namche Bazar (3560 m s.l.m.), fino a Pheriche (4260 m s.l.m.) e alla Piramide, dove venne installata una nuova stazione nei pressi di quella operativa in modo continuo dal 1994. I dati del Pyramid Meteo Network entrarono a far parte del progetto internazionale CEOP (Coordinated Enhanced Observing Period), e la loro analisi, affiancata da diverse simulazioni modellistiche, permise di fare maggior luce sulle caratteristiche del clima d’alta quota ai piedi del Monte Everest, sulla sua interazione con il Monsone Indiano e sulla sua risposta alle oscillazioni della circolazione generale dell’atmosfera.

L’inaspettata risposta del clima dell’Himalaya al riscaldamento globale

In netto contrasto con quanto mostrato dai trend a livello globale, che vedono gli ambienti d’alta quota risentire maggiormente dell’effetto del riscaldamento globale e riscaldarsi più velocemente, l’analisi dei rilievi delle stazioni meteorologiche e dei dati della reanalysis ha evidenziato, dal 1994 al 2020, la progressiva diminuzione delle temperature massime estive (fino a -0,05 °C/anno) in tutte le regioni glacializzate dell’Himalaya, nella fascia altimetrica compresa fra circa 5400 metri s.l.m. (la quota media delle fronti glaciali) e 4500 metri s.l.m. , o poco al di sotto. Questa tendenza inaspettata è presente entro 20 chilometri di distanza da un ghiacciaio, è particolarmente accentuata vicino alle masse glaciali maggiori, come quelle del settore centro-orientale della catena himalayana dove si trova il Monte Everest, ed è associata in modo significativo alla diminuzione delle precipitazioni diurne.
Ad altitudini inferiori i trend delle temperature massime sono invece positivi (media di +0,026 °C/anno al di sotto dei 2000 metri), così come la maggior parte dei trend delle precipitazioni diurne.

Trend 1994-2020 delle temperature massime nella stagione calda (da maggio a ottobre) lungo tutta la catena himalayana, basati sui dati grigliati di reanalysis ERA5-Land. Le sfumature di azzurro rappresentano la tendenza al raffreddamento (trend negativo), le sfumature di rosso la tendenza al riscaldamento (trend positivo). Crediti Nature

Ai piedi del Monte Everest, ad esempio, la tendenza alla diminuzione delle temperature massime è stata riscontrata, tra maggio e ottobre, alla Piramide (5050 m s.l.m.), quindi ad una quota prossima a quella media del margine inferiore dei ghiacciai, e a Pheriche (4260 m s.l.m.), ma non a Namche Bazar (3560 m s.l.m.). Alla Piramide, la velocità del vento è aumentata nelle ore centrali della giornata, mentre le precipitazioni diurne sono diminuite del 50 % , come a Pheriche, contribuendo alla diminuzione dell’estensione e del volume dei laghi della zona, in declino insieme a quelli dell’intera regione del Monte Everest e del retrostante settore meridionale del Plateau Tibetano.

Il ruolo chiave dei ghiacciai

Nell’ultimo trentennio, dunque, nella stagione calda le temperature massime e le precipitazioni diurne sono diminuite ad alta quota, sono aumentate a quote inferiori. Cosa sta succedendo?
Nella stagione calda, la temperatura dell’aria nella libera atmosfera è più elevata di quella dei ghiacciai sottostanti, la cui superficie, distribuita tra 4300 a oltre 8000 m s.l.m., è in fase di fusione, e quindi prossima a zero gradi. Lo scambio di calore tra la superficie ghiacciata e la massa d’aria a suo diretto contatto produce il raffreddamento di quest’ultima, che essendo più fredda, densa e quindi più pesante dell’aria soprastante, scivola lungo i pendii e cade verso valle sottoforma di venti catabatici. Tanto più la differenza di temperatura tra il sottile strato d’aria fredda a contatto con i ghiacciai dell’Himalaya e l’aria più calda soprastante è grande, quanto più i freddi e secchi venti catabatici sono intensi: nella stagione calda, nelle ore diurne, in un contesto di riscaldamento globale.

Schema esplicativo del raffreddamento dell’aria osservato nei dintorni dei ghiacciai himalayani, in condizioni stazionarie (a) e con il riscaldamento globale (b).
Ts = temperatura della superficie del ghiacciaio; Ta = temperatura dell’ambiente; Tfa = temperatura dell’atmosfera libera; Tg = temperatura dell’aria a due metri dalla superficie del ghiacciaio. Crediti: Nature

Con il riscaldamento globale, la più elevata temperatura dell’aria in atmosfera libera induce un più intenso scambio di calore tra la superficie dei ghiacciai e lo strato d’aria adiacente: “da un lato, il calore aggiuntivo viene utilizzato per la fusione, con conseguente aumento della perdita della massa glaciale, dall’altro, l’accentuazione del raffreddamento dello strato d’aria superficiale genera venti catabatici più intensi”. I venti di caduta riescono ora a percorrere più strada e a raggiungere territori situati a quote meno elevate, proteggendo così dai colpi del riscaldamento globale le parti inferiori dei ghiacciai, il permafrost e gli ecosistemi d’alta quota.
Ogni medaglia ha però il suo rovescio: se da un lato la mitigazione delle temperature massime durante i mesi più caldi riesce almeno in parte a preservare le parti terminali dei ghiacciai dell’Himalaya e gli ambienti d’alta quota periglaciali, dall’altro i più intensi venti catabatici spingono verso il basso la linea di convergenza con i venti di valle pomeridiani che sospingono verso le vette le masse d’aria miti e umide monsoniche, allontanando così le preziose precipitazioni dalle regioni d’alta quota e, di fatto, agendo negativamente sul bilancio di massa dei ghiacciai.

Alla ricerca di altri ghiacciai in grado di proteggere gli ambienti d’alta quota. L’avvertimento degli scienziati.

Gli scienziati avvertono che la straordinaria risposta del clima locale himalayano al riscaldamento globale va intesa come una sorta di manovra di emergenza, non come un indicatore della stabilità a lungo termine dei ghiacciai, quindi non deve far abbassare la guardia nei confronti del cambiamento climatico. Per ora funziona, e la scoperta è di rilevanza globale, poiché questo processo potrebbe verificarsi con altri ghiacciai in condizioni simili. In futuro sarà quindi importante indagare la sua esistenza in altre parti della Terra e comprendere quali fattori morfologici e climatici lo controllano e lo regolano. Lavoro non facile, visto che le stazioni ad altissima quota, come la Piramide, sono davvero poche, ma fattibile, poiché i dati di reanalysis si sono dimostrati uno strumento molto valido, e con essi si può viaggiare in tutto il Mondo.

Nei prossimi due anni il team di ricerca indagherà se i ghiacciai del Pamir e del Karakoram, che contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo sono stabili o in crescita, stiano effettivamente reagendo al riscaldamento globale soffiando sempre più venti freddi lungo le loro pendici. I pendii dei ghiacciai del Pamir e del Karakoram sono generalmente più piatti di quelli dell’Himalaya, quindi i ricercatori ipotizzano che i venti freddi possano raffreddare maggiormente i ghiacciai stessi piuttosto che raggiungere gli ambienti circostanti più in basso.
Il pensiero va naturalmente ai nostri ambienti montani d’alta quota e a ciò che resta dei nostri poveri ghiacciai alpini, ormai sfiancati dal riscaldamento globale e comunque troppo piccoli per reggere il confronto con gli imponenti ghiacciai dell’Himalaya e i loro più lunghi tempi di reazione.

Video: Sorvolando le valli, i laghi e i ghiacciai nepalesi ai piedi del Monte Everest: uno straordinario viaggio in elicottero nella regione del Khumbu, fino al Tetto del Mondo.

Laura Bertolani

Laureata in Scienze Naturali, nel 1997 è entrata a far parte del team di meteorologi di Meteo Expert. Fino al 2012, all’attività operativa ha affiancato attività di ricerca, occupandosi dell’analisi della performance dei modelli di previsione. Attualmente si dedica a quest’ultima attività, ampliata implementando un metodo di valutazione dell’abilità dei modelli a prevedere dodici configurazioni della circolazione atmosferica sull’Italia, identificate per mezzo di una rete neurale artificiale.

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