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Accordo di Parigi, una settimana all’addio degli Stati Uniti: il futuro del clima è appeso alle elezioni USA

Il 4 novembre gli USA usciranno ufficialmente dall'Accordo di Parigi voluto da Trump. La lotta ai cambiamenti climatici dipende dalle elezioni che si terranno solo poche ore prima

Il tempo sta scadendo: tra una settimana, il 4 novembre, gli Stati Uniti usciranno ufficialmente dall’Accordo di Parigi. Formalizzato nello scorso novembre, l’addio al trattato era già stato uno dei cavalli di battaglia del tycoon durante la precedente campagna elettorale. Secondo la propaganda trumpiana, l’accordo di Parigi sarebbe frutto di un complotto internazionale volto a danneggiare gli Stati Uniti a favore della Cina.

Siglato nel 2015, l’accordo di Parigi è uno strumento fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici e impegna i 195 Paesi firmatari a ridurre le proprie emissioni di CO2 limitando il più possibile l’aumento delle temperature.

Secondo quanto previsto dal trattato, gli USA avrebbero dovuto tagliare le proprie emissioni del 28 per cento entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005. Trump si è sempre dichiarato contrario a questo obiettivo, considerato dannoso per l’economia americana, e aveva cercato di rinegoziarlo senza successo: nel 2017, infatti, era stato dichiarato che il trattato siglato non avrebbe potuto subire modifiche. Per questo gli Stati Uniti si sono tirati fuori dall’Accordo, e l’addio sarà effettivo proprio un giorno dopo le attesissime elezioni americane.

trump cambiamenti climatici
Facebook/Donald Trump

Chiamati a scegliere il 46esimo presidente degli Stati Uniti, gli elettori americani hanno una grande responsabilità anche per quanto riguarda il futuro della lotta ai cambiamenti climatici.

Una rielezione di Trump confermerebbe l’uscita degli USA dal trattato: alla prossima COP26, che sarà ospitata dalla Gran Bretagna alla fine del 2021 con la co-presidenza dell’Italia, saranno dunque Cina ed Europa a dover tracciare il cammino verso una decarbonizzazione dell’economia globale entro il 2050. Ai tavoli, non ci sarà nessun inviato USA.
Il Washington Post non ha usato mezzi termini nel definire questo risultato elettorale come «un danno irreparabile per la sfida climatica».
Sul piatto non ci sono solo le emissioni di gas serra, questione comunque fondamentale se calcoliamo che stiamo parlando del secondo emettitore di gas climalteranti, responsabile da solo di circa il 15 per cento delle emissioni globali. Tra le altre cose, verrebbe meno il sostegno finanziario garantito dall’allora segretario di Stato, Hilary Clinton, ai paesi più bisognosi per la transizione verso un’energia pulita.
Diversi osservatori hanno evidenziato che questo scenario comporterebbe seri danni anche all’economia statunitense e alla leadership globale di Washington in diverse questioni diplomatiche.

Un eventuale verdetto elettorale favorevole al rivale di Trump, Joe Biden, cambierebbe in modo significativo la situazione. Il candidato democratico ha infatti assicurato che in caso di vittoria gli Stati Uniti andrebbero incontro a un deciso cambio di rotta sulle questioni legate al clima e all’ambiente. Biden ha dichiarato che nel primo giorno dopo la sua eventuale elezione gli Stati Uniti rientreranno nell’Accordo di Parigi, aggiungendo anche di voler convocare i Paesi responsabili delle maggiori emissioni per stabilire obiettivi ancora più ambiziosi.

La crisi climatica è stata oggetto di dibattito anche durante l’ultimo faccia a faccia televisivo che ha visto scontrarsi i due candidati, che il 22 ottobre hanno sostenuto lo scambio più lungo mai registrato finora sull’argomento. In oltre 10 minuti di discussione, Biden ha affermato che i cambiamenti climatici sono «una minaccia esistenziale per l’umanità» e che «abbiamo l’obbligo morale di affrontarli».

Ha quindi ribadito il proprio impegno nell’allontanare l’economia USA dallo sfruttamento del petrolio a favore delle energie rinnovabili, sottolineando anche gli impatti positivi di questa strategia nella creazione di milioni di posti di lavoro. Ovviamente contraria la posizione di Trump, secondo cui il piano del rivale sarebbe eccessivamente costoso e comporterebbe danni enormi per l’economia americana, in particolare negli stati che il petrolio lo producono. Stati come il Texas o l’Oklahoma in cui, stando ai sondaggi, il tycoon può contare su un significativo sostegno politico. Anche in questa occasione Trump ha ribadito la sua convinzione della necessità di tirarsi indietro dall’Accordo di Parigi, giudicato troppo costoso: «non sacrificherò decine di milioni di posti di lavoro», ha detto.

Anche l’organizzazione non governativa Human Rights Watch ha espresso preoccupazione sul ruolo che gli Stati Uniti avranno nella lotta ai cambiamenti climatici dopo le prossime elezioni, auspicando che con la prossima amministrazione gli USA rientrino nell’Accordo di Parigi e adottino «misure ambiziose per far avanzare gli obiettivi dell’accordo nel limitare il riscaldamento globale, anche attraverso drastiche riduzioni delle emissioni di gas serra». «In qualità di secondo maggior emettitore di gas serra al mondo – ha sottolineato Human Rights Watch – gli Stati Uniti dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano nel portare avanti gli sforzi globali per mitigare i cambiamenti climatici». L’organizzazione ha inoltre auspicato che la prossima amministrazione si impegni a spingere l’economia americana verso fonti di energia più pulite, a contrastare con più vigore i danni ambientali e a sostenere le popolazioni più vulnerabili alla crisi climatica.

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Valeria Capettini

Iscritta all'ordine dei Giornalisti, faccio parte della squadra di Meteo Expert dal 2016: un'esperienza che mi ha insegnato tanto e mi ha permesso di avvicinarmi al mondo della climatologia lavorando fianco a fianco con alcuni dei maggiori esperti italiani in questo settore. La crisi climatica avanza, con conseguenze estremamente gravi sull’economia, sui diritti e sulla vita stessa delle persone. Un'informazione corretta, approfondita e affidabile è più che mai necessaria.

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