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Il nuovo accordo globale per salvare gli oceani entra nella fase decisiva

Potrebbe essere davvero l’anno buono per il trattato sugli oceani, o meglio, per il High Seas Treaty – l’accordo internazionale pensato per tutelare la biodiversità nelle acque internazionali, quelle che nessuno Stato può rivendicare ma da cui tutte e tutti dipendiamo. Dopo anni di negoziati e promesse, l’annuncio di Emmanuel Macron durante la Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (UNOC3), in corso a Nizza, segna un potenziale punto di svolta: il trattato potrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2026.

trattato oceani
Foto: United Nations Department of Economic and Social Affairs

Cosa prevede il trattato sugli oceani

Adottato nel 2023, il High Seas Treaty (nome ufficiale: Agreement on Biodiversity Beyond National Jurisdiction) è il primo strumento giuridico vincolante per proteggere la biodiversità marina nelle aree al di là delle giurisdizioni nazionali. Parliamo di circa due terzi degli oceani, ovvero metà della superficie del pianeta. Oggi, appena l’1% di queste aree è protetto.

Il trattato consentirà di istituire aree marine protette nel mare aperto, regolamentare attività distruttive come la pesca intensiva, l’estrazione mineraria in acque profonde e la geo-ingegneria, e di promuovere la cooperazione scientifica e la condivisione delle tecnologie.

Il trattato sugli oceani è anche uno strumento essenziale per raggiungere l’obiettivo globale “30×30”: proteggere il 30% di mari e terre entro il 2030.

Quanti Paesi hanno ratificato il trattato finora

Per entrare in vigore, il trattato deve essere ratificato da almeno 60 Paesi. Al momento, secondo quanto riferito da Macron e confermato da diverse fonti tra cui l’High Seas Alliance, 49 Paesi più l’Unione europea hanno completato il processo. Altri 15 sarebbero in dirittura d’arrivo.
Una volta raggiunta quota 60, scatteranno i 120 giorni previsti dal trattato prima dell’entrata in vigore formale. Il primo vertice delle parti (COP1) si terrà entro un anno da quel momento.

Si sfilano gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti non hanno ancora ratificato il trattato, e non lo faranno nel corso di questa conferenza. «Se non ratificano, non sono vincolati», ha ricordato Rebecca Hubbard, direttrice dell’High Seas Alliance. Tuttavia, l’assenza di Washington – in linea con il progressivo disimpegno da iniziative ambientali globali sotto la presidenza Trumpnon bloccherà il processo.

Perché serve davvero un trattato sugli oceani

Il Segretario generale dell’ONU António Guterres è stato chiaro: «L’oceano è la risorsa condivisa per eccellenza. Ma lo stiamo tradendo». Pesca illegale, inquinamento da plastica, riscaldamento e acidificazione stanno mettendo a rischio interi ecosistemi, senza contare la minaccia emergente dell’estrazione mineraria dei fondali. E mentre gli oceani assorbono circa il 30% della CO₂ emessa dall’uomo, il loro riscaldamento sta riducendo questa capacità cruciale.

Secondo le ONG, senza un trattato efficace il mare aperto resta una sorta di far west.

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Foto: United Nations Department of Economic and Social Affairs

La protezione degli oceani ha anche bisogno di fondi. A Monaco, durante un evento parallelo alla conferenza ONU ospitata da Nizza, banche pubbliche, investitori privati e filantropi hanno promesso 8,7 miliardi di euro in cinque anni per sostenere l’economia blu sostenibile. Ma il gap è ancora ampio: tra il 2015 e il 2019 gli investimenti globali nella salute degli oceani sono stati di soli 10 miliardi di dollari, mentre secondo l’ONU ne servirebbero almeno 175 miliardi l’anno.
Per colmare la distanza, l’ONU ha annunciato la progettazione di un nuovo fondo globale per la salute degli oceani, he dovrebbe diventare operativo dal 2028.

Oltre a raggiungere le 60 ratifiche, è fondamentale farlo prima della COP1 sugli oceani: solo i Paesi che ratificheranno entro quella data potranno votare sulle decisioni cruciali per l’attuazione del trattato. Per questo la mobilitazione prosegue.


NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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